27 Ottobre 2019 | Film e Serie TV
愛なき森で叫べ
The Forest of Love
(Giappone, 2019)
Regia: Sono Sion
Cast: Shiina Kippei, Mitsushima Shinnosuke, Hinami Kyōko
Genere: crime, horror, drammatico
Durata: 151 minuti
Ai naki mori de sakebe è letteralmente “Urla nella foresta senza amore“, che probabilmente sarebbe stato un titolo assai meno accattivante. Nel suo essere meccanico, però, descrive perfettamente l’ultima fatica di Sono Sion. Il film è stato distribuito sulla piattaforma di Netflix (guarda il trailer) poco tempo fa (11 ottobre 2019) ed è considerato la sintesi di tutte le pellicole precedenti del regista. Il colosso dello streaming ha lasciato che lui esprimesse tutto sé stesso in questo progetto, infatti Sono lo dirige, lo scrive e lo edita, consegnandoci un prodotto finale a rating +18. Ma questo primo avvertimento potrebbe non essere sufficiente: è meglio che i deboli di stomaco — e di cuore — ne restino a debita distanza.
Un background da brivido
Le primissime scene si aprono mostrando un notiziario in TV che comunica la presenza di un serial killer in Giappone che sta uccidendo molte ragazze nelle foreste. Si serve ogni volta di una pistola diversa, ma che ruba sempre a un poliziotto. Poi, mano a mano, ci vengono presentati i personaggi: abbiamo Shin, il tipico ragazzo che spera in un futuro migliore perché appena trasferitosi nella grande metropoli di Tokyo; Jay e Fukami, due aspiranti registi che sognano di creare un film indie e con esso vincere un concorso, il cosiddetto “Pia Film Festival”; Joe Murata, un truffatore attorno cui si snoderà l’intera vicenda; infine, Taeko e Mitsuko, due ragazze che in passato hanno frequentato la stessa scuola femminile.
Tutto comincia con l’idea di un film. O meglio, l’idea di fare un film, perché nessuno dei cineasti ha un’ispirazione per la storia. A Mitsuko arriva una telefonata da Murata, che cerca di convincerla a incontrarsi per restituirle i 50 yen che una volta, molto gentilmente, gli aveva prestato. I due si incontrano e, casualmente, anche i tre ragazzi sono lì con una videocamera. Colpo di genio: il film sarà su Murata, che sospettano essere il serial killer. Con l’aiuto di Taeko cercheranno di mettere in guardia (senza successo) Mitsuko, che inizierà una storia con il truffatore.
Shin, Fukami e Jay mentre riprendono Murata e Mitsuko all’appuntamento.
Sono Sion e le ossessioni
Fin dall’inizio, dunque, è possibile percepire questa atmosfera malata in cui sono inseriti i personaggi, specialmente Mitsuko. I suoi genitori sono estremamente ossessionati dalla loro immagine sociale, mentre lei è ossessionata da una misteriosa ex-compagna di classe con cui avrebbe dovuto mettere in scena una versione di Romeo e Giulietta interpretata da sole ragazze. Murata stesso è ossessionato dalla truffa, tanto da impegnarsi ad essere ciò che racconta fino a renderlo il più possibile veritiero. Non è nuovo, certamente, il tema delle ossessioni, spesso ricorrente nei suoi lavori. Perfino in The Land of Hope troviamo l’ossessione per le radiazioni o per la devastata terra natia, nonostante sia il film che meno appare come firmato da Sono Sion perché distaccato dai temi più cruenti portati in scena dal regista.
Assuefatti dal dolore
Un altro aspetto caratteristico delle sue pellicole è la grande quantità di scene di violenza e di sesso che vi sono inserite. In The Forest of Love ha osato, senza ombra di dubbio, perché sono tante, forti e crude. Sembra non riuscire a raggiungere la qualità di Cold Fish, Why Don’t You Play in Hell? o Antiporno, ma in realtà le sintetizza creando ancora una volta qualcosa di completamente nuovo che non può essere paragonato a niente di precedente. Sembra ridondante, ma si reinventa. Il film potrebbe sembrare lungo eppure, considerando la stretta allo stomaco che si percepisce fin dalle prime battute e il coinvolgimento emotivo che si instaura, non è troppo pesante.
Quello che potrebbe stancare sono le infinite scene di tortura, uguali e molte volte esagerate. Ma è proprio qui che ci accorgiamo della volontà di Sono Sion di mostrare — a colori su telo da proiezione — il dolore che stanno affrontando le generazioni, ognuna in un modo diverso. E sono tutte lì. La famiglia, lo stesso Murata, e chiunque faccia parte della vecchia generazione, causano dolore ai giovani — rappresentanti della generazione futura — che assimilano questa violenza e la coniugano in comportamenti aberranti. Perché il peggio è l’impotenza delle persone di liberarsi di questo dolore, unica cosa che ricorda loro di essere ancora vivi.
“Il cinema è vita, la vita è cinema”
Questa citazione ricorda lontanamente Oscar Wilde con la realtà che imita l’arte. Nei primi minuti, il cineasta Jay ci mette a conoscenza del fatto che in un film tutto è possibile. Anche le cose illegali diventano legali, le cose impossibili diventano possibili. Ma questo concetto si trasforma quando è Murata ad assumere il controllo della regia, perché il cinema diventa la vita e la vita il cinema, e porta la sua compagnia — ridotta a Taeko, Mitsuko, Jay e Shin — a commettere veri crimini per rendere veritiero questo pensiero. Sono Sion sembra descrivere così la sua poetica, perché quando gli è data la possibilità di essere sé stesso, non si pone limiti. Tanto, non è illegale. È solo cinema.
Riguardando il film una seconda volta si possono notare suggerimenti del regista riguardo lo svolgimento futuro della trama perché, conoscendone ormai gli sviluppi, ci si riesce a concentrare su tutti quei dettagli che inizialmente apparivano come indecifrabili o fuori contesto. Ma, a questo punto, una domanda ci sorgerà spontanea: “Ho il coraggio di guardare questo film una seconda volta?“. E starà a ciascuno di noi deciderne la risposta.
– di Francesca Panza
6 Ottobre 2019 | Film e Serie TV
永遠の0
The eternal zero
(Giappone, 2013)
Regia: Yamazaki Takashi
Cast: Okada Jun’ichi, Miura Haruma, Inoue Mao, Fukiishi Kazue
Genere: drammatico, storico
Durata: 144 minuti
Il lungometraggio The Eternal Zero (永遠の0), basato sull’omonimo romanzo di Hyakuta Naoki pubblicato nel 2006, esce nelle sale nel dicembre del 2013. Il dramma bellico mette al centro i tokkoutai, piloti dei caccia “Zero” utilizzati durante la Seconda Guerra Mondiale dal Giappone per le missioni suicide contro le navi nemiche. A differenza dei tipici film incentrati su questo tema, The Eternal Zero propone un punto di vista completamente diverso: meno politico e più intimistico, caratteristica che ha ricevuto non poche critiche, spaccando nettamente l’opinione pubblica. Nonostante questo, nel 2014 si aggiudica il Gelso d’oro al Far East Film Festival di Udine.
Il film prende le mosse dal presente: Keiko (Fukiishi Kazue) e Kentaro (Haruma Miura), una giovane scrittrice freelance e suo fratello iniziano le ricerche sul passato del nonno Miyabe Kyuzo (Okada Junichi), ex pilota kamikaze.
Ciò che emerge dalle prime testimonianze raccolte dai due giovani è il ritratto di un codardo, che andava contro la dottrina bellica della morte eroica in nome del proprio paese per custodire la propria vita. Nonostante la sua bravura sul campo di battaglia e dimestichezza con il mezzo aereo, Miyabe era infatti visto come una vergogna e un pericolo per l’esercito.
Il punto di svolta nella storia è rappresentato dall’incontro dei due fratelli con Isaki, il primo personaggio che inizia a districare i nodi legati alla storia del loro nonno. Gravemente malato, l’ex pilota e fedele compagno di Miyabe fornisce ai due giovani una versione totalmente diversa della storia sulla vita del tokkoutai, descrivendolo come suo maestro, coraggioso e determinato.
La narrazione prosegue attraverso i racconti incrociati dei membri delle forze speciali da tempo dimessi, che ricordano gli anni del secondo conflitto mondiale ricostruendo alcune delle battaglie più significative del Pacifico come Pearl Harbor e Midway. Al centro sempre la figura di Myabe, tormentato e sempre in bilico tra il dovere per il su paese e la promessa fatta alla moglie Matsuno (Inoue Mao): “Ritornerò vivo! Anche se dovessi perdere una gamba, o se morissi… Comunque tornerei. Sicuramente rinascerei, per fare ritorno da te”.
Le due ore e ventiquattro minuti di film raccontano soprattutto la componente umana in mezzo a dinamiche tutt’altro che umane. La vita del protagonista, fatta di istanti e continue scelte viene delineata attraverso la messa a nudo dei suoi sentimenti, delle sue paure e della solidarietà verso gli altri.
Kentaro e Keiko riescono finalmente a completare il mosaico della vita del nonno e di cogliere il grande patrimonio valoriale lasciato loro.
Un film adatto a ogni tipo di pubblico che fa riflettere sulla stoltezza della guerra, senza rischiare di cadere in falsi moralismi. Commovente e profondo, reinterpreta la figura del tokkoutai, che non sacrifica più la propria vita in nome del nazionalismo cieco, ma la custodisce in nome dell’amore e di tutti coloro che aspettano il suo ritorno a casa, perché l’amore è l’unico in grado di dominare l’eterno.
— di Roxana Macovei
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15 Settembre 2019 | Film e Serie TV
希望の国
The Land of Hope
(Giappone, 2012)
Regia: Sono Sion
Cast: Natsuyagi Isao, Murakami Jun, Ōtani Naoko, Kagurazaka Megumi
Genere: dramma, fantascienza
Durata: 134 minuti
Presentato per la prima volta al 37° Festival del Cinema di Toronto nel 2012, The Land of Hope (希望の国) è il secondo film di Sono Sion dopo Himizu (ヒミズ) che ha come tema principale il nucleare. Argomento molto spinoso per il Giappone, specialmente perché sono chiari i riferimenti all’incidente della centrale di Fukushima accaduto il 3 marzo dell’anno precedente. Lo stesso regista ha affermato di essersi basato su racconti e testimonianze delle vittime di quel disastro, cercando di non lavorare troppo di fantasia e di concentrarsi sulla veridicità degli eventi narrati. È proprio per la profondità con cui ha trattato aspetti sociali e politici di un trauma nazionale che è stato insignito durante il Festival del premio NETPAC, riservato al miglior film asiatico.
La vicenda è ambientata a Nagashima, cittadina rurale e fittizia (il cui nome allude palesemente a Nagasaki, Hiroshima e Fukushima) in un futuro non troppo lontano. La trama si sviluppa attorno ai residenti, la cui vita cambia improvvisamente a seguito dell’esplosione di un reattore della centrale nucleare situata ad Ōba, nelle vicinanze, causata da una potente scossa di terremoto.
Il nucleo familiare, che all’inizio del film viveva in un clima di pace tra agricoltura e allevamento, si disgrega completamente. Infatti, il signor Ono, padre di famiglia (Natsuyagi Isao) ormai anziano, non vuole abbandonare il luogo in cui ha sempre abitato, non solo per i motivi sentimentali che lo legano a quella terra, ma soprattutto per non causare ulteriori traumi alla moglie Chieko (Ōtani Naoko) che soffre da tempo di demenza senile. Allo stesso tempo, egli esorta il figlio Yoichi (Murakami Jun) ad andarsene il più lontano possibile assieme alla moglie Izumi (Kagurazaka Megumi), che scopre in quel frangente di aspettare un bambino. Il giovane Mitsuru, invece, costretto con il padre e la madre ad abbandonare la propria casa, che si trova a 20 km di distanza dalla centrale, decide di fuggire dal rifugio adibito agli sfollati per aiutare la fidanzata Yoko a ritrovare i suoi genitori, originari della zona colpita dallo tsunami. In questa situazione di caos e grande difficoltà in cui entrano in gioco i valori affettivi e il pensiero per le nuove generazioni è costante, i personaggi si trovano tutti indistintamente a combattere un’unica grande guerra: la guerra invisibile delle radiazioni.
Sono Sion con questo film non si propone di dare una risposta in merito alla scelta del nucleare, ma piuttosto di generare un dubbio. È suo dovere da artista trattare questi aspetti nelle sue opere cinematografiche e il suo scopo è quello di far riflettere e portare il pubblico a prendere una posizione nei confronti di questo tema ad oggi molto importante. In questo senso, nonostante la speranza insita nel titolo non sia del tutto tangibile nel film, egli crede che possa scaturire dalla mente dello spettatore. Ciò che emerge, infatti, è che il paese non può fermarsi di fronte alle difficoltà, ma deve rialzarsi procedendo “passo dopo passo”.
— di Sara Grassilli
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25 Agosto 2019 | Film e Serie TV
Titolo originale: Kokuhaku ( 告白)
Diretto da: Tetsuya Nakashima
Durata: 106 minuti
Anno: 2010
Lingua originale: giapponese
Genere: thriller
Con: Takako Matsu, Yukito Nishii, Kaoru Fujiwara e Ai Hashimoto
Quando la società ti si para davanti come una nemica, è qui che subentra Confessions.
<<Il debole di cuore schiaccerà chi è ancora più debole; quale scelta ha quest’ultimo oltre la sopportazione e la morte? Voi ragazzi abitate un mondo molto più vasto di così: se la vita dove siete ora è dura perché non rifugiarsi altrove? >>
Yuko Moriguchi
Trama
Siamo alla fine dell’anno accademico, in una classe di scuola media colma di giovani indisciplinati e di un’insegnante, la professoressa Moriguchi, che non sembra toccata minimamente dalla baraonda circostante. Sarà proprio quest’ultima a prendere la parola a inizio film, illustrandoci tramite un monologo l’orrido retroscena riguardante l’omicidio della figlioletta Manami. Gli assassini? Due studenti della sua classe, etichettati come “studente A” e “studente B”, i quali, in quanto minorenni, godono della protezione della legge giapponese. L’insegnante deciderà quindi di attuare la sua vendetta personale, la quale, senza mezzi termini, si rivelerà ben più intricata ed articolata di quanto ci si possa aspettare all’inizio del film.
Analisi
Parole chiave della pellicola: slow motion e psiche.
La vicenda si costruisce sulle confessioni/narrazioni dei personaggi principali, snodandosi e riannodandosi con estrema facilità e spesso senza dare alcun preavviso. I colpi di scena, infatti, non mancano, e spesso costringono lo spettatore a rivedere (spesso) le idee formulate in precedenza.
La cosa che forse lascia maggiore sgomento, però, è il comportamento dei personaggi stessi. Dimenticatevi la suddivisione “buoni vs cattivi”. Il regista Tetsuya Nakashima ha diretto una pellicola dove ognuno è, a modo suo, una vittima di una società perfetta solo in apparenza. Plauso al personaggio della capoclasse Mizuki, forse il più pragmatico della vicenda, nonché ottima narratrice. Tramite i suoi commenti ci dimostra una capacità di mettere completamente a nudo la realtà circostante e di afferrare molte più cose rispetto agli altri compagni “estranei” ai fatti.
La psiche di ogni personaggio principale viene scavata a fondo, lentamente, rivelando personalità spesso ambivalenti nonché comportamenti disturbati (es. complesso di Edipo), che verranno trattati senza filtri, ma comunque con un tono romanzato, in modo da enfatizzarne le caratteristiche e coinvolgendo anche gli spettatori inesperti sull’argomento.
Sebbene il ritmo narrativo sia piuttosto veloce, il film pullula di scene in slow motion. Il fine sarebbe quello di evidenziare particolari momenti salienti del racconto, e oggettivamente la tattica (unita alle musiche utilizzate in accompagnamento) funziona per la maggior parte dei casi. Tuttavia, il sentore che ci sia stato un abuso di tale tecnica, a volte, c’è.
Il finale sicuramente stupisce, riuscendo a trovare la quadra e risolvendo tutti i problemi in un colpo solo ben orchestrato, rivelando la vera mente brillante all’interno della vicenda.
Critiche
il film viene ancora oggi considerato come il capolavoro del regista Tetsuya Nakashima, riuscendo a sbancare al botteghino giapponese già nel primo weekend di proiezione.
Fu selezionato tra le pellicole concorrenti al titolo di “miglior film in lingua straniera” per gli Oscar 2011, non riuscendo però a guadagnarsi la nomination.
Confessions (告白 Kokuhaku) è stato comunque insignito di una lunga serie di riconoscimenti, come il premio per “Miglior film asiatico” alla trentesima edizione dell’Hong Kong Film Festival, o il premio come “miglior film” alla 53esima edizione dei Blue Ribbon Awards. Ha inoltre incontrato il favore della critica, guadagnandosi molteplici recensioni positive.
Opinione personale
Un film particolare, da guardare senza distrazioni se non si vuole rischiare di perdere il filo della trama. Adatto agli amanti del thriller e, soprattutto, a persone con stomaci forti abbastanza da resistere a una violenza cruda, senza sconti e spesso politicamente scorretta.
– di Calzati Matteo
4 Agosto 2019 | Film e Serie TV
“Stay tuned!” (チャンネルはそのまま!, Channel wa sonomama!) è un dorama comico giapponese del 2019, tratto dall’omonimo manga di Sasaki Noriko, pubblicato dal 2008 al 2013 su Big Comic Spirits, rivista settimanale specializzata nella pubblicazione di manga seinen. La serie è stata prodotta dall’emittente televisiva giapponese HTB per festeggiare il suo 50° anniversario ed è disponibile su Netflix. È composta da cinque episodi di circa 45 minuti l’uno.
La trama si incentra su Yukimaru Hanako, ragazza ventiduenne che è stata da poco assunta come reporter per l’emittente televisiva HHTV di Sapporo, in Hokkaido. Insieme a lei sono stati assunti altri cinque giovani per lavorare in settori diversi: Yamane Hajime lavora nel settore delle notizie ed è un reporter come Yukimaru; Hanae Maki è una presentatrice televisiva; Kitagami Hayato fa parte del settore di controllo del reparto tecnologico; Hattori Tetsutarō si occupa delle vendite ed infine Tachibana Seiichi lavora nel reparto organizzativo.
La principale creatrice di gag comiche è Yukimaru. Yukimaru è la classica protagonista imbranata e ha quasi sempre qualcosa da mangiare a portata di mano. È svampita e maldestra, non è molto brava nel suo lavoro e spesso chi lavora con lei, in particolar modo il suo superiore, deve farsi in quattro per risolvere i problemi da lei creati. Fa così tanti errori da spingere i suoi colleghi a chiedersi come abbia fatto a passare ben tre colloqui ed essere stata assunta dalla HHTV. Tuttavia, ha un carattere aperto ed onesto, s’impegna sempre e, seppur il più delle volte senza successo, cerca di migliorare e porre rimedio ai guai combinati. Nella sua goffaggine, si rivela essere comunque un’importante risorsa per il lavoro alla stazione televisiva. Infatti, paradossalmente è proprio grazie ai suoi errori che spesso gli altri impiegati appena assunti maturano e migliorano nel loro lavoro.
Una nota interessante del dorama è il suo mostrare il lavoro che si cela dietro a quella che allo spettatore appare come una semplice trasmissione televisiva, includendo anche spiegazioni di termini tecnici. Lo spettatore si rende conto che dal settore vendite al reparto organizzativo, da quello di ricerca delle informazioni fino a quello della presentazione delle notizie, più settori devono cooperare in modo efficiente tra di loro per poter garantire la corretta messa in onda del programma. La brevità e l’elemento comico rendono la visione della serie leggera e piacevole. Per quanto predomini l’elemento umoristico, non mancano scene più serie, momenti di tensione e di rivalità tra diverse stazioni televisive, che stuzzicano la curiosità dello spettatore e lo portano a chiedersi cosa succederà.
— di Foschini Alice
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14 Luglio 2019 | Film e Serie TV
Million Yen Women (100万円女たち 100 manen no onnatachi) è una serie televisiva giapponese mystery del 2017. È ispirata all’omonimo manga di genere seinen, scritto e disegnato da Shunjū Aono e pubblicato tra il 2015 e il 2016 dalla rivista giapponese Big Comic Spirits. La serie tv, diretta da Fuji Michihito, è stata co-prodotta da Netflix e dalla rete televisiva giapponese Tv Tokyo. È composta da 12 episodi di 24 minuti l’uno.
La trama racconta di Michima Shin, scrittore trentunenne i cui romanzi non hanno mai riscosso successo. Quando scrive ha una sola regola: nessuno muore nei suoi romanzi. A causa di una forte depressione, non esce quasi mai di casa e limita al minimo i rapporti sociali con il resto del mondo. Un giorno alla sua porta iniziano a presentarsi una alla volta cinque donne misteriose, le quali inaspettatamente lo informano che si trasferiranno a vivere con lui. Le donne sono tutte diverse tra di loro. Shirakawa Minami, fredda e impassibile, è una donna di 30 anni che ama andare in giro nuda per la casa. Tsukamoto Hitomi, 26 anni, è invece amante della letteratura e dello yoga. Kobayashi Yuki, 24 anni, è mite e silenziosa. Suzumura Midori, 17 anni, è una studentessa delle superiori. Infine c’è Hiraki Nanaka, di 20 anni, attrice molto famosa e popolare. Ognuna è lì per un motivo diverso e non sono in alcun modo legate tra di loro. Solo due cose le accomunano: tutte sono arrivate a Shin tramite l’invito di una persona misteriosa e pagano la cospicua somma di un milione di yen (più di 8.000 euro) al mese di affitto. In cambio di una tale somma, per poter convivere con le ragazze Shin deve rispettare una serie di regole:
- Non fare domande sulla loro vita;
- Non entrare nelle loro stanze;
- Cenare sempre tutti insieme;
- Prendersi cura delle ragazze.
Nonostante gli sia proibito porre domande, Shin non può fare a meno di chiedersi perché quelle cinque donne abbiano deciso di venire ad abitare proprio con lui, per di più pagando una cifra tanto elevata. E chi è la persona misteriosa che le ha invitate? L’ha fatto per il suo bene, oppure, al contrario, per rovinargli la vita? Seppur curioso di scoprire la risposta a questi suoi interrogativi, Shin decide comunque di rispettare le regole e continuare questa particolare convivenza. Ma l’interazione con le ragazze non può che portare dei cambiamenti nella vita dello scrittore, influenzandolo anche nella stesura del suo ultimo romanzo.
Lo stesso Shin nasconde un passato doloroso, che l’ha profondamente segnato. A causa di questo passato, riceve quotidianamente dei fax, inviati da un mittente misterioso, con scritte minacciose che gli augurano la morte e gli intimano di non dimenticare mai gli eventi accaduti.
Le cinque donne hanno tutte una loro identità che le contraddistingue, presentata attraverso l’interazione col protagonista, il quale, al contrario, rasenta quasi l’apatia e si fa trascinare dalla relazione con ciascuna di loro. In questa breve serie, romance e mystery si uniscono e, attraverso personaggi singolari ed una trama incentrata sul mistero legato all’arrivo delle cinque donne, non mancano suspense e colpi di scena.
— di Foschini Alice
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