The Emperor in August (2015)

The Emperor in August, ⽇本のいちばん⻑い⽇
(Giappone, 2015)
Regia: Harada Masato
Cast: Yakusho Kōji, Motoki Masahiro, Matsuzaka Tori
Genere: storico, drammatico
Durata: 136 minuti

 

The Emperor in August è un film del 2015 del regista giapponese Harada
Masato, ambientato nel periodo precedente alla resa del Giappone nella
seconda guerra mondiale. È un remake del film del 1967 Japan’s Longest Day,
che vede tra i suoi protagonisti alcuni degli attori più famosi del cinema
giapponese, tra cui Ryū Chishū e Mifune Toshirō.

La trama

Durante la fine della seconda guerra mondiale, nel luglio del 1945, il Giappone
è costretto ad accettare la resa con la Dichiarazione di Potsdam. Gli Stati Uniti
sganciano bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Nagasaki. Il Generale
Anami Korechika è combattuto tra il compiere la giusta decisione e le
preoccupazioni dell’Imperatore per il proprio popolo. Il Primo Ministro Suzuki
Kantarō conduce invece le trattative, mentre il capo segretario Sakomizu
Hisatsune può solo rimanere a guardare.
Nel frattempo, il Maggiore Hatanaka Kenji e altri ufficiali incaricati, contrari alla
resa del Giappone, occupano il palazzo e una stazione radio. La stazione radio
è pronta a trasmettere il discorso dell’Imperatore Hirohito sulla fine della
guerra.

Tra finzione e realtà

Ciò che cattura maggiormente l’attenzione dello spettatore durante la visione
di The Emperor in August è senza dubbio l’abilità con cui il regista tratta di
fatti storici realmente accaduti e noti a tutti ma ammette la possibilità che le
cose sarebbero potute andare diversamente, analizzando quelle stesse ipotesi.

***
Degna di nota è anche la recitazione di Yakushō Koji, che interpreta il Generale
Anami: il Ministro della Guerra, centro morale del film, deve portare a
compimento gli ordini dell’imperatore e allo stesso tempo tenere a bada gli
ardenti spiriti degli ufficiali dell’esercito, che si rifiutano di ammettere la
sconfitta del Paese.
The Emperor in August è sicuramente un film imperdibile per gli amanti della
storia giapponese, ma può rivelarsi una scoperta interessante anche per
chiunque volesse imparare di più a riguardo.

—recensione di Giorgia Caffagni.

Yōkame no Semi (2011)

Yōkame no Semi 八日目の蝉

(Giappone, 2011)

Regia: Narushima Izuru

Cast: Nagasaku Hiromi, Inoue Mao, Koike Eiko

Genere: drammatico

Durata: 147 minuti

Lingua: Giapponese

Yōkame no Semi (lett. La cicala dell’ottavo giorno) è l’adattamento cinematografico del romanzo Rebirth di Kakuta Mitsuyo.

In questo film viene raccontata la storia di una famiglia, formata da Etsuko, Takehiro e la loro bimba Erina. Takehiro, fino a poco tempo prima della nascita della bambina aveva tradito la moglie con un’amante, Kiwako, la quale dopo aver abortito il suo bambino era rimasta sterile. La piccola Erina viene rapita dall’amante dell’uomo che trova in lei un qualcosa a cui dedicare tutta la sua vita. Passano gli anni, e in questo tempo Kiwako cresce Erina, da lei ribattezzata Kaoru, come fosse la sua vera figlia. Tuttavia, dopo 4 anni di latitanza la donna viene trovata e arrestata e Erina torna dalla sua famiglia, le cose sembrerebbero andare per il meglio se non fosse che in verità il ritorno della bambina non fa altro che mettere in luce una lacerazione irrimediabile nei rapporti familiari. Erina riconosce come sua legittima madre la donna che è andata in galera e non si riconosce più, invece, come membro della sua famiglia di sangue. La madre biologica della bambina, che dopo tutti questi anni di ricerca si trova disconosciuta nel suo ruolo di madre, si dispera, mentre il padre diventa una figura sempre più distaccata. Erina si trova quindi a crescere in una famiglia disfunzionale, senza poter vivere le gioie e i dolori di una vita normale. Un bel giorno però la giovane viene contattata da una giornalista freelance che volendo scrivere un articolo sul suo caso la porta a fare un tuffo nel passato e a tornare nei luoghi della sua infanzia ormai perduta.

La storia viene narrata in medias res e come spettatori ci troviamo a riscoprire gli avvenimenti man mano che riaffiorano alla mente della protagonista stessa. Le continue digressioni nella narrazioni inoltre ci permettono di valutare sotto una luce diversa la figura di Kiwako e di comprendere al meglio i traumi di Erina.  È un’opera di grande introspezione psicologica che non permette di incasellare i personaggi nelle banali categorie di “buoni” o “cattivi”, ma ce li mostra come figure complesse.

ll film in patria ebbe un grande successo fin da subito, al punto da ricevere numerosissimi premi alla 35esima edizione del Japan Academy Prize, tra cui ricordiamo quello per il Miglior film dell’anno. Inoltre siamo fieri di dire che i sottotitoli di questo film sono parte del database della nostra associazione.

 

Vi invitiamo a vederlo e a lasciarvi coinvolgere dalla trama e dai personaggi. E se mai voleste sapere di più sui nostri sottotitoli potete contattarci su info@takamori.it

—recensione di Roberta Novello.

 

 

Dawn Wind in my Poncho (2017)

(Giappone, 2017)

Regia: Hirohara Satoru

Cast: Nakamura Aoi, Nakano Taiga, Yamamoto Yuma

Genere: commedia

Durata: 90 minuti

Lingua: Giapponese

Dawn Wind in my Poncho (ポンチョに夜明けの風はらませて, Poncho ni yoake no kaze haramasete) è un film comico giapponese del 2017 del regista Hirohara Satoru, basato sul romanzo omonimo di Kazumasa Hayami. Il film è stato selezionato per la 61° edizione del Berlin International Film Festival.

Il film racconta la storia di un gruppo di amici.  Il giorno della pubblicazione dei risultati del test di ingresso dell’università, Jin scopre di non essere stato ammesso. Vicini al giorno della cerimonia di diploma, Jin e i suoi due amici, Matahachi e Jambo, decidono di fare un ultimo viaggio tutti insieme. Lungo il loro viaggio incontrano Ai, una cantante emergente troppo ribelle per quel che il pubblico desidera, e Maria, una ragazza che lavora alla “Clinica dell’amore” in cui Jambo si fermerà per una consultazione particolare.

La prima metà di film è molto leggera e spensierata, i nostri scanzonati personaggi mostrano tutta la loro eccentricità in ogni contesto gli venga presentato. La seconda parte di film invece prende tono più serio a seguito di una rivelazione che ci permette di vedere sotto un’altra luce il personaggio di Matahachi. Se prima di questa rivelazione i protagonisti non avevano un vero scopo, avendo deciso di partire su due piedi, si ritroveranno poi in una gara contro il tempo per raggiungere il loro obiettivo.

Si tratta di una pellicola leggera, che coinvolge lo spettatore fin da subito e che lo fa affezionare ai protagonisti man mano che la vicenda va avanti. L’amicizia che lega i tre protagonisti li porta a fare di tutto pur di aiutarsi l’un l’altro.

Questo è un film sicuramente consigliato per gli amanti delle commedie o delle storie di formazione. Una storia di amicizia e di scoperta di sé, da non perdere.

 

— recensione di Alessandro Canale.

Boku no Naka no Otoko no Ko (2012)

Boku no Naka no Otoko no Ko (僕の中のオトコの娘) (Giappone, 2012)

Regia: Kubota Shōji

Cast: Kawano Naoki, Kusano Kōta, Kinoshita Hōka

Genere: drammatico

Durata: 100 minuti

Kensuke è un giovane impiegato che, lavorando in un ambiente di costante mobbing e persistente bullismo da parte dei suoi colleghi, perde il posto di lavoro per una serie di errori “da novellino”. A seguito di questo trauma, si rinchiude nella sua stanza per svariati anni con internet come unico contatto esterno e il suo computer come solo interlocutore. Un giorno, casualmente si imbatte nel blog di Karen, un travestito che condivide sotto forma di blog tutti gli episodi più eclatanti delle sue giornate, suscitando curiosità nel giovane hikikomori che la contatta. I due si incontrano e proprio Karen sarà il nuovo collegamento con la società e la vita al di fuori della camera di Kensuke, restituendogli la spensieratezza e la felicità persa da tempo attraverso il crossdressing ma soprattutto per mezzo del suo modo di esprimersi senza restrizioni.

Il film ci aiuta a capire una realtà difficilmente affrontata da altri registi (e autori in generale), grazie ad una pellicola che risulta leggera ma che tratta temi molto pesanti, quali il maltrattamento, l’emarginazione e la depressione. Le magistrali interpretazioni degli attori riescono a dare credibilità e spessore ai personaggi che affrontano una realtà difficile e caratterizzata da isolamento sociale e, in certi casi, maltrattamento fisico. Il regista, inoltre, riesce ad accompagnarci durante l’evoluzione del personaggio in modo scalare, trattando il suo cambiamento in vari step e caratterizzando in modo evidente il suo rinnovamento psicologico e come persona. Vediamo, infatti, un Kensuke più felice e spensierato rispetto all’inizio, aiutato dai personaggi cardine quali Karen, Shizuka e la sorella maggiore, che faranno sì che il ragazzo possa esprimersi al meglio e possa capire chi è veramente senza mai giudicarlo.

 

— recensione di Giacomo Dima.

 

Kamome Diner (2006)

Kamome Diner, かもめ⻝堂
(Giappone, 2006)
Regia: Ogigami Naoko
Cast: Katagiri Haiki, Kobayashi Satomi
Genere: commedia, slice of life
Durata: 102 minuti

 

“Una persona triste è triste in qualsiasi Paese.”

Kamome Diner, letteralmente “La locanda del gabbiano”, è un film della regista
giapponese Ogigami Naoko. È basato sul romanzo omonimo di Mure Yōko,
che ha scritto la sceneggiatura del film insieme alla regista. Nella ventottesima
edizione del Yokohama Film Festival è stato il quinto classificato.
Il film racconta la storia di Sachie, una donna giapponese che vive a Helsinki,
dove ha appena aperto una locanda in cui serve cibo tipico giapponese, in
particolare onigiri. Il locale rimane vuoto per parecchio tempo, finché non fa il
suo ingresso colui che diventerà il primo habitué, un giovane ragazzo
finlandese appassionato di manga e cultura giapponese. Poco a poco entrano
in scena i diversi personaggi, tra cui Masako, una donna giapponese il cui
bagaglio è stato perso dalla compagnia aerea con cui ha viaggiato. Dopo
qualche esperimento Sachie riesce a riempire la locanda, conquistando anche i
più diffidenti clienti finlandesi.
Se nella prima parte del film i toni sono malinconici, dovuti alla difficoltà
iniziale della protagonista ad ambientarsi in un Paese straniero, la nostalgia
viene poi sostituita dal sentimento d’amicizia che lega i personaggi. Lo
spettatore è portato a riflettere su tematiche come il potere curativo del cibo
e la transculturalità dello stesso, la creazione di legami con persone di
nazionalità diverse e la capacità di reinventarsi quando la vita presenta delle
sfide.
I personaggi sono caratterizzati con così tanta cura da sembrare quasi reali, e
l’attenzione per il dettaglio nella scenografia fa desiderare allo spettatore di
essere uno degli affezionati clienti del locale.

Il film è stato girato in un bar finlandese che è stato riarredato per l’occasione,
ma nelle vicinanze si trova il ristorante Kamome, un locale simile a quello della
storia, meta popolare per i turisti giapponesi a Helsinki.

 

— recensione di Giorgia Caffagni.

 

Pale Moon (2014)

Regia: Daihachi Yoshida

Cast: Miyazawa Rie, Ikematsu Sōsuke, (Kobayashi Satomi, Ōshima Yūko , Ishibashi Renji)

Genere: Drammatico, Thriller

Durata: 126 min

Lingua: giapponese

 

Pale moon, (紙の月 – Kami no Tsuki) è un film del 2014 basato sull’omonimo romanzo di Kakuta Mitsuyo.

Ambientato nel Giappone degli anni Novanta post scoppio della bolla speculativa, la protagonista Umezawa Rika, è un’impiegata quarantenne di una banca. Un giorno incontra il nipote di un cliente, Hirabayashi Kōta, con cui intraprenderà una relazione extra-coniugale.

All’inizio della loro relazione, Kōta le confida di avere un debito a causa delle tasse universitarie e che quindi non riuscirà a proseguire gli studi. Rika, volendo aiutare il ragazzo decide di prestargli dei soldi e per farlo manometterà una pratica bancaria del nonno. Da quel punto in poi Rika inizierà a falsificare diverse pratiche bancarie per rubare soldi che utilizzerà per pagare capi pregiati, regali e hotel di lusso.
In questo modo Rika riesce a colmare quel vuoto che si era creato nella sua vita, dato anche dal fatto che il marito, troppo preso dal lavoro, non le presta attenzione arrivando a trasferirsi in Cina per affari.
Con il passare del tempo Rika perde la percezione del valore del denaro, sperperandolo nei modi più disparati.

Il personaggio di Rika si sente limitato nel suo guadagno e costantemente sminuito dal punto di vista economico dal marito che senza pensare all’impegno che lei pone nel suo lavoro le chiede di trasferirsi con lui a Shanghai. Dunque, Pale Moon propone una visuale interessante del sentimento di libertà che prova Rika una volta scoperto come manomettere le transazioni di denaro dei clienti, ma, se in un primo momento lo spettatore capisce i motivi che la spingono a compiere tali azioni, notando l’escalation di truffe, non può fare a meno di provare irrequietezza e disagio.

Pale Moon vince l’Audience Award al 27° Tokyo International Film Festival, mentre Miyazawa Rie vince diversi premi tra cui quello per migliore attrice al 39° Hochi Film Awards del 2014.

 

— recensione di Aurora Maceri.