Autore: Ayatsuji Yukito

Traduzione: Stefano Lo Cigno

Editore: Einaudi Stile Libero Big

Edizione: 2024

Quando sette studenti universitari, accomunati da una grande passione per il mystery, decidono di trascorrere una settimana sull’isola di Tsunojima – che solo qualche mese prima era stata teatro di una tragedia familiare –, mai si sarebbero aspettati di diventare a loro volta protagonisti di una vicenda simile a quelle che leggono. O forse, qualcuno di loro sì.

Una serie di delitti minuziosamente architettati, storie d’amore che si intrecciano tra passato e presente e spiccate capacità intellettive di detective improvvisati sono gli ingredienti principali di quest’opera, un perfetto tributo a un pilastro del genere giallo, cioè Dieci piccoli indiani di Agatha Christie.

 

Da appassionata di gialli e specialmente di quelli di Agatha Christie, leggere questo libro è stato un vero piacere. L’ispirazione è ben presente, ma Ayatsuji è stato in grado di rendere questo libro suo, permettendo al lettore di immergersi in panorami tipicamente nipponici che fungono da sfondo a eventi che lasciano con il fiato sospeso fino all’ultima pagina.

Tantissimi sono gli elementi di novità riguardanti la trama, ma anche lo stile, che si discostano dal libro di Christie e che conferiscono all’opera originalità: le inquietanti targhette che assegnano a ognuno dei sette ragazzi un ruolo nella vicenda, la storia dei precedenti inquilini della Casa decagonale, le indagini esterne compiute da chi sull’isola non è mai stato presente e tanto altro.

La narrazione è molto scorrevole e permette di seguire distintamente eventi che spesso si sovrappongono, o si spostano, alternandosi, dalla terraferma alla Casa. La tensione che caratterizza i gialli arriva alla mente e al cuore del lettore grazie alle scelte lessicali e sintattiche, che fanno accrescere la curiosità di sapere sempre di più e di voltare pagina per proseguire con la lettura.

 

Ogni personaggio, sebbene non siano presenti lunghe e dettagliate porzioni di testo descrittive, è stato caratterizzato bene attraverso i dialoghi, le gestualità e le scelte compiute. È un elemento che ho apprezzato tanto: spesso, quando ci sono tanti personaggi da gestire, l’aspetto introspettivo viene meno, ma non in questo caso.

Le interazioni fra di loro, specialmente dal momento in cui uno di loro viene ritrovato senza vita nel suo letto, sono l’aspetto più interessante a mio avviso. I dubbi, la preoccupazione, la diffidenza e certe volte persino gli scatti d’ira e la totale perdita di controllo di sé che ognuno prova mettono chiaramente a repentaglio il loro rapporto pacifico e amichevole di membri di un circolo del crime. C’è chi si avvicina e chi si allontana, chi prende in mano le redini della situazione e chi si lascia andare in preda al panico. Sono emozioni reali, tangibili, che avvicinano i personaggi al lettore e gli ricordano l’elemento umano in un contesto terrificante, dove proprio l’umanità sembra non esistere.

 

Anche l’epilogo è stato pensato saggiamente, lasciando quel velo di mistero, il tipico finale aperto, che offre spunti di riflessione e un ampio spazio per immaginare un seguito a quelle vicende.

I delitti della Casa decagonale è un libro a dir poco coinvolgente e affascinante, un libro che, quando prende forma nella mente di noi lettori, è più vivo che mai, il che lascia una sensazione quasi adrenalinica a mano a mano che la vicenda si infittisce.

È senza dubbio una delle letture migliori che ho fatto quest’anno, uno dei pochi libri che rileggerei subito dopo averlo finito. O che forse desidererei cancellare dalla memoria per rileggerlo come se fosse la prima volta.

Assolutamente consigliato a chi ha bisogno di un po’ di sano brio per sfuggire dal fastidioso blocco del lettore, dal momento che sarà impossibile posarlo.

 

Recensione di Alessandra Bertonazzi