La luce,il vento e il sogno, edito da Luni Editrice, é un’opera dell’autore Nakajima Atsushi che venne pubblicata nella rivista Bungakukai, arrivando in finale al prestigioso premio Akutagawa.
Viene raccontata la storia del celebre scrittore scozzese Robert Louis Stevenson, che decise di trasferirsi nell’arcipelago delle isole Samoa per trascorrere gli ultimi anni di vita. Sebbene la figura di Stevenson fosse già ampiamente conosciuta in Giappone, Nakajima Atsushi, grazie alla sua profonda cultura e alla formazione classica, riesce a fornire ampi dettagli su tale autore e sulle sue opere; emergono inoltre parallelismi tra la vita di Stevenson e quella di Atsushi.
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L’autore giapponese trova fin da subito una collocazione all’interno del panorama culturale nazionale, guadagnandosi la fama di autore della letteratura postcoloniale.
Così come Stevenson, anche Atsushi nutriva una forte insofferenza nei confronti dell’autorità politica e sviluppò uno sguardo critico verso gli abusi coloniali sulle popolazioni autoctone: La luce, il vento e il sogno si trasforma quindi in una sorta di autobiografia con un sottofondo di denuncia sociale. Entrambi gli scrittori condividono l’esperienza dell’incontro con l’altro, con il diverso; Stevenson con gli abitanti di Samoa e Atsushi con gli abitanti della Micronesia.
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Nella sua opera si evince come il rapporto con l’altro spesso possa sfociare nella violenza e nella sottomissione, andando a convergere in una relazione di sottomissione tra conquistatore e conquistato. Anche Atsushi, dopo la sua permanenza in Corea, iniziò a sviluppare posizioni critiche nei confronti del colonialismo ed elaborò un pensiero opposto a quello di molti suoi connazionali.
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A metà degli anni Novanta, la letteratura giapponese poneva la sua attenzione nell’esaltazione della guerra e della potenza militare del Giappone, il quale si trovava nella fase di massima espansione. Atsushi, insieme ad altri scrittori del Novecento, decise di non scrivere opere nazionaliste e quindi preferì ambientare le sue storie nella Cina e in Micronesia, facendo apparire evidente il suo interesse per l’esotico. Emergono una ricerca di un ambiente più puro e meno contaminato dalla civiltà e modi di vivere lontani.
Il rapporto con la natura è diretto, un modo alternativo di vivere, più semplice, lontano dallo sviluppo e dalla modernizzazione.
L’autore stesso ebbe la possibilità di compiere diversi viaggi durante la propria vita, come dimostrano le numerose annotazioni sui diari di viaggio, dai quali egli trae ispirazione la struttura dell’opera.
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Soprattutto nella prima parte la struttura della narrazione ricorda quella del celebre romanzo Robinson Crusoe di Daniel Defoe, dove vi è la dettagliata annotazione delle giornate e delle attività quotidiane del protagonista, che annota scrupolosamente le date di ogni giorno: Atsushi si dimostra così un esperto conoscitore della letteratura e della filosofia europea.
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Affermando egli stesso di mancare di creatività, Atsushi si definisce dipendente dalle sue fonti, le quali sono in grado di offrigli una sorta di percorso provvisorio sul quale fare riferimento:
in realtà, egli è capace di introdurre elementi innovativi, ispirandosi ad eventi realmente accaduti e di fantasia. Uno di questi è la ricorrente e velata presenza della morte. Le domande esistenziali, che fanno emergere insicurezze e paure, preparano il lettore alla morte di Stevenson. Atsushi usa la storia di questo autore scozzese per parlare di sé stesso, proiettando il tutto verso la dimensione del romanzo confessionale; infatti i due scrittori condividono esperienze di vita simili, come per esempio il fatto che entrambi siano sempre stati cagionevoli di salute. Nakajima Atsushi, attraverso questo stratagemma letterario riesce ad uscire dai canoni della letteratura del suo periodo, offrendo così uno dei maggiori esempi di sperimentalismo e modernità.
Recensione di Ludovica Vergaro
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