Favole del Giappone. Niimi Nankichi || Luni Editrice

L’associazione Takamori è lieta di segnalarvi il seguente testo pubblicato sul sito Web della Luni Editrice (consultabile al link https://www.lunieditrice.com/product/favole-del-giappone-niimi-nankichi-letteratura-giapponese-racconti/):

Niimi Nankichi è uno degli autori più rappresentativi della moderna letteratura giapponese per l’infanzia e per ragazzi: la sua idea di letteratura traspare dalle scelte dell’ambientazione e dei valori, ma anche dei personaggi che rimangono nella memoria dei lettori.

Il senso di solitudine e desiderio insopprimibile di comunicare a dispetto dell’instabilità e dell’imprevedibilità dell’esistenza, rappresentano non solo il leitmotiv dei racconti del primo periodo, ma la corrente che scorre nella sua produzione fino alle ultime opere.

Il racconto Gon la Volpe, che apre questa raccolta, è stato il suo primo grande successo: presente nei manuali scolastici giapponesi, oggetto di numerosi adattamenti, è entrato nell’immaginario collettivo giapponese; i suoi ultimi scritti sono di rara bellezza, ricchi di allegorie e simboli, come il racconto qui tradotto Il lume a petrolio del nonno che è tra le sue opere più conosciute.

Nei suoi racconti realtà e finzione letteraria si inseguono in contrappunto mentre il legame con i luoghi contadini della sua infanzia diviene più profondo: egli non è più osservatore, ma diviene parte stessa di quella sorta di universo sospeso, fatto di cristallina semplicità, nel quale la dimensione letteraria è accomunata alla capacità di coinvolgere il lettore, accompagnato dalla voce stessa del narratore.

Niimi Nankichi (1913-1943) è spesso presentato come l’Hans Christian Andersen del Giappone.

Originario di Handa, ha lasciato una ricca produzione di racconti, poesie, filastrocche e testi teatrali la cui accuratezza e grazia restituiscono il mondo della provincia rurale giapponese, tra tradizione e modernità. Abbandonata Tōkyō dove si era recato per studiare a causa delle difficoltà economiche e dopo aver contratto la tubercolosi, torna nella sua provincia di origine dove scopre un osservatorio privilegiato tra passato e futuro e in generale sull’essere umano al confronto con il passare del tempo, l’imprevedibilità dell’esistenza, il bisogno di comunicazione con l’altro. Il progredire della malattia è accompagnato da uno slancio creativo che testimonia la volontà dell’autore di affidare la sua voce alle storie che rimarranno dopo di lui.

Maria Gioia Vienna è docente di lingua e letteratura del Giappone presso l’Università per Stranieri di Siena. Ha tradotto fiabe del Giappone centrale, romanzi e racconti di Ozaki Kōyō, Edogawa Ranpo, Mishima Yukio, Ōba Minako e Uchida Shungiku.

Miike Takashi parte 2 || Meijin Film Directors – I Registi di JFS

Benritrovati! Questa è Meijin Film Directors, la rubrica Takamori sui registi giapponesi, e oggi continuiamo a parlarvi di Miike Takashi.

Il primo successo internazionale di Miike arriva nel 1999 con Audition: all’inizio il film ci viene presentato come una storia d’amore per poi sfociare in un thriller con atmosfere stranianti e una narrazione labirintica. Tratto dall’omonimo romanzo di Murakami Ryū, il regista ci conduce nei meandri della psiche umana riflettendo oltretutto sull’oggettificazione del corpo femminile.

“Ichi the killer” del 2001, uno dei pulp classici di inizio millennio, ruota attorno a due personaggi: Ichi, un ragazzo molto timido che quando si arrabbia diventa un assassino spietato, e Kakihara, uno yakuza sadomasochista mai soddisfatto. Mescolando il genere yakuza con l’azione e l’horror, Miike crea un ‘opera completamente folle e gioiosamente sanguinosa che porta lo spettatore ad essere contemporaneamente divertito e disgustato dalla violenza mostratagli.

Nello stesso anno gira, come parte di un progetto per la tv chiamato “Love Cinema”, “Visitor Q”: il ritratto di una famiglia allo sbando e di un misterioso visitatore che ripristinerà la pace all’interno della casa. Di forte ispirazione pasoliniana il film muove un’aspra critica alla disfunzionalità dei rapporti familiari e alla televisione giapponese, divenendo probabilmente l’opera più controversa di tutta la carriera del maestro.

Se volete scoprire le vite e le opere di altri registi giapponesi, continuate a seguirci! A presto!

Eve – Bunka || Recensione

Eve (いぶ) è un artista che sta assumendo sempre più rilevanza nel panorama indie-pop e pop giapponese e la cui popolarità sta diventando sempre più diffusa anche internazionalmente.

Eve è attivo sotto questo pseudonimo sulla scena musicale fin dal 2009, quando all’età di soli 13 anni ha cominciato a pubblicare cover sul sito giapponese Nico Nico Dōga, per poi espandersi negli anni cominciando a pubblicare canzoni in proprio oltre che a cover, passando alla piattaforma Youtube per le sue canzoni. Oggi pubblica esclusivamente contenuti originali e conta ben cinque album completi, oltre ad innumerevoli singoli e mini album.

Eve viene spesso associato alla sua voce chiara e medio-alta, leggermente nasale, che porta un velo di freschezza alle sue canzoni. I suoi brani sono spesso ritmati e accattivanti, tuttavia i testi rivelano un sottofondo di amarezza e inadeguatezza, leggermente malinconici ma mai pesanti o banali, spesso ricchi di metafore, giochi di parole e riferimenti alle sue stesse canzoni, creando un universo ricco e coeso.

Bunka (文化) è il suo secondo album, pubblicato nel 2017 sotto la sua etichetta, Harapeco Records, e conta 10 canzoni. Ciò che rende questo suo album più unico e distinto dal primo, Official Number, è il fatto che Eve ha personalmente scritto e composto tutti i brani presenti nell’album, invece di affidarsi a compositori esterni. Inoltre, un punto che rende questo album davvero interessante è il fatto che è aperto e concluso da due brani esclusivamente strumentali, ovvero Fanfare e Paradigm. In questo album troviamo alcune delle canzoni più iconiche e memorabili di Eve, tra cui possiamo ricordarne tre:

-Bungaku Nonsense (文学ナンセンス), il primissimo brano interamente composto e scritto da lui. La natura ritmata e veloce della canzone dà un forte senso di adrenalina, e le numerose allitterazioni e onomatopee presenti nel testo la rendono sicuramente molto memorabile. Tuttavia il testo rimane piuttosto cupo, con forti allusioni al sentirsi esterni alla società ed isolati.

Dramaturgy (ドラマツルギー), la canzone che lo ha davvero portato sotto i riflettori è ancora oggi tra le più amate, arrivando a più di 150 milioni di visualizzazioni solo su Youtube, grazie anche all’iconico video musicale animato dall’artista indipendente Mah. Anch’essa è una canzone molto veloce, ma spesso rallenta leggermente per spaziare ritmo e testo, dando un attimo di respiro all’ascoltatore ma anche uno spiraglio sulla natura del testo, che anche in questo caso si concentra su temi di inadeguatezza e il bisogno di mettere una maschera e recitare costantemente.

Okinimesumama (お気に召すまま) è un altro brano estremamente amato, grazie al suo ritmo e alle tendenze pop-rock presenti, che lo rendono immediatamente un classico della discografia di Eve. Il brano a primo sguardo sembra molto allegro dal punto di vista ritmico, inducendo l’ascoltatore al sorriso, ma anche il testo di questa canzone rimane legato alla disillusione verso la propria vita, benché in modo più leggero e giocoso rispetto ai termini pesanti usati in Dramaturgy.

Eve è un cantautore che lascia una forte impressione su chi lo ascolta, sia per la sua voce piacevole ed espressiva, che per le sue canzoni, con i loro ritmi tanto orecchiabili quanto pensati e i loro testi che spingono chi ascolta a riflettere su di essi, facendoli suoi. Spingiamo i nostri lettori a constatare il suo peculiare approccio alla musica ascoltando loro stessi la sua ricca e meravigliosa discografia.

Recensione di Camilla Ciresa

Atarayo || Takamori J-Sound

L’Associazione Takamori è lieta di presentare J-Sound, la nuova rubrica dedicata agli artisti e alla musica giapponese!

In questo primo episodio vi parleremo degli Atarayo, band giapponese fondata nel 2019 che conta, ad oggi, due album in studio e svariati singoli pubblicati. Il sound, variabile dal rock al pop punk, accompagna l’inconfondibile voce della frontman Hitomi. Ascolto consigliato l’EP del 2021 夜明け前 (Yoakemae), che contiene il brano più celebre del gruppo, 10月無口な君を忘れる (Jūgatsu Mukuchi na Kimi wo Wasureru).

Grazie mille per l’ascolto!

La torre spettrale || Recensione

Autore: Edogawa Ranpo 江戸川 乱歩

Anno: 1937-1938

Editore: Luni Editrice

Edizione: 2022

A cura di: Stefano Lo Cigno

Titolo originale: 幽霊塔

Pagine: 286

Un piccolo paesino nei pressi di Nagasaki noto, cripticamente, come K. ; una vecchia magione abbandonata su cui aleggiano, minacciosi, i fantasmi di un passato neanche troppo remoto; una giovane donna, di nome Akiko, bellissima ma circondata da un indecifrabile alone di mistero; un giovane ed energico protagonista, Kodama Mitsuo, figlio adottivo del nuovo acquirente della magione; un recente orribile delitto e soprattutto la grande torre dell’orologio, vero cuore pulsante dell’intera narrazione.

Questi sono gli elementi fondamentali de “La torre spettrale”; in questo lavoro Edogawa Ranpo dimostra ancora una volta di essere un maestro del genere, forgiando un’opera completamente unica e sui generis. Costantemente in bilico sulla sottile linea tra paranormale e razionalità, tra eventi apparentemente inspiegabili e orrori lucidamente escogitati, l’opera trascina con il suo ritmo incalzante e intriga con i suoi contorni sfumati e mutevoli; in questo mondo di maschere, di specchi e di labirinti, tutte le apparenze risultano essere ingannevoli, frutto di infiniti giochi di prestigio. Il lettore viene avvolto dall’atmosfera oscura, spesso inquietante, dell’opera e si trova a brancolare nel buio tanto quanto il protagonista, tentando difficoltosamente di comporre i tasselli incoerenti di una storia che appare sempre più intricata.  

Come ombre inquietanti si stagliano, sullo sfondo della narrazione ma sempre cupamente centrali nel dipanarsi delle vicende, le strane leggende riguardanti la casa. A partire dalla misteriosa scomparsa avvenuta decenni prima del ricco ed avido Tokaiya, mercante appassionato di meccanismi che aveva ordinato la costruzione dell’edificio, il luogo è temuto e circondato da una pesante aura di mistero. Non solo si vocifera che sia infestato dagli spettri e che vi aleggino terribili rancori, vecchi e nuovi; le voci affermano anche che vi si trovi un favoloso tesoro, perduto da tempo nei dedali ormai dimenticati di un labirinto. L’apparizione continua di soggetti sinistri e “malvagi” turba la vita degli abitanti della casa, obbligando il protagonista a scavare a fondo nell’inquietante passato della dimora e dei suoi nuovi abitanti, scoprendo verità molto al di là di ogni sua aspettativa.

Con i suoi continui colpi di scena, l’opera raramente risulta prevedibile, riuscendo sempre a stupire il lettore e a fondere perfettamente la sua vena “soprannaturale” con una natura più investigativa e poliziesca. In un susseguirsi di tigri, daghe nel buio, esseri “divini” e nuovi nemici, l’autore riesce a mantenere viva la suspense durante tutto il corso dell’opera; lungi però dall’appiattirsi sui soli temi del mistero e dell’investigazione, “La torre spettrale” mette in scena anche l’amore, vera e propria forza motrice delle azioni del protagonista ma anche ragione di conflitto, rendendo la trama ancora più appassionante e riuscendo a generare un forte coinvolgimento emotivo nel lettore.

Pubblicata a puntate tra il 1937 e il ’38, l’opera costituisce un libero riadattamento dell’omonimo racconto a puntate dello scrittore Kuroiwa Ruikō. “La torre spettrale” ha lasciato un segno forte e duraturo nel mondo culturale giapponese; nonostante la distanza cronologica e di contesti culturali, l’opera appare assolutamente in grado di parlare anche al lettore occidentale e contemporaneo, catturandolo nel complesso intreccio delle vicende e facendogli vivere emozioni forti, scandite dal movimento arrugginito dei suoi vecchi meccanismi e dal rintocco sordo delle sue campane.

Recensione di Mattia Natali