Kore’eda Hirokazu parte 2 || Meijin Film Directors
Bentornati nella nostra rubrica dedicata ai registi giapponesi, oggi continuiamo a parlarvi di Kore’eda Hirokazu.
Per altre curiosità sui registi giapponesi, continuate a seguirci!
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Lo shoegaze, genere sviluppatosi negli anni ‘80 in Inghilterra per poi andare scemando verso la fine degli anni ‘90, continua in realtà a influenzare pesantemente il sound delle band punk e rock del giappone del nuovo millennio, caratterizzate da toni abrasivi e aggressivi. È su quest’onda che si forma a Kobe nel 2002 la band “MASS OF THE FERMENTING DREGS” (In giappone accorciato come “Masu dore”).
Nonostante alcuni cambiamenti di membri nel corso degli anni, fin da subito il gruppo stabilisce un proprio stile che resterà consistente fino al primo periodo di inattività iniziato nel 2012. Fondatrice e colonna portante della band è la cantante e bassista Miyamoto Natsuko, che nel suo cantato tendente a melodie e sonorità pop resta tuttora l’elemento più riconoscibile ad un primo ascolto.
Nello specifico oggi ci concentreremo sul loro primo album: “Zero comma, Irotoridori no Sekai”, pubblicato nel 2010, dove assieme a Miyamoto abbiamo Ishimoto Chiemi alla chitarra e Yoshino Isao alla batteria. L’album è composto da 9 tracce e dura circa 35 minuti.
Sin dalla prima canzone, che dà il nome all’album, la band mette tutte le carte in tavola: la batteria che picchia aggressivamente, la chitarra che dalla prima nota è ricolma di pesante distorsione e il basso che nonostante tutto riesce a farsi notare, formano il tipico “muro sonoro” che caratterizza il genere. Nonostante ciò, l’arrivo della voce di Miyamoto richiama l’attenzione dell’ascoltatore, non solo per la sua dolcezza e per i testi generalmente malinconici, ma anche perché riesce a spiccare rispetto al caos che porta la parte strumentale.
Il contrasto dinamico tra caos strumentale e dolcezza vocale resta essenzialmente una costante dell’intero progetto. L’eccezione della traccia “RAT”, quasi completamente strumentale, vede un basso molto più preponderante ed è una delle più aggressive.
A metà album, subito dopo, abbiamo “ONEDAY” che inizialmente sembra essere un pezzo più lento e pulito dei quattro precedenti, ma neanche qui la band riesce a contenersi e inevitabilmente nell’ultimo minuto si raggiunge il picco emotivo della canzone,culminando in un finale tanto esplosivo quanto emotivo.
La canzone finale “Sanzameku” conclude l’album racchiudendo tutti i concetti stilistici esplorati in un unico pezzo, che passando da un’introduzione piuttosto drammatica a una parte intermedia più pulita, giunge infine ad una sezione che, più che aggressiva, è energica, speranzosa e soddisfacente.
In conclusione, l’alternarsi di lunghi stacchi strumentali e testi brevi ma di impatto è la formula che caratterizza l’intero album che di conseguenza ne risulta omogeneo ma non necessariamente ripetitivo. Considerando inoltre la durata relativamente breve, se la prima traccia piace, non è difficile restare in ascolto fino alla fine.
Recensione di Biagio Furni
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