29 Novembre 2020 | Pubblicazioni
Autore: Yoshimoto Banana
Titolo originale: 白河夜船 (Shirakawa yofune)
Editore: Feltrinelli
Collana: Universale economica Feltrinelli
Traduzione: Giorgio Amitrano
Edizione: 1989
Pagine: 139
Il romanzo è il terzo dell’autrice ad essere tradotto in Italia. La narrazione si divide in tre racconti, tutti aventi come protagonista una giovane donna. Tre esperienze tanto diverse tra di esse, ma che hanno in comune una situazione di stallo dalla quale sembra impossibile uscire.
Sonno profondo
Terako era una lavoratrice part-time che ora passa gran parte del suo tempo a dormire. Sconvolta dalla morte della sua amica Shiori, con la quale viveva, ne ricompone la figura dai ricordi sparsi: una persona perennemente avvolta da un’aura di dolcezza, dalla quale poter sempre tornare, da un tepore quasi materno. Shiori era ormai consumata dal suo lavoro, una particolare forma di prostituzione che consiste nel semplice dormire accanto al cliente. Al tempo stesso, Terako vive una relazione con un uomo sposato, Iwanaga. Sua moglie è rimasta in coma a causa di un incidente, il che complica ulteriormente la storia d’amore con la protagonista. Si crea dunque una sorta di circolo vizioso per queste tre donne, in qualche modo prigioniere del sonno. Tuttavia può essere proprio il sonno a permettere il risveglio interiore, anche dalle situazioni più ardue.
Viaggiatori nella notte
Shibami ritrova una lettera per Sarah, una ragazza americana che ai tempi del liceo stava con suo fratello Yoshihiro. Tuttavia, Yoshihiro è morto un anno fa. Era una persona fuori dal comune e capace di lasciare negli altri una strana impressione di sé, con i suoi ragionamenti da persona particolarmente natura. Alla sua storia con Sarah si intreccia quella con Marie, sua cugina e amica d’infanzia che spesso stava con i due fratelli. Il ritrovamento delle lettere porterà alla scoperta di ciò che è successo a Sarah da allora, e ai cambiamenti affrontati da Marie.
Un’esperienza
Fumi ha un pessimo rapporto con l’alcol. Ne abusa ogni notte e finisce sempre per stare male, fino a sentire una canzone nel suo stato di trance. Nel chiedersi di chi sia quella voce, e con l’aiuto del suo fidanzato Mizuo, Fumi si ricorda di Haru, una ragazza con cui condivideva il proprio ex. Non andavano affatto d’accordo, ma dopo aver saputo della morte di Haru Fumi vorrebbe comprendere come si sentiva verso di lei, pensando che la canzone misteriosa possa essere un messaggio della defunta. Proprio per questo, troverà un modo del tutto peculiare per comunicare con lei.
Le tre protagoniste tuttavia non sono le uniche figure di rilievo: in ogni storia c’è infatti una figura femminile di sostegno di enorme influenza su di loro. Si tratta di figure sospese, cristallizzate secondo il ricordo delle protagoniste. Sarà proprio la loro presenza, o assenza, a portare a un nuovo inizio.
— recensione di Eleonora Cuccu.
25 Novembre 2020 | News
Cineteca JFS!
Anche questa settimana l’Associazione Takamori vi fa compagnia raccontandovi un nuovo film. Quello che vi presentiamo oggi è The Woodman and The Rain, del 2011, diretto da Okita Shūichi.
Il protagonista è un regista esordiente, Tanabe Kōichi, che con la sua crew si reca al villaggio di montagna di Yamamura per girare il suo prossimo film. Un ruolo particolare sarà svolto da Kishi Katsuhiko, un boscaiolo sessantenne, che inizialmente collaborerà contro la sua volontà.
The Woodsman and the Rain è stato proiettato a numerosi festival e ha ricevuto lo Special Jury Prize al Tokyo International Film Festival del 2011 e il Nippon Cinema Award alla dodicesima edizione del Nippon Connection.
Guarda il nostro video qui!
15 Novembre 2020 | Film e Serie TV
Regia Ōmori Tatsushi
Cast Masami Nagasawa, Okudaira Daiken, Abe Sadao, Kaho
Genere Dramma
Durata 126 minuti
Lingua giapponese
Mother (マザー) è un film del 2020 ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto in Giappone nel 2014. La pellicola racconta il rapporto fra Akiko (Nagasawa Masami) e suo figlio Shuhei (Okudaira Daiken).
Akiko è una madre assente, alcolizzata e dedita al gioco d’azzardo, il cui stile di vita l’ha allontanata dai genitori e dalla sorella. Shuhei, che è ancora un bambino, non va a scuola e spesso è costretto a badare a sé stesso in quanto la madre, solita intrattenersi con diversi uomini, spesso si allontana per giorni lasciandolo a casa da solo. All’inizio del film, infatti, Akiko si assenta per sei giorni e, a causa dei mancati pagamenti, mentre Shuhei è in casa da solo gli vengono bloccati gas ed elettricità e lo vediamo intento a mangiare a morsi un blocco di Cup Noodles crudi. La prima parte del film si chiude con un litigio fra Akiko e Ryō (Abe Sadao), un uomo del quale è rimasta incinta. Shuhei cerca in ogni modo di proteggere la madre mentre l’uomo la pesta violentemente intimandole di abortire.
Con un balzo temporale in avanti di cinque anni, il regista ci porta all’adolescenza di Shuhei, che egli trascorre vivendo nelle strade di Tokyo con la madre e la sorellina Fuyuka. Questa vita viene interrotta da un gruppo di assistenti sociali, che procurano una stanza alla famiglia nella quale andrà a vivere anche Ryō, che instaura una relazione stabile con Akiko. In particolare Aya, una degli assistenti sociali, cerca in tutti i modi di far sì che Shuhei riceva un’istruzione adeguata, ma il ragazzo, succube delle scelte della madre, finirà per abbandonare anche la scuola gratuita a cui si era finalmente iscritto.
Nell’unico momento in cui Shuhei tenterà di ribellarsi ad Akiko, ella lo indurrà a compiere l’ultimo gesto di fedeltà nei suoi confronti, che trascinerà non solo lui, ma tutta la famiglia nella tragedia.
La vicenda è raccontata dal punto di vista di Shuhei, il quale è, allo stesso tempo, vittima e complice di un rapporto con la madre di interdipendenza e lealtà morbosa. Mentre per lei il figlio è di sua esclusiva proprietà, e rivendica il diritto di crescerlo come meglio crede, in alcuni momenti sembra che egli intenda finalmente ribellarsi ai soprusi e allo sfruttamento che hanno sempre segnato la sua vita. Queste speranze si presentano più volte nell’arco della narrazione, in particolare nei momenti in cui entra in Aya, ma crollano immediatamente da un lato a causa di Akiko, dall’altro a causa delle scelte di Shuhei, che ogni volta decide di seguire la madre incondizionatamente.
L’aspetto che più colpisce della pellicola è l’analisi accurata della psicologia dei personaggi, che si sviluppa attraverso dialoghi brevi, lunghe inquadrature in primo piano, e lunghi silenzi dotati di una forte carica emotiva. Questi sono spesso accompagnati da sguardi e gesti fortemente significativi, come un abbraccio improvviso di Akiko a Shuhei, che avviene subito dopo una violenta sfuriata nei confronti del ragazzino ed evidenzia ancora una volta il filo conduttore della vicenda: il rapporto tossico che intercorre fra una madre degenere e un figlio che la ama nonostante la vita in cui lo costringe.
— recensione di Luca Levoni.
11 Novembre 2020 | News
Cineteca JFS!
Anche questa settimana l’Associazione Takamori vi fa compagnia raccontandovi un nuovo film. Quello che vi presentiamo oggi è A bolt from the blue, del 2014, diretto da Gekidan Hitori.
Il protagonista, Haruo, viene colpito da un fulmine che lo riporta indietro di 40 anni. Insieme a suo padre formano un duo di maghi, ma quando tutto sembra andare per il meglio, scopre la cupa verità che gli è stata nascosta tutta la sua vita. Se volete scoprire di cosa si tratta non vi resta che guardare il film!
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8 Novembre 2020 | Pubblicazioni
Autore: Tanizaki Jun’ichirō
Titolo originale: 猫と庄造と二人の女 (Neko to Shōzō to futari no onna)
Editore: Neri Pozza
Collana: Le tavole d’oro
Traduzione: Gianluca Coci
Edizione: 2020
Pagine: 128
La gatta, Shōzō e le due donne è un romanzo breve del 1936 dello scrittore Tanizaki
Jun’ichirō (1886 – 1965).
La narrazione si apre con la lettera di una donna, Shinako, che scrive a Fukuko, la
nuova moglie del suo ex marito, Shōzō. La donna tenta di convincere Fukuko ad aiutarla
ad ottenere la custodia di Lily, la gatta dell’ex marito a cui lui è terribilmente affezionato,
facendo leva sulla sua gelosia. Nell’attirare a sé la cosa a cui egli è più affezionato, spera
di attirare le sue attenzioni anche su di lei. Shinako rimarrà poi vittima delle sue stesse
macchinazioni, in quanto, una volta portato a compimento il suo piano, non potrà fare a
meno di affezionarsi alla gatta che inizialmente tanto disprezzava.
Tanizaki propone con il romanzo un’analisi della psicologia femminile (e non solo)
originale e piuttosto particolareggiata, illustrata al lettore attraverso una lente di sagace
ironia. L’elemento maggiormente degno di nota è però la descrizione della gatta,
presentata nei minimi dettagli, umanizzata a tal punto di sentirla quasi parlare:
Quando faceva freddo, si insinuava sotto le coperte dalla parte del cuscino e all’interno del
pigiama di Shōzō, scendendo giù fino all’inforcatura delle gambe e poi risalendo di nuovo
su, e non stava ferma finché non trovava la posizione giusta. A volte dava l’impressione di
essersi finalmente sistemata, ma ecco che dopo cinque o dieci minuti ricominciava a
muoversi alla ricerca di una posizione migliore. […] Ma ad ogni minimo movimento
corrispondeva un piccolo cataclisma e, tutte le volte che lui si spostava anche solo di pochi
centimetri, pure lei si agitava infastidita e non si dava pace finché non trovava un altro
spazio in cui infilarsi.
Durante la lettura non si può fare a meno di percepire la passione dell’autore nello scrivere
della gatta: Lily è la protagonista indiscussa della storia, impossibile da non amare. Il
potere che il mondo felino esercita su quello umano è un chiaro esempio dell’importanza
dei gatti nella cultura giapponese, considerati di un’intelligenza e sensibilità unici.
— recensione di Giorgia Caffagni.
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