Autore: Kawabata Yasunari
Titolo originale: 雪國 (Yukiguni)
Editore: Einaudi
Traduzione: Luca Lamberti
Edizione: 2002
Pagine: 145
“Il paese delle nevi” è forse l’opera più conosciuta di Kawabata Yasunari e narra di una storia d’amore. Racconta di un uomo e della sua passione per la contemplazione, tanto delle arti quanto della natura. Probabilmente però è meglio evitare di catalogare attraverso il contenuto un’opera che ci stupisce più per lo stile e per la forma, piuttosto che per la sua ostentatamente esile e lacunosa trama. Se proprio si vuole ricorrere ad un etichetta, “Il paese delle nevi” tratta di bellezza. Questo romanzo uscì per la prima volta a puntate negli anni ’30 e sarà poi sottoposto a svariate aggiunte e manipolazioni da parte dell’autore, un uomo che probabilmente concepiva l’arte come un qualcosa di mai statico, che non tende a cristallizzarsi, un entità in preda ad un fluido dinamico, i suoi fruitori.
Questa bellezza di cui si parlava prima, da dove proviene? Chi è quest’uomo che ne è in perenne ricerca e contemplazione? Il protagonista di questo libro, quest’esteta, si chiama Shimamura, è un facoltoso critico d’arte proveniente dalla capitale. La bellezza scaturisce invece primariamente da Komako, una giovane geisha che lavora in un piccolo villaggio termale nel freddo nord del Giappone. “Primariamente” perché in questo libro tutto ciò che circonda i nostri personaggi emana bellezza, dall’onnipresente neve o le foglie degli aceri, fino alle corde del samisen ed i lembi dei kimono.
Il tutto si svolge durante la doppia permanenza di Shimamura in un albergo nell’anonimo paesino dove presta servizio Komako. Non ci vorrà molto prima dell’insorgere di un sentimento tra i due, celato addirittura dalle pagine del libro che mai lo bolla come amore. Un sentimento complesso naturalmente, dato che Shimamura è sposato mentre Komako sta lavorando come geisha proprio per poter pagare le cure al suo fidanzato malato. Questo rapporto germoglia nella cornice gelida della neve, ma non è robusto, è ciò che di più fragile possa esistere, e proprio per questo è speciale e stupisce. Inoltre è puro per via della spiccata spontaneità dei due coinvolti.
Sicuramente Kawabata ha incluso dei dettagli autobiografici nel delineare la figura di Shimamura, e si sa che ha gettato le righe per Komako, basandosi su una donna che ha amato, nonostante solitamente fosse restio a scegliere modelli esistenti per la creazione dei propri personaggi. Durante la stesura del libro, l’autore spese molto tempo nelle Yuzawa Onsen e probabilmente questa immersione nella natura combinata con l’animo sensibile di Kawabata, fu peculiare nella realizzazione di questo capolavoro.
Kawabata Yasunari studiò e applicò lo stile delle avanguardie europee stravolgendolo in parte, vista anche la sua solida formazione classica giapponese. Si alternano senza distinzioni citazioni colte, segmenti di stampo diaristico addirittura giornalistico, scrupolose descrizioni, haiku (che ben sintetizzano la forte impronta poetica di questo romanzo), ecc. Il tutto mantenendo le distanze dal razionale ed insipido scorrere degli eventi reali, praticando una specie di “non finito” lo scrittore solletica l’immaginazione del lettore.
Kawabata descrive tutta questa bellezza che circonda i suoi personaggi in maniera “neopercezionista”, con enorme finezza, che trova la sua miglior declinazione nelle piccole cose; i modi di fare di Komako, i kaki maturi che si vedono fuori dalla finestra… Un libro affascinante che ci fa fare i conti con accesi contrasti (dal freddo della neve ed il calore delle onsen fino al divario sociale dei personaggi) e allo stesso tempo ci proietta in un viaggio polisensoriale ed emotivo che lascia qualcosa nel cuore ogni essere non indifferente alla bellezza appunto. Insomma, questo romanzo che ha portato assieme ad altri due Kawabata alla vittoria del Premio Nobel per la letteratura nel 1968, decisamente non è la solita storia d’amore.
— Recensione di Elia Frontoni
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