Tokyo Sonata (2008)
Cineteca JFS!
Anche questa settimana l’Associazione Takamori vi fa compagnia raccontandovi un nuovo film. Quello che vi presentiamo oggi è Tokyo Sonata, del 2008, diretto da Kurosawa Kiyoshi.
Anche questa settimana l’Associazione Takamori vi fa compagnia raccontandovi un nuovo film. Quello che vi presentiamo oggi è Tokyo Sonata, del 2008, diretto da Kurosawa Kiyoshi.
Autore: Shimada Sōji
Titolo originale: Senseijutsu satsujin jiken
Editore: Giunti Editore
Collana: M
Traduzione: Giovanni Borriello
Edizione: 2017
Pagine: 336
Come possono “astrologia” e “investigazione” trovarsi nello stesso libro? La prima è spesso denigrata, ridotta a un passatempo per quelli che credono nel soprannaturale. La seconda invece è l’opposto: logica, fredda, ancorata alla realtà, che segue uno schema ben preciso. Ebbene, Shimada Sōji riesce a guadagnarsi la fama proprio unendo questi due mondi che sembrano completamente opposti. Uscito in Giappone nel 1981, riusciamo a mettere le mani su questo libro solo nel 2017 grazie a Giovanni Borriello che lo traduce. Gli omicidi dello zodiaco è il risultato di quella riscoperta dei romanzi noir da parte del Giappone cominciata intorno agli anni ’20.
Mitarai Kiyoshi e Ishioka Kazumi riprendono in mano un caso vecchio di decenni, rimasto insoluto a causa del caos scatenato dalla Seconda Guerra Mondiale. Tutto ruota attorno a Umezawa Heikichi, artista, alchimista e appassionato di astrologia, un uomo solitario che passa la maggior parte del tempo nel suo studio. Un giorno, proprio qui viene ritrovato morto con il cranio spaccato, ma la porta dell’edificio è chiusa dall’interno. In più, fra gli oggetti presenti spiccano alcuni strani appunti. Riguardano la creazione della donna perfetta, Azoth, che Umezawa progettava di portare in vita usando parti del corpo delle sue due figlie, due figliastre e due nipoti, basandosi sul segno zodiacale di ognuna. Lui muore lasciando il suo “capolavoro” incompiuto, ma le ragazze vengono trovate ugualmente morte un mese dopo, proprio nel modo indicato da Umezawa. C’è davvero un nesso fra queste morti? Il grande piano di Umezawa è stato forse portato avanti da qualcun altro?
Nonostante la grande quantità di nomi e di informazioni inizialmente possa spaventare, lo scrittore riesce ad equilibrare perfettamente le dettagliatissime dinamiche del caso, il contesto storico e gli scambi di battute sarcastiche e divertenti tra i personaggi. E quello che coinvolge maggiormente è proprio la sfida che lancia Shimada stesso, affermando che il lettore ha in mano tutti gli strumenti per risolvere il caso prima che la soluzione venga svelata. Vi sentite pronti a raccogliere il guanto?
Shimada affronta in modo brillante e originale quello che potrebbe sembrare un enigma della camera chiusa, perché lo trasforma in qualcosa di nuovo e inesplorato. Si apprezzano i dettagli che si è premurato di inserire, le ricerche che ha fatto, la tradizione che si intreccia con la modernità e quel pizzico di soprannaturale che movimenta un po’ la vita di ciascuno di noi. Piacevole e scorrevole, più giallo che thriller, questo libro è un intrigante passatempo che vi metterà alla prova e dal quale rimarrete piacevolmente sorpresi.
– recensione di Francesca Panza
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Gli Happy End erano una folk rock band Giapponese attiva dal 1969 al 1972. Formata da Haruomi Hosono, Takashi Matsumoto, Eiichi Ohtaki e Shigeru Suzuki, per le loro sonorità pioniristiche venivano considerati un gruppo d’avanguardia nella maggior parte del Giappone dell’epoca. Sono ricordati tra i più influenti artisti della scena musicale giapponese, soprattutto per il loro sostegno all’uso della lingua giapponese anche nelle canzoni rock.
“Rock con sbavature di psych attorno ai bordi”. – MTV
Nell’ottobre nel 1969 Haruomi Hosono e Takashi Matsumoto formano un gruppo chiamato “Blue Valentine” subito dopo che la loro procedente band, Apryl Fool, di genere psychedelic rock, si era sciolta. Nel marzo 1970 Hosono, Matsumoto e Shigeru Suzuki contribuiscono all’album Niyago di Kenji Endo. Il gruppo cambiò il loro nome in “Happy End” e divennero la band di supporto di Nobuyasu Okabayashi, un cantautore folk soprannominato “il Bob Dylan giapponese”. Nell’aprile del 1970 la band iniziò ad incidere il suo primo vero album.
Il loro omonimo album di debutto venne rilasciato ad agosto sotto l’etichetta sperimentare della URC (Underground Record Club). Questo album segnò un importante punto di svolta nella storia della musica giapponese siccome accese quello che poi sarebbe stato definito “la controversia sulla lingua rock giapponese”. Ci furono importanti dibatti tenuti tra persone di spicco dell’industria rock giapponese, tra questi anche gli Happy End e Yuya Uchida che discussero riguardo al se la musica rock cantata interamente in giapponese fosse sostenibile o meno. Fino a quel momento in Giappone quasi tutte le canzoni più popolari rock erano cantate in inglese. Il successo dell’album di debutto della band e del loro secondo album, Kazemachi Roman uscito un anno dopo, provò la sostenibilità del rock in lingua giapponese in Giappone.
Per il loro terzo album, anche questo intitolato Happy End (scritto con alfabeto latino questa volta), pubblicarono sotto l’etichetta King Records e registrarono nel 1972, a Los Angeles, con il produttore Van Dyke Parks. Anche se più tardi Hosono descrisse la collaborazione con Van Dyke come “produttiva”, le sessioni erano inconsistenti, i membri di Happy End erano disillusi dalle aspettative che avevano sull’America. Inoltre, la barriera linguistica e un evidente ostilità tra i membri di Happy End e il personale dello studio di Los Angeles, aggravò la situazione, frustrando ancora di più i membri della band. Questi sentimenti confluirono in una traccia finale “Sayonara America, Sayonara Nippon”, con il contributo di Parks e Lowell George, chitarrista dei Little Feat. Il 31 dicembre 1972, la band si sciolse, l’album venne rilasciato nel Febbraio del 1973. Fecero il loro ultimo concerto City- Last Time Around, nel settembre del 1973, con un live album dello spettacolo intitolato Live Happy End, rilasciato l’anno seguente.
Dopo lo scioglimento, tutti e quattro i membri hanno continuato a lavorare insieme e a contribuire reciprocamente agli album e ai progetti degli altri. Hosono e Suzuki hanno formato Tin Pan Alley con Masataka Matsutoya, prima che Hosono iniziasse ad avvicinarsi alla musica elettronica e Suzuki continuò a lavorare come chitarrista, Matsumoto divenne uno dei parolieri di maggior successo nel paese e Ohtaki lavorò come cantautore e artista solista, pubblicando uno degli album più venduti e acclamati dalla critica, A Long Vacation nel 1981. Happy End si riunì per one-off performance al concerto all’International Youth Anniversary All Together Now il 15 giugno 1985, che fu pubblicato come album dal vivo The Happy End, più tardi nello stesso anno. Un album chiamato Happy End Parade ~ Tribute to Happy End ~ e composto da cover delle loro canzoni di diversi artisti è stato pubblicato nel 2002. Nel 2003, la loro canzone Kaze wo Atsumete è apparsa nel film americano Lost In Translation e sulla sua colonna sonora.
Eiichi Ohtaki è morto il 30 dicembre 2013 a causa di un aneurisma all’età di 65 anni. Per l’album tributo del 2015 Kazemachi Aimashō, in ricordo del 45 ° anniversario di Matsumoto come paroliere, Matsumoto, Hosono e Suzuki hanno registrato la canzone Happy End inedita, Shūu no Machi . Uno speciale concerto di due giorni per lo stesso anniversario si è tenuto al Tokyo International Forum nel 2015 con numerosi artisti. Matsumoto, Hosono e Suzuki hanno aperto ogni giorno eseguendo Natsu Nandesu e Hana Ichi Monme, immediatamente seguito da Haikara Hakuchi con Motoharu Sano. Chiudono anche gli spettacoli con Shūu no Machi, e infine Kaze wo Atsumete insieme ad altri artisti.
Gli Happy End sono accreditati come i padri del primo rock da cantare in giapponese. La musica di Happy End è stata citata come una delle origini del moderno “J-pop”, con ogni membro che continua a contribuire al suo sviluppo dopo la rottura del gruppo. La band è anche considerata progenitrice di quella che sarebbe diventato lo stile “City Pop“. Nel 2003, sono stati classificati da HMV Japan al numero 4 nella loro lista dei 100 più importanti pop acts giapponesi. Ohtaki e Hosono appaiono anche nella lista come artisti solisti, rispettivamente al numero 9 e 44. Nel settembre 2007, Rolling Stone Japan ha nominato Kazemachi Roman il più grande album rock giapponese di tutti i tempi. È stato anche nominato numero 15 nella lista Bounce del 2009. L’impatto degli Happy End nella scena musicale rock giapponese fu di portata tale che vennero soprannominati i “Beatles giapponesi”.
“Hanno aperto la strada a uno stile di songwriting che combinava testi in lingua giapponese con folk rock influenzato dall’occidente in una forma ritmica a una-sillaba, una-nota.” – Ian Martin
— recensione di Vittoria Foschi
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(Giappone, 2008)
Regia: Yamada Yōji
Cast: Yoshinaga Sayuri, Asano Tadanobu, Dan Rei, Shida Mirai
Genere: drammatico, storico
Durata: 132 minuti
Kābē – Our Mother, uscito nelle sale il 26 gennaio 2008, si basa sull’opera autobiografica della scrittrice Nogami Teruyo, dal titolo 父へのレクイェム (Chichi he no requiemu – Requiem per mio padre).
Il film è disponibile sulla piattaforma Ray Play con i sottotitoli in italiano.
Kābē – Our Mother racconta le vicende di una modesta famiglia della Tokyo degli anni ’40. Madre (Nogami Kayo) e padre (Nogami Hisako), affettuosamente soprannominati dalle due giovani figlie “Kābē e Tōbē” , cercano di condurre una vita per quanto possibile normale, al riparo dal mondo esterno, profondamente colpito dalle dinamiche della Seconda guerra mondiale. La loro tranquilla vita viene però sconvolta dall’arresto di Tōbē, accusato di reato di opinione. L’uomo, professore universitario di lingua e letteratura tedesca, conosciuto per le sue idee liberali, viene portato via in una gelida notte invernale davanti agli innocenti sguardi delle figlie Teruyo e Hatsuko.
Tra il 1937 e il 1945 il Giappone è impegnato a combattere in due grandi conflitti: inizialmente nella Seconda guerra sino – giapponese e successivamente nella Seconda guerra mondiale. Il dolore della perdita, le rinunce e tutte le difficoltà quotidiane vengono riflesse dal microcosmo della famiglia Nogami. Questo film racconta la storia dal punto di vista dei civili, senza soffermarsi sulle grandi imprese, ma sulla vita di tutti i giorni di una famiglia come tante. Eppure nulla viene reso con eccessiva drammaticità: il razionamento del cibo, il coprifuoco, la censura. I protagonisti trovano sempre il modo di rendere il peso di tutte queste disgrazie più leggero, grazie anche all’aiuto di Yamazaki Toru, ex alunno del professor Hisako che si rivela essere un grande amico, una figura fondamentale per la famiglia Nogami.
Kābē si ritrova improvvisamente sola, con il dovere di mantenere la casa e le due bambine, contando solamente sul suo lavoro da supplente. La difficile situazione familiare viene aggravata dal peso dell’opinione pubblica e dalle continue insistenze del padre di Kayo nel spronarla a lasciare Hisako. Eppure, nonostante questo la signora Nogami non si sbilancia mai. Davanti alle numerose umiliazioni Kābē non perde mai il senno e si rifiuta fermamente all’idea di rinnegare il proprio matrimonio. La sua è una ribellione silenziosa, ma estremamente elegante, fatta di parole non dette, ma che lasciano comunque trasparire la sua grande forza interiore.
Anche l’amore genuino tra Kābē e Tōbē risalta perfettamente durante il film. Non si tratta di un sentimento pretenzioso, ma puro, basato sulla fiducia reciproca. Lo stesso amore i coniugi lo riservano alle figlie, spronandole ad essere se stesse, a dare sfogo alle proprie idee ed emozioni, anche in un periodo in cui esprimersi è vietato e viene duramente punito.
La voce narrante di una matura Teruyo guida l’intera narrazione, ripercorrendo i passi di una vita che ha messo tutti a durissima prova, ma che nello stesso tempo le ha permesso di crescere accanto a figure come quella di sua zia Hisako, che le ha trasmesso sin da piccola l’amore per l’arte.
Ciò che più colpisce è l’umanità che si fa strada nel cuore delle persone durante uno dei periodi più drammatici della storia del Giappone. Il film, i cui personaggi sembrano continuamente cercare i proprio baricentro, tocca con estrema delicatezza le nostre corde più intime e ci mostra il mondo attraverso lo sguardo amorevole che solo una madre può avere.
— recensione di Roxana Macovei
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