20 Marzo 2022 | Letteratura
Autore: Murakami Haruki
Titolo originale: アンダーグラウンド (parte prima), 約束された場所で (parte seconda)
Editore: Einaudi
Traduzione: Antonietta Pastore
Edizione: 2014
Pagine: 503
Underground è una romanzo a più voci scritto da Murakami Haruki e pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1997 e in seguito anche nel 1998. È arrivato in Italia nel 2003 e ha avuto due riedizioni, una nel 2011 e una del 2014. Underground è un romanzo che si discosta completamente dallo stile dello scrittore, il quale spesso ci racconta di avvenimenti fantastici e ci fa staccare dal mondo reale che viviamo tutti i giorni. In Underground, si potrebbe dire che avviene il contrario, Murakami ci riporta con i piedi per terra raccogliendo in questo romanzo una serie di interviste a persone sopravvissute all’attentato al sarin avvenuto nella metropolitana di Tokyo nel 1995.
Il 20 marzo 1995 su diverse linee della metropolitana di Tokyo ci fu un attacco terroristico con l’impiego del gas nervino sarin, il quale provocò 14 morti e oltre 6200 intossicati, gravi e meno gravi. L’attentato fu organizzato dalla setta religiosa Aum Shinrikyō, in particolare 10 membri della setta divisi in coppie, una persona si occupava di guidare e l’altra persona portava con sè delle sacche piene di sarin avvolte in dei giornali e una volta sul treno doveva bucarle con la punta di un ombrello appositamente affilata. I sintomi più comuni dell’intossicazione da sarin sono difficoltà respiratorie, affaticamento, restringimento delle pupille, tosse. Tra gli intossicati ci fu anche uno degli attentatori.
Nella prefazione, Murakami Haruki ci racconta tutto il processo di creazione del libro. Dal cercare la lista dei sopravvissuti al momento di trascrizione delle interviste. Le parole che leggiamo in Underground, sono le stesse che hanno pronunciato gli intervistati, l’autore si è limitato a scriverle in modo che il lettore potesse leggerle senza difficoltà e, come ci dice, ogni intervista prima di essere pubblicata è stata riletta dall’intervistato. Prima delle interviste, Murakami ci dà una breve spiegazione sulla linea di cui poi sentiremo parlare, inoltre, in molte interviste compaiono i veri nomi e le età al giorno dell’attentato dei sopravvissuti. Tuttavia, in alcune interviste Murakami ha dovuto utilizzare un nome fittizio.
In Underground emerge sicuramente la capacità di scrittore di Murakami Haruki, ma è un romanzo molto forte, in quanto sono i sopravvissuti in prima persona che ci raccontano quello che hanno vissuto, sentiamo la voce di gente comune che va a lavoro, del personale ferroviario, di persone rimaste gravemente intossicate, come di quelle che non hanno quasi avuto sintomi. Ognuna di queste persone ha vissuto l’attentato in modo diverso, ma nessuna di loro vuole che ciò che è successo venga dimenticato e ciò è stato reso possibile grazie a Murakami Haruki in Underground.
—Recensione di Marta Bonfiglio.
16 Marzo 2022 | Registi
Ciao a tutti! Questa è Akushon!, la rubrica dell’associazione Takamori sui registi giapponesi. La puntata di oggi è la prima che ci parlerà di Sasabe Kiyoshi. Vediamolo insieme!
Sasabe Kiyoshi nasce nel 1958 a Shimonoseki, città nota per il trattato del 1895 che concluse la prima guerra sino-giapponese. Dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo nella città natale, si sposta nella capitale Tokyo per la formazione universitaria. Qui frequenta i corsi del dipartimento di letteratura dell’Università Meiji, dedicandosi principalmente al teatro, per poi seguire la propria formazione presso la scuola di specializzazione ora denominata Japan Institute of Moving Image, fondata dal noto regista Imamura Shōhei. Chiamato come assistente regista per dorama della tv giapponese, continua a formarsi sotto la supervisione dei registi Furuhata Yasuo e Izumi Seiji. Il suo debutto si ha all’inizio degli anni ’80 con Sparuta no Umi, un dorama che tratta le vicende per cui divenne tristemente nota al pubblico giapponese la Totsuka Yacht School di Mihama, nella prefettura di Aichi. La prima esperienza sul grande schermo risale invece al 2002, con il film Hi wa Mata Noboru, che dà il via a una serie di pellicole di cui sarà regista e spesso anche sceneggiatore.
Nonostante il suo tardivo debutto sul grande schermo, la carriera di Sasabe Kiyoshi, forzatamente interrota a causa della sua prematura scomparsa nel 2020, è costellata da opere degne di un regista della scuola moderna giapponese. La sua visione del cinema era molto cruda e semplice, il suo modo di comunicare al mondo la visione che aveva di questo era diretto, senza giri di parole e senza cercare di addolcire la pillola. Una delle tematiche più a cuore al regista era quella del rapporto che hanno particolari individui con la società, una società che non guarda in faccia a nessuno. Questa tematica molto rappresentativa del cineasta la ritroviamo nei quattro lungometraggi che andremo a prendere in considerazione, ovvero: Deguchi no nai umi, del 2006; Tōkyō Nanmin, del 2014; Yaeko no Hamingu, del 2016 e Tsure ga utsui ni narimashite, film del 2011 premiato come come miglior film internazionale ai Golden Roster Awards del 2013.
E con questo si conclude la prima parte del nostro approfondimento su Sasabe Kiyoshi. Potete guardare il nostro video qui. Se vi abbiamo incuriosito con la vita e la carriera di questo regista, ci vediamo mercoledì 30 marzo con la seconda parte!
13 Marzo 2022 | Film e Serie TV
True Mothers (朝が来る)
Regia: Kawase Naomi
Durata: 139 minuti
Attori principali: Hiromi Nagasaku, Arata Iura, Aju Makita
Anno: 2020
True mothers è un film basato sul romanzo “Asa ga kuru” di Tsujimura Mizuki, tratta le vicende di Satoko e Kiyokazu Kurihara, una coppia felicemente sposata che però non riesce ad avere figli. Questo li fa cadere progressivamente in uno stato di tristezza, tentano di cambiare questa situazione in ogni modo ma invano, finché non si rivolgono ad un ente no profit che accoglie madri che non possono prendersi cura dei propri figli, dando così la possibilità a delle coppie di adottarli. Ed è così che ai due viene affidato Asato, un bambino nato da una ragazza delle scuole medie di nome Hikari, che impossibilitata a tenerlo è costretta a separarsene. La coppia può quindi iniziare finalmente la loro vita familiare tanto desiderata, mentre Kiyokazu si dedica al lavoro, Satoko decide di lasciare tutto per dedicare il suo tempo alla crescita del figlio. Passano così cinque anni tranquilli fino a quando Hikari, madre biologica di Asato, decide di ripresentarsi nella vita dei Kurihara, rivendicando la maternità sul bambino e mettendo in crisi l’equilibrio familiare costruito negli ultimi anni.
True mothers è un film che parla di vite inizialmente separate, ma che poi per delle vicissitudini non del tutto piacevoli sono costrette a incontrarsi e ad intrecciarsi. Questo è reso con una narrazione che non è mai lineare, che avanza e indietreggia, il passato s’intreccia con il presente tramite dei flashback che ci permettono di capire cosa ha portato i personaggi a vivere determinate situazioni. Il regista Kawase inoltre conduce abilmente lo spettatore, nonostante all’inizio del film può sembrare di avere ben chiare le dinamiche che intercorrono tra i personaggi, e dove sia quindi il torto e la ragione, man mano che si va avanti con la visione il giudizio cambia, sostituendo magari il sentimento di disprezzo iniziale con comprensione.
Il tema della maternità e il forte impatto che ha nella vita di una donna, è ovviamente il centro di tutte le vicende, e viene presentato tramite le figure di Satoko e di Hikari: la prima che vorrebbe con tutta sé stessa un figlio non lo può avere, e ciò provoca in lei un senso di inadeguatezza, la seconda invece è costretta a rinunciarvi a causa dell’età e della situazione familiare, generando in lei nel tempo un forte senso di colpa.
—Recensione di Delia Pompili.
9 Marzo 2022 | Proiezioni
Ciao a tutt* e bentornat* sul nostro canale. Oggi vi presentiamo la quarta pellicola della rassegna AFS Spring 2022 in collaborazione con Asia Institute, Bushi no kondate di Asahara Yūzō.
I Funaki, un tempo una famiglia samuraica, si trovano relegati in cucina. A soffrirne più di tutti è Yasunobu, giovane erede dei Funaki, che ama tutto ciò che riguarda l’essere un samurai ma è costretto a rinunciarvi dopo l’improvvisa morte del fratello maggiore. Volendo partecipare a lotte e rivolte, non sopporta di dover stare ai fornelli ma è qui che interviene Haru, cameriera della moglie del damyō. Il padre di Yasunobu, infatti, nota la sua abilità culinaria e si convince che potrebbe aiutare il figlio. Così incentiva un matrimonio fra i due.
In questa pellicola è molto interessante il ruolo che assume il cibo: durante l’addestramento culinario di Yasunobu, ci vengono svelati alcuni dei segreti dei piatti e alcune delle attenzioni da riservare loro durante la preparazione. Durante una sfida fra Yasunobu e Haru capiamo che la bontà del pesce crudo, ad esempio, dipende dal taglio del cuoco. Un cattivo taglio lo porterebbe ad assorbire troppa salsa di soia, mentre un buon taglio ne conserverebbe tutte le qualità per poterlo gustare al meglio. Vi lasciamo immaginare di chi sarà il taglio migliore.
Bushi no kondate è stato presentato ai Film Festival di San Sebastian, delle Hawaii, di Tokyo e di Berlino. Ha ricevuto due nomination nel 2014 per migliore attrice e per migliore attrice non protagonista alla 37esima edizione del Japan Academy Film Prize. Inoltre, alcune delle ricette sono state prese davvero dalla tradizione della famiglia Funaki. Questo piccolo scorcio che ci offre sulla cucina giapponese è sicuramente un motivo in più per guardarlo.
Vi aspettiamo quindi il 15 marzo alle 21 al Cinema Rialto con Bushi no kondate. Potete guardare il trailer cliccando qui, i biglietti invece sono acquistabili qui. A presto!
6 Marzo 2022 | Musica
No Buses è una band che si è formata a Tokyo nel 2016. Iniziata per gioco da due amici e compagni d’università Kondo Taisei (voce e chitarra) e Goto Shinya (chitarra), la primissima formazione del gruppo era composta anche da Ota Kozo (basso) e Kawase (batteria) che però lasciano il gruppo a un anno di distanza, sostituiti rispettivamente da Ono Shio e il batterista di supporto Ichikawa Issei. Tuttavia, anche Ono lascia la band qualche mese più tardi.
Subentra al suo posto Sugiyama Saori (basso) accompagnata dall’entrata ufficiale del batterista nella band. I quattro, che tutt’ora compongono la formazione attuale, sono presto protagonisti di una crescente popolarità all’interno degli ambienti underground giapponesi dove spesso si
esibiscono e la loro prima demo, Boys Love Her, viene pubblicata su OTOTOY già nel 2017, a meno di un anno dalla formazione finale del gruppo.
Nel 2018, la band pubblica Tic, il singolo grazie al quale la band raggiungerà il pubblico internazionale online, garantendogli inoltre le partecipazioni sui piccoli palchi di importanti festival nazionali come il SUMMER SONIC e lo Tsukuba Rock Festival. A fine dello stesso anno i No Buses pubblicano il nuovo EP, Boring Thing EP.
A seguito di una serie di progetti con altri musicisti underground, la band decide di prendersi una pausa dalle pubblicazioni per concentrarsi sul primo album in studio. Nel 2020, escono i video musicali delle canzoni Imagine Siblings e Number Four or Five, due canzoni che verranno poi abbinate a Trying Trying, brano già pubblicato dalla band nel 2019, dando così forma al singolo intitolato Immaginate Siblings / Number Four or Five / Trying Trying.
Dai ritmi vertiginosi e il suono grintoso i No Buses toccano le corde giuste e reinventano la scena nazionale underground dalla quale sono emersi. Alternativi ed energici, il loro sound rievoca quello del British Rock classico. Ma i No Buses sono molto più di un’imitazione di un’era passata, sono
dei veri e propri viaggiatori del tempo, che balzano nel nostro decennio trasportandoci nella loro musica e nella loro estetica delicatamente psichedelica.
Terminiamo la recensione deliziandovi con il video musicale di Pretty Old Man (dall’album Boy Missed the Bus, 2019), che con i suoi 5 milioni di visualizzazioni, reputiamo essere il brano ideale per gettarsi in balia del vortice No Buses.
https://www.youtube.com/watch?v=xtn_SmyT87s
—Recensione di Claudia Ciccacci.
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