Love Life || Recensione
Regia: Kōji Fukada
Anno: 2022
Durata: 123 min
Genere: Drammatico
Attori principali: Fumino Kimura, Kento Nagayama, Atom Sunada
La storia ruota attorno alle vicende di una famiglia che conduce un’esistenza sostanzialmente tranquilla. Abbiamo Taeko, un’assistente sociale sposata con Jiro e madre di Keita, un bambino di sei anni con una spiccata intelligenza e campione di Othello (un popolare gioco da tavolo). In occasione del compleanno del signor Osawa, il padre di Jiro, vanno a fare visita i suoceri nel loro appartamento. Il padre è visibilmente scocciato di essere lì e rivela senza mezzi termini che non ha mai accettato Taeko in famiglia per essere una donna più grande del suo consorte e soprattutto per avere un figlio nato da una relazione precedente. Purtroppo non è la cosa più grave che succede quel giorno: Keita, mentre sta giocando in bilico sul bordo della vasca, scivola battendo la testa e annegandoci dentro. Durante il funerale ricompare dopo quasi quattro anni l’ex marito di Taeko, Park, un sordomuto coreano senza permesso di soggiorno che negli ultimi anni è stato costretto a vivere per strada.
La morte del bambino, oltre ad essere un pugno nello stomaco rivolto allo spettatore, lascia un vuoto incolmabile nelle vite dei personaggi. Si creerà uno spazio di riflessione per ciascun membro della famiglia, dando loro l’occasione di ripensare sé stessi, riavvicinandosi anche con il proprio passato. Se nella prima mezz’ora del film la famiglia viene raffigurata come un tutt’uno, adesso ogni personaggio viene isolato dagli altri, collocato in uno spazio silenzioso all’interno del quale si interroga su alcune questioni esistenziali come l’elaborazione del lutto, la fede in Dio e la paura della solitudine.
Taeko avrà il compito più arduo: quello di recuperare la forza di andare avanti malgrado i sensi di colpa per non aver svuotato l’acqua della vasca prima che succedesse la tragedia, mentre il ricordo di Keita riecheggia come un fantasma tra le pareti. Sarà riallacciando i rapporti con Park che la donna riuscirà a raccogliere i cocci della sua esistenza: emblematica è una delle sequenze finali dove la protagonista balla goffamente sotto la pioggia come finalmente pervasa da un sentimento di immotivata speranza.
“Love life”, in concorso alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, pone l’accento sulle reazioni delle persone di fronte a un evento più grande di loro dando vita a un’opera silenziosamente lacerante quanto delicata.
Recensione di Martino Ronchi
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