9 Febbraio 2022 | Registi
Eccoci ritornati con il secondo atto dell’opera di Hiroki Ryūichi! Questa è Akushon!, la rubrica dei registi di JFS, si parte!
Adattamento del romanzo omonimo firmato da Akasaka Mari, Vibrator ritrae l’incontro tra una scrittrice freelance segnata da accompagnata da “voci interiori” con un camionista sicuro di sé e che la aiuterà a scoprire la propria sessualità e autoconsapevolezza. Rei e Takatoshi intraprendono perciò una sorta di road trip insieme, viaggiando sul camion di lui fino all’Hokkaido e ritorno. I due cominciano un percorso di reciproca apertura, marcato da pochi ma significativi dialoghi e da una sorta di intesa a pelle che gli consente di costruire un legame fuori dal comune. Terajima Shinobu ha meritatamente conquistato il premio come miglior attrice al Tokyo Film Festival del 2003 per la propria interpretazione, superando la comunque valida prova del co-protagonista, il noto Ōmori Nao che appare anche nelle scene di Ichi the Killer.
Conosciuto anche come Tokyo Love Hotel, il film Sayonara Kabukichō è un curioso spaccato del 2014 su diversi nodi della società nipponica. Il fulcro della pellicola è un hotel a ore, uno dei tanti nidi dove si rifugiano individui emarginati, tra lavori squallidi e insoddisfazioni personali. Nel contesto di questo edificio, una serie di coppie vivono vicissitudini che daranno esiti differenti: chi si lascia, chi si ritrova dopo essersi perso, il tutto in una cornice dove l’amor carnale è spiacevole e ridicolo e l’affetto si annida nelle crepe della realtà quotidiana, insinuandosi dove può, spesso con piccole attenzioni e gesti misurati. Danno un’ottima prova della propria capacità attoriale la squillo Iria, interpretata dall’attrice coreana Lee Eun-woo, e il giovane Toru, uno dei dipendenti del love hotel, portato in scena dall’attore Sometani Shōta. In questa opera del regista, in tono quasi spensierato si narrano le difficoltà delle fasce al margine: prostitute e ragazze a domicilio, la xenofobia e i problemi a integrarsi in una società monolitica, la povertà e la frustrazione di non poter guadagnare con un lavoro dignitoso, e sullo sfondo l’indimenticabile disastro del Tōhoku che popola ancora l’immaginario dei giapponesi.
Il terzo Film di cui vi parleremo è Raiō, uscito nelle sale giapponesi nel 2010. Il lungometraggio racconta la storia di Narimichi, nobile appartenente alla famiglia Tokugawa, che incuriosito da una storia su un Tengu che vive fra le montagne decide di partire alla ricerca del demone. Qui conoscerà Rai, una donna dal passato controverso che cerca in tutti i modi di proteggere la montagna dove vive. I due si innamorano, ed è proprio su questo rapporto, impossibile per l’epoca, che il regista cerca di indagare ed esprimere tutta la sua filosofia cinematografica; sia attraverso scene che visivamente rappresentano la distanza sociale tra i due protagonisti, sia con scene da vero e proprio melodramma storico.
L’ultimo lungometraggio di oggi è Daijōbu san kumi del 2013. I legami interpersonali sono al centro della visione del regista; in questo film però egli non si concentrerà più sull’amore tra uomo e donna ma estenderà questa sua visione al rapporto professore-alunni. Come soggetto però non sceglierà un professore qualsiasi, infatti Akao Shinosuke nasce senza arti ma decide comunque di proseguire con la sua carriera. Il regista però sceglie di raccontare la storia dal punto di vista di Shiraishi Yusaku, un membro del consiglio studentesco con una visione un po’ antiquata dell’ambiente scolastico. La visione che si ottiene quindi è una visione oggettiva e cruda di quelli che possono essere i problemi dia fisici che psicologici di una classe particolare e stravagante come questa.
E con oggi concludiamo il nostro approfondimento su Hiroki Ryūichi! Potete guardare il nostro video qui. Se siete curiosi di conoscere le storie di altri registi giapponesi continuate a seguire Akushon!
6 Febbraio 2022 | Letteratura
Autrice: Imamura Natsuko
Titolo originale: むらさきのスカートの女
Editore: Salani
Traduzione: Anna Specchio
Edizione: 2021
Pagine: 160
La donna dalla gonna viola è un romanzo thriller dell’autrice Imamura Natsuko, pubblicato in Giappone nel 2019 e successivamente in Italia nel 2021 dall’editore Salani.
Tutti i pomeriggi la donna dalla gonna viola, Mayumi Hino, si siede sulla stessa panchina del parco di una grande e anonima città giapponese e mangia il suo solito cornetto alla crema; è una donna single che abita in un piccolo appartamento di periferia e svolge lavori temporanei, proprio come la donna dal cardigan giallo, Gondō, voce narrante del romanzo che segue ogni suo movimento, sempre attenta a controllare che cosa mangia, dove va, con chi parla. Con la scusa di voler diventare sua amica, la donna dal cardigan giallo riesce a far assumere Mayumi nella sua stessa agenzia di pulizie. È proprio qui che le vite delle due donne si intrecciano, dando al romanzo una nota drammatica ed imprevedibile.
La voce narrante, Gondō, è invisibile; il lettore deve fare affidamento su di lei per capire ciò che si cela dietro azioni apparentemente normali e, soprattutto, dentro l’evoluzione di una donna che passa dall’essere quasi invisibile a persona piena di fascino e desiderabile per chi le sta intorno. Le descrizioni, i cambiamenti delle azioni della donna dalla gonna viola lasciano nella mente del lettore alcuni dubbi, che lo portano a interrogarsi su quale sia la vera personalità di Mayumi.
La donna dalla gonna viola è un racconto sottile e inquietante di un’ossessione, una relazione platonica e unilaterale fra due donne che assume via via i toni del thriller, caratterizzato da una narrazione ipnotica e raffinata che, pur risultando a tratti un po’ ripetitiva, non cade nel noioso o nel banale. L’autrice, Imamura Natsuko, ci racconta giorno per giorno la vita delle due donne, accrescendo nel lettore la curiosità di conoscerne ogni sfaccettatura; una storia che lascia trapelare quanto la solitudine possa portare a compiere azioni inquietanti per il solo scopo di essere visti.
—Recensione di Margherita Poli Bartoli.
2 Febbraio 2022 | Proiezioni
Ciao a tutti e bentornati sul nostro canale. Oggi vi presentiamo il secondo film della nostra rassegna in collaborazione con Asia Institute, Unforgiven, di Lee Sang-il.
Poco dopo l’inizio del periodo Meiji, un ex samurai, Kamata Jūbei, dopo aver combattuto contro il governo imperiale, uccide i suoi inseguitori e si rifugia a nord, nell’isola dell’Hokkaidō. 11 anni dopo, in un villaggio di frontiera, una coppia di fratelli, dopo essere stati derisi da una prostituta, decidono di sfregiarla ma ricevono dallo sceriffo una punizione minima che fa indignare le donne.
La tranquilla vita che Jūbei conduce coi suoi due figli viene sconvolta dalla visita di Kingo, un suo ex compagno d’armi. Assoldato dalle prostitute del bordello desiderose di giustizia, chiede al vecchio amico di aiutarlo nel suo compito. Nonostante l’incertezza, Jūbei accetta e lascia i due figli in custodia alla vicina comunità di Ainu. I due sicari saranno presto affiancati da uno strambo giovane che li accompagnerà fino al villaggio
La pellicola è un remake de Gli spietati, del 1992, diretto e interpretato da Clint Eastwood la cui trama è però adattata alla realtà del Giappone di tardo 19esimo secolo.
Il film è stato proiettato in anteprima mondiale, fuori concorso, durante la 70esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Diversamente dagli altri film a tema samuraico, Unforgiven non parla solo della rovina della figura del samurai, ma tratta anche degli abusi perpetrati dal governo giapponese contro gli Ainu, il gruppo etnico nativo dell’isola più a nord dell’arcipelago. Questi furono brutalmente costretti a sottomettersi al governo centrale e ad abbandonare le loro tradizioni e i loro costumi a favore della cultura dominante del Paese.
Guardate il nostro trailer qui!
Vi aspettiamo quindi l’8 febbraio alle 21 al Cinema Rialto con Unforgiven. I biglietti sono acquistabili cliccando qui.
Per rimanere aggiornati sulla vendita dei biglietti e sugli altri film della nuova rassegna, seguiteci sui nostri canali. Trovate i link nella descrizione!
1 Febbraio 2022 | Letteratura
Autore: Yokomizo Seishi (横溝 正史)
Titolo originale delle 2 opere raccolte: 黒蘭姫/香水心中
Editore: Sellerio editore Palermo
Traduzione: Francesco Vitucci
Edizione: 2022
Pagine: 192
Yokomizo Seishi (Kobe 1902-Tokyo 1981) dopo aver lavorato nella farmacia di famiglia e in seguito come giornalista letterario, negli anni Trenta del Novecento iniziò a pubblicare i primi romanzi. Con le sue trame di misteri ottenne un grande seguito di lettori divenendo in Giappone modello della crime story. La sua fama raggiunse l’apice negli anni Settanta grazie alla saga della famiglia Inugami che lo consacrò definitivamente dandogli anche il soprannome di “John Dickson Carr giapponese”, facendo riferimento al suo autore preferito.
Nell’opera “Fragranze di morte” sono raccolti due romanzi gialli brevi, “L’Orchidea Nera” e il secondo, da cui prende nome il volume: “Fragranze di morte”. In entrambi i casi , a capo delle indagini troviamo l’ispettore di polizia Todoroki Daishi e l’eccentrico ma geniale detective privato Kindaichi Kōsuke, protagonista di molte delle altre vicende narrate da Yokomizo.
Nel primo romanzo, ci troviamo a Tōkyō nei grandi magazzini Ebisuya, e tutto parte dal reparto di gioielleria, quando l’apparizione di una misteriosa donna velata, si trasforma in pochi istanti in un omicidio. Tra identità nascoste, corruzione e passati che ancora perseguitano i personaggi, sarà proprio il detective Kindaichi ad entrare in scena con estrema lucidità e intuito per uscire da una situazione, in cui i conti non tornano.
In “Fragranze di morte” la scena si sposta da Tōkyō, per arrivare nella boscosa località di Karuizawa, nella prefettura di Nagano. In questo caso Kindaichi, accompagnato nuovamente da Todoroki, è convocato dalla ricca signora Tokiwa Matsuyo, abile gestrice dell’ “Impero delle essenze” Tokiwa, recentemente turbata da alcune vicende familiari che mettono a rischio l’eredità della gestione della preziosa impresa di famiglia. La trama è pervasa da storie di amanti, menzogne, colpi di scena e complicati intrecci , i quali in certi momenti metteranno in difficoltà anche l’abile detective, che verrà a conoscenza della verità in modo del tutto inaspettato, con un finale che lascia l’amaro in bocca.
In entrambi i romanzi, l’autore mostra chiaramente la sua grande abilità narrativa, riuscendo in poche pagine a fornire un quadro chiaro della situazione, accompagnando il lettore nell’investigazione, ma lasciando comunque irrisolto il mistero fino all’ultimo momento possibile. Yokomizo inoltre riesce a donare una profondità notevole ai personaggi, nonostante la brevità, che permette di immergersi nella situazione e nella lettura senza alcuna fatica.
In “Fragranze di morte”, un lettore può trovare tutti gli aspetti dei classici romanzi gialli, ma la breve raccolta si differenzia in quanto la violenza, le macchinazioni e le astuzie che pur sfociano in morte, ci risultano vellutate, quasi mediate da modi riguardosi; conseguenza del fatto che l’agile fluidità delle sue storie ci comunica anche sullo sfondo le abitudini quotidiane di una cultura elaborata e lontana.
—Recensione di Paolo Segala.
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