Piercing – Murakami Ryū || Recensione

Autore: Murakami Ryū

Titolo originale: Piasshingu (ピアッシング)

Editore: Atmosphere Libri

Traduzione: Gianluca Coci

Edizione: 2021

Pagine: 208

Se c’è un elemento fondante della narrativa di Murakami Ryū, questo è senza dubbio il desiderio di fuggire dalle convenzioni sociali, la necessità di evadere dalla cultura di massa. Allo stesso modo, i suoi personaggi sentono il bisogno di scappare dal quotidiano e dall’ordinario, un bisogno che ha un’urgenza che è pari ai bisogni sfrenati di un maniaco omicida. La fuga dalla opprimente normalità viene realizzata tramite la violenza, tramite situazioni degradanti e depravate che confluiscono in quella che è stata definita una “narrativa del male”. Questi personaggi, a disagio in una società tediosa, tranquilla e conformista, fanno dell’esplorazione della perversione una ricerca della loro identità più autentica, una individualità che si può raggiungere tramite ciò che la società stessa considera tabù.

Durante la stesura di Piercing, l’autore ha fatto ricerche e ha intervistato ragazze operanti nel settore del sadomaso, riuscendo a dare una realtà e un’umanità ai personaggi fuori dall’ordinario. Murakami ha trovato in loro una propulsione anti-società incredibilmente affascinante, legata ai traumi infantili che molte di queste ragazze avevano vissuto e che le avevano portate al sadomaso come una sorta di “terapia”. Infatti, per Murakami, anche di questo si tratta: una terapia, un gioco tra il dominante e il dominato, che nel sistema di ruoli permette di andare alla ricerca di qualcosa di “oltre”, una speranza per il futuro.

Così, conosciamo Kawashima Masayuki, un uomo come tanti con una carriera di tutto rispetto, innamorato di sua moglie e preoccupato che la sua amata figlia neonata possa soffrire, come lui, di disturbi del sonno. Così, in una notte come tante in cui la osserva dormire, si rende conto di non poter più reprimere un oscuro bisogno, quello di trafiggerla con un punteruolo. Terrorizzato all’idea di far del male alla propria figlia, decide di sfogare questa sua pulsione con pragmaticità e razionalità, ovvero uccidendo una prostituta senza farsi scoprire, salvaguardando così la sua famiglia. I suoi piani verranno tuttavia stravolti quando la prostituta che ha ingaggiato si rivelerà essere una masochista con tendenze suicide che avrà una crisi proprio nel momento peggiore.

Piercing ci pone innanzi a un presupposto inusuale per un thriller psicologico: e se non ci fosse solo UN personaggio con disturbi psichici? Basta questo per ribaltare l’archetipo di questo genere di narrativa, creando mille combinazioni date dalle interazioni delle idiosincrasie delle menti (anormali? Diverse? Malate?) dei protagonisti. Dove li porterà il loro incontro? A una fine truculenta o alla salvezza?

L’altro interrogativo che genera questo romanzo è su quanto i protagonisti siano effettivamente colpevoli. Entrambi hanno subito dei traumi che li hanno resi ciò che sono. Da un certo punto di vista, il protagonista Kawashima cerca di fare la scelta più responsabile e razionale, incanalando le sue pulsioni verso una vittima “esterna” piuttosto che alla famiglia. I personaggi di Piercing sono quindi, a conti fatti, delle persone “normali”, e ciò che hanno vissuto loro non è accaduto invece a noi solo per uno scherzo del destino. Murakami vuole sottolineare come non si tratti di eccezioni: chiunque abbia avuto una infanzia come la loro potrebbe ritrovarsi nei loro panni.

— Recensione di Chiara Coffen

Hamaguchi Ryūsuke Parte 2 || Akushon! – I registi di JFS

Bentrovati! Questa è Akushon!, la rubrica di associazione Takamori sui registi giapponesi. Oggi torniamo a parlare di Hamaguchi Ryūsuke con la seconda parte del nostro approfondimento.

Happīawā (Happy hour) è un film drammatico del 2015 che racconta di quattro amiche Jun, Akari, Sakurako e Fumi alle prese con compagni mediocri e prepotenti. Jun è la prima che cerca di uscire fuori da un rapporto di coppia gelido chiedendo il divorzio, e nonostante la sorpresa iniziale delle tre amiche, poco a poco anche loro di riflesso iniziano a ripensare alle loro condizioni matrimoniali. La assistono in tribunale durante un processo già perso in partenza e dopo ciò decidono di concedersi un viaggio ai bagni termali di Arima, ma qui Jun sparisce misteriosamente. Da questo momento in poi si scateneranno una serie di eventi inaspettati nella vita delle tre donne rimaste. Happīawā è un film che segue la storia di un gran numero di personaggi, in una narrazione che segue le loro vite per un periodo piuttosto lungo, e che non cerca di contenere gli eventi ma di raccontarli con tutto il tempo necessario. Tema centrale è la condizione femminile, fatta di soprusi e sottomissione, tramite le quattro protagoniste vengono raccontate vite di donne cariche di oneri e con uomini completamente indifferenti, pronti a scaricare ogni colpa su di loro in caso di difficoltà, come succede nel processo di Jun. Dunque è evidente come nonostante ci troviamo nel Giappone contemporaneo la parità dei sessi è ancora ben lontana da raggiungere.

Ora due parole su Netemo Sametemo, un film drammatico del 2018 tratto dal romanzo omonimo di Shibasaki Tomoka.
Racconta la storia di Asako, una timida studentessa di Osaka che dopo aver incontrato il giovane e misterioso Baku se ne innamora perdutamente. Nonostante le promesse iniziali di amore eterno da parte di lui alla fine si rivela essere uno spirito libero, e dunque improvvisamente scompare lasciando Asako nello sconforto più totale. Due anni dopo la ragazza si trasferisce a Tokyo e qui incontra Ryohei che nonostante all’apparenza sembri essere come Baku, in verità rivela una personalità completamente diversa, gentile e premurosa. Da principio turbata, Asako si lascia poi andare al nuovo amore, sperimentando una nuova relazione sentimentale più profonda e meno impetuosa. In questo film Hamaguchi vuole quindi raccontare la nascita di un amore in una ragazza che racchiude tutti gli stereotipi sentimentali e che crede ciecamente che il suo primo amore sarà eterno. Quella di Asako è una storia semplice che viene raccontata in maniera lineare ma disseminata di piccoli momenti di tensione che servono a sconvolgere gli equilibri della vicenda, ma mai in maniera irreparabile.

 

Se volete continuare a scoprire la filmografia di Hamaguchi Ryūsuke e ad esplorare al meglio il regista, cliccate qui per vedere il nostro video approfondimento al riguardo oppure visitate il nostro canale YouTube… A presto!

Violent Cop (1989) | Recensione

Titolo originale: その男、凶暴につき
Regista: Kitano Takeshi
Uscita al cinema: 12 Agosto 1989
Durata: 103 Minuti
Attori principali: Kitano Takeshi, Kishibe Ittoku, Sei Hiraizumi


RECENSIONE:


Violent Cop
è un film del 1989 che segna il debutto di Kitano Takeshi come regista e interprete di un ruolo drammatico.
Azuma, impersonato dallo stesso Kitano, è un poliziotto della Squadra Omicidi, indisciplinato con i suoi superiori e rude con le reclute, che affronta la dilagante corruzione in città con metodi sicuramente poco ortodossi, non esita infatti a ricorrere alla violenza per risolvere questioni sia nella vita lavorativa che fuori.
Impegnato anche con una moglie malata, l’unica persona per il quale Azuma mostra un profondo affetto quasi possessivo è la sorella minore Akari, affetta da disturbi mentali. Durante le indagini di alcuni omicidi legati a un gruppo di narcotrafficanti, Azuma scopre che uno dei suoi superiori, Iwaki, è coinvolto nello spaccio di droga. Questa terribile scoperta insieme ad una serie di tragici episodi, tra cui il rapimento della sorella Akari da parte di un gruppo di spacciatori, portano Azuma a non riuscire a tenere più a freno la propria rabbia, che si trasforma in una follia omicida.

L’uscita di Violent cop suscitò grande sorpresa nel pubblico, per la prima volta si vedeva Kitano abbandonare il suo canonico ruolo di cabarettista e comico televisivo per impersonare il brutale detective Azuma. Ciò che stupì maggiormente fu proprio come riuscì a combinare elementi così distanti da tutto ciò che aveva rappresentato nella sua carriera finora, in un film tremendamente cinico e non certo privo di dettagli cruenti. Al centro della pellicola vi è il tema della Yakuza, molto caro al cineasta, misto ad alcuni tratti tipici del poliziesco.
Lo stile è caratterizzato da molte immagini statiche che si alternano a improvvise esplosioni di violenza. In tutto ciò viene inserita la figura di Azuma, inizialmente taciturna e noncurante di qualsiasi etica lavorativa, ma che con il succedersi degli eventi diventerà il motore principale di atti brutali. Si presenta come posseduto da una rabbia interiore auto-distruttiva che si nutre sia dei suoi gravi problemi familiari che della totale anarchia in campo professionale dove è mal visto da colleghi e superiori.
Una delle cause principali di tali comportamenti è anche sicuramente l’ambiente stesso, nichilista, dove regnano corruzione e immoralità, nel quale perciò non è possibile difendere la legge senza continue violazioni della stessa.

— Recensione di Delia Pompili.

Tokyo Tower (2007) | Cineteca JFS

L’Associazione Takamori è lieta di presentarvi Tōkyō Tower, un film drammatico giapponese del 2007 diretto da Matsuoka Jōji.

Titolo originale: 東京タワー 〜オカンとボクと、時々、オトン〜
Regista: Matsuoka Jōji
Uscita al cinema: 14 Aprile 2007
Durata: 142 Minuti

Tratto dall’omonimo best-seller autobiografico di Lily Franky, Tokyo Tower si apre raccontando la storia di Nakagawa Masaya, vero nome dell’autore  interpretato da Odagiri Jō, partendo dall’infanzia di quest’ultimo, nella quale vede il padre, un artista eccentrico affetto da problemi con l’alcool, picchiare la madre Eiko.
A seguito di quest’evento Eiko decide di lasciare il marito e di portare il piccolo Masaya via con sé dove grazie al suo duro lavoro riuscirà a far vivere al figlio un’infanzia normale.

La pellicola è riuscita a vincere 5 premi al Japan Academy Prizes quali miglior film, miglior regia, screenplay dell’anno, migliore attrice protagonista e miglior attore non protagonista. Ha inoltre ricevuto nomination quali miglior attore protagonista, migliore attrice protagonista e miglior attore non protagonista alla seconda edizione degli Asian Film Awards.

Il film trova un ottimo connubio tra malinconia e momenti leggeri riuscendo, con un ottimo lavoro di scrittura, a dipingere un sincero rapporto madre-figlio.
Tokyo Tower si snoda tra i flashback del protagonista andando a raccontare una storia di vita comune le quali vicende scavano nella complessità di cosa voglia dire crescere e di come sia giusto farlo anche nei momenti più duri.

Per maggiori informazioni riguardo al film, vi invitiamo a visitare il nostro canale YouTube dove potrete visionare il nostro nuovo video (disponibile premendo qui), insieme a tanti altri contenuti interessanti sul mondo della cinematografia giapponese e non solo !

Vi ricordiamo che il database di tutti i sottotitoli dei nostri film è a vostra disposizione qualora siate interessati a proiettarli all’interno delle vs manifestazioni.
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