Arcipelago Giappone: Un’estate a Zushi || Biblioteca Salaborsa 24 Gennaio

Dopo il primo incontro con “Favole del Giappone“, continua la rassegna di incontri sulla collana di Luni Editrice “Arcipelago Giappone”,
Questa volta parleremo di “Un’estate a Zushi” di Tachibana Sotō. A tenere l’incontro ci saranno il direttore della Rassegna Francesco Vitucci e il traduttore stesso del libro Marco Taddei.

L’incontro si terrà presso la Biblioteca Salaborsa il 24 Gennaio alle ore 18, vi aspettiamo numerosi!

Shindō Kaneto parte 1 || Meijin Film Directors


Bentornati su Takamori, oggi per la rubrica Meijin Film Directors, vi parliamo di Shindō Kaneto!

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Our hope – Hitsujibungaku || Recensione

Hitsujibungaku è un trio indie rock fondato a Tokyo nel 2011. Inizialmente costituito da cinque membri, il gruppo inizia la sua carriera realizzando cover di altre band, per poi cominciare a scrivere materiale originale ed esibirsi durante i primi anni di liceo. Attualmente il trio è costituito da Shiotsuka Moeka, cantante, Kasai Yurika al basso e Fukuda Hiroa alla batteria. La parola bungaku nel nome sta a indicare l’importanza del testo nella musica della band; un lirismo delicato ma allo stesso tempo d’impatto, accompagnato da una musica che sa essere dolce e incisiva quando necessario, costituisce l’elemento distintivo dello stile di Hitsujibungaku.                              

Questa caratteristica emerge in particolar modo nel loro terzo album, our hope, che presenta influenza indie rock, dream pop e shoegaze. L’album si apre con hopi, in cui la voce della cantante e i cori, accompagnati da una chitarra riverberata e nostalgica, danno vita a un’atmosfera quasi sognante, resa ancora più suggestiva da un testo altrettanto evocativo.                                                                                                                      

 A seguire Hikarutoki (光る時), una delle tracce più rappresentative dei temi principali e del sound del disco: la voce cristallina di Shiotsuka Moeka è arricchita da armonizzazioni incisive e da una batteria che si mantiene inizialmente stabile e costante ma che cambia tempo nel ritornello, rilasciando l’aspettativa creatasi nella prima strofa ed esprimendo così in modo molto efficace il messaggio della canzone: il testo invita l’ascoltatore ad avere speranza nel futuro nonostante le avversità, poiché la bellezza della vita risiede proprio nella capacità dell’essere umano di poter fiorire di nuovo nonostante le intemperie. Il momento di splendore a cui fa riferimento il titolo può essere raggiunto affrontando la vita di petto senza farsi ostacolare dalla paura del futuro.                                                                                                                            

Un tema molto simile viene trattato nella quarta traccia, Mayoiga (マヨイガ), caratterizzata da un sound più oscuro dovuto alla presenza di una chitarra e un basso più intensi. La cantante sembra parlare direttamente all’ascoltatore, sottolineando l’importanza di agire per il proprio futuro, poiché la ricompensa di tale impegno ha un valore inestimabile. Allo stesso tempo, dobbiamo dare a noi stessi la possibilità di essere vulnerabili e dare sfogo alla nostra tristezza nei momenti più duri.                                   

our hope vuole ricordarci che ognuno di noi ha il potere di cambiare la propria vita e di costruire una realtà in cui splendere senza paura. L’album è un invito alla resilienza e alla speranza, a compiere piccoli miracoli apparentemente insignificanti ma che hanno il potere di mostrarci chi siamo davvero e il nostro potenziale; il tutto è incorniciato da un’atmosfera intima ed energetica allo stesso tempo, capace di mettere in luce le nostre paure più profonde ma anche di incoraggiarci ad agire per sconfiggerle.

Recensione di Francesca Marinelli

Chanmina || Takamori J-Sound

Bentornati su Takamori, oggi nella rubrica musicale vi parliamo di ‘Chanmina’, rapper e cantante giapponese!

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Il paese dei suicidi – Yū Miri || Recensione

Autrice: Yū Miri

Traduttrice: Laura Solimando

Editore: Atmosphere Libri

Edizione: 2020

Per lei era finita. La vita, però, andava avanti.

“Il paese dei suicidi” di Yū Miri è un romanzo che inizia con la fine. Tutto ciò che poteva accadere di felice nella vita della protagonista è già successo, non resta che vuoto e inadeguatezza.

Mone è un’adolescente all’inizio delle scuole superiori ed è del tutto chiusa in se stessa. Il rapporto con i genitori è praticamente inesistente. Il padre ha un’amante e la madre ne è consapevole, per questo ha in piano di fuggire insieme al figlio favorito, Satoshi. Anche a scuola la situazione non è migliore. Mone ha sì un gruppo di amiche con cui passare i pomeriggi, ma si può parlare di amicizia se il rapporto si basa unicamente sulla ricerca continua dell’approvazione della leader? Tra discussioni frivole su quale cibo sia più alla moda e quale colore sia più di tendenza, Mone cerca di restare a galla, perché essere tagliata fuori dal gruppo significa diventare invisibile anche per il resto della scuola.

Mone vuole morire.

Il romanzo si apre con un thread di un blog dedicato a chi, come lei, vuole togliersi la vita.

Su questo sito, non è difficile per Mone trovare un gruppo di persone con cui organizzarsi per suicidarsi insieme.

“Il paese dei suicidi” scaturisce indubbiamente dall’esperienza personale dell’autrice. Yū Miri, infatti, è stata soggetta a bullismo così forte a causa delle sue origini coreane da tentare il suicidio numerose volte in giovane età. È ben evidente la carica critica alla società giapponese, che emargina il singolo al punto che anche nell’atto estremo del suicidio si sente la necessità di trovare dei compagni sconosciuti, per non gravare su familiari e amici con i propri disturbi.

Tra la negligenza dei genitori e le amicizie fasulle a scuola, l’unica strada percorribile secondo Mone è quella del suicidio.

Purtroppo il personaggio di Mone non è indagato in maniera ottimale, sembra più un guscio vuoto che vuole contenere in poche pagine un’esperienza di vita assai più complessa. Ne consegue una narrazione a tratti impersonale e quasi superficiale, fermo restando che l’apatia è uno dei sintomi depressivi che più si evidenzia nella giovane protagonista.

Tuttavia a lettura terminata la mente del lettore resta affollata di immagini vivide, difficili da dimenticare, per quanto il contesto dato dal romanzo possa risultare scarno. Mone davanti ai binari del treno con la sua divisa scolastica; la luce calda e infuocata nella macchina in cui il gruppo ha deciso di suicidarsi; l’amato peluche di Mone, l’unico che l’ha vista piangere.

Sono sempre le percezioni di Mone a rendere la morte, prima un’idea lontana quasi fosse un sogno, un’esperienza improvvisamente concreta, che sembra addirittura di poter toccare con mano.

Conoscendo il mondo di Mone unicamente tramite le sue parole e i suoi sensi, più che le descrizioni sono i suoni a rendere vive le ambientazioni e l’atmosfera del romanzo. Siamo inondati dalle onomatopee del treno che sfreccia sui binari, le stazioni annunciate all’altoparlante, e il chiacchiericcio ovattato delle altre studentesse che intervallano i pensieri di Mone.

Tutti rumori di un mondo che non le appartiene e al quale lei non sente di appartenere.

Elena Angelucci