Titolo: Villain
Titolo originale: 悪人
Registra: Lee Sang-il
Durata: 139 minuti
Akunin è un giallo drammatico del 2010 diretto dal regista coreano, naturalizzato giapponese, Lee Sang-il.
Il protagonista è il giovane Yūichi che, abbandonato dalla madre in tenera età, ora si prende cura dei nonni, che lo hanno cresciuto come se fosse suo figlio, in un decadente villaggio di pescatori di Nagasaki.
Yūichi si sente solo e, in cerca di compagnia, un giorno conosce su un sito di incontri Yoshino, una giovane impiegata di un’agenzia assicurativa di Fukuoka. La donna capisce di poter approfittare di lui chiedendo di essere pagata per i loro incontri ed è in realtà interessata a Keigo, un ricco universitario della città, altezzoso e arrogante.
Una sera Yoshino, infatti, nonostante si fosse organizzata per incontrare il primo, che aveva guidato per ore solo per passare del tempo con lei, sale in macchina con il secondo che, in realtà, non è per niente interessato a una relazione seria con lei.
La mattina dopo viene però ritrovato il cadavere della giovane vicino a una sperduta strada di montagna: ha così inizio l’investigazione.
La pellicola è liberamente ispirata dal romanzo noir dello scrittore Yoshida Shūichi L’uomo che voleva uccidermi (la cui recensione potete trovare sul nostro sito cliccando qui), e come il libro, rappresenta la solitudine, il disperato bisogno di essere amati, il dolore, la paura di perdere l’amore ma soprattutto la fragilità delle categorie di ‘buono’ e ‘cattivo’.
Visto il titolo, il lettore è spinto subito alla ricerca di un crudele antagonista ma, col procedere del film e l’entrata in scena dei vari personaggi, quest’indagine si complica ed è essa stessa a problematizzare il classico binario buono-cattivo, bianco-nero.
Akunin, però, non è una celebrazione e idealizzazione dell’atto dell’omicidio con la tipica trama ‘anche gli assassini hanno sentimenti’; quest’idea è smontata in maniera eloquente lungo tutto il film il cui intento, in realtà, è quello ritrarre la bellezza dell’amore e la tristezza della sua mancanza.
Questi sentimenti si fanno strada nelle varie scene sulle commoventi note della colonna sonora composta dal pluripremiato Hisaishi Jō, già compositore per Kitano Takeshi e Studio Ghibli. Hisaishi è capace di rendere la drammaticità della vicenda col delicato ma incalzante motivo presente nel brano principale Shinkō ma che accomuna anche gli altri brani della colonna sonora.
È con la scoperta del colpevole che inizia la seconda parte del film e tutte le certezze e le impressioni apparentemente nette sviluppate dallo spettatore mutano in una confusione emotiva: i ‘bravi ragazzi’ diventano pian piano ‘neri’ mentre quelli ‘cattivi’ acquistano la fiducia e la stima del pubblico. Lee sfuma efficacemente i confini fra buono e cattivo e mostra come il comportamento criminale non è necessariamente un risultato logico della cattiveria di un individuo e, allo stesso tempo, che la mancanza di atteggiamenti criminali non rende per forza una persona ‘buona’. Il film, così, si avvicina lentamente al genere dell’hard-boiled: la responsabilità del gesto criminale non è più riconducibile solo al colpevole ma soprattutto alle strutture sociali che esasperano l’individuo e lo portano a compiere le azioni più drammatiche.
—recensione di Pietro Neri
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