Baishō Chieko continua a regalare momenti di grande eccitazione agli spettatori del Far East Film Festival 25. Dopo aver ricevuto il Gelso D’Oro alla carriera durante l’introduzione di Plan 75 di HayakawaChie, introduce la visione ad uno dei più grandi capolavori della cinematografia giapponese di cui essa stessa fa parte, Kazoku. Pellicola scelta personalmente dalla Baishō stessa insieme a Tora-San che la lega indissolubilmente al regista YamadaYōji.
Kazoku (1970) racconta la storia di una famiglia che, a causa della perdita del lavoro nella miniera di carbone da parte del capofamiglia, dal Kyūshū decide di partire verso l’Hokkaidō, attraversando interamente il Giappone, per iniziare una nuova vita come allevatori in una latteria. ll viaggio è costellato di difficoltà, tra interminabili viaggi in treno ed episodi drammatici dai quali la famiglia ne uscirà terribilmente provata ed esausta. Le tragedie familiari fanno da cardine nel racconto e vengono utilizzate dal regista proprio come transizione tra un capitolo del racconto ad un altro ed è proprio una volta arrivati alla stazione di Tokyo che l’intera famiglia riflette sulle scelte prese e se il viaggio sia stato davvero così indispensabile.
Il modus operandi nel raccontare la trama è semplice quanto geniale; ogni episodio è scandito dalla stazione nella quale i protagonisti decidono di scendere per effettuare cambi o cercare riposo. Kazoku non ha l’intenzione di essere un film che critica il Giappone della propria epoca eppure la critica la si ritrova intrinseca dentro il racconto stesso. Vediamo un Giappone in una spasmodica ascesa economica che lascia indietro le comunità che non fanno parte dei centri di maggior sviluppo; la critica la si ritrova proprio nella realtà e nell’ambiente che viene vissuto dai protagonisti in viaggio.
La pellicola termina con l’arrivo della famiglia a destinazione, con l’annuncio di gravidanza da parte di Baisho e la nascita di un vitello che segna l’inizio di una nuova vita in Hokkaidō. Kazoku fa sicuramente parte dell’Olimpo d’oro della cinematografia giapponese grazie alla grande capacità di raccontare drammi familiare da parte di Yamada Yōji.
Tratto da un romanzo di Kawashima Makoto su due studenti liceali rivali in atletica e in amore, 800 Two-Lap Runners fa parte del filone dei seishun eiga, ovvero i film di formazione che affrontano importanti tematiche adolescenziali, come la crescita e l’amore. In occasione della venticinquesima edizione del Far East Film Festival il regista, Hiroki Ryūichi, ha presentato personalmente il film come produzione cardine della sua carriera.
La pellicola è parte della filmografia del primo Hiroki, il quale si allontana dalle sue produzioni precedenti – prevalentemente di stampo erotico – per produrre il suo primo lungometraggio di genere diverso. Ma l’elemento erotico trova comunque spazio nella sua narrazione; in una delle scene iniziali, infatti, troviamo il primo dei due protagonisti, Nakazawa Ryūji, fare sesso con una sua compagna di scuola nel ripostiglio della palestra. Per questo motivo, Nakazawa viene subito convocato nell’ufficio del preside, il quale, notando la struttura fisica ben definita del giovane, gli propone di unirsi alla squadra di atletica per gareggiare negli 800 metri, come contropartita per evitare la sospensione dall’istituto. Subito dopo viene introdotto il secondo protagonista, Hirose Kenji, già affermato in questa disciplina sportiva grazie ai successi raccolti nelle competizioni interscolastiche. Questi è considerato il successore di Aihara che, morto suicida, è il detentore del record del suo istituto. Aihara, suo idolo e amante, è una delle figure più importanti nella vita di Hirose, segnandone in modo determinante la sua evoluzione.
Nakazawa e Hirose sono diametralmente opposti nell’approccio all’atletica e alla vita: il primo è ribelle e anticonformista, anche per via del suo background familiare, segnato in modo pregnante dalla affiliazione del padre alla yakuza; il secondo è, invece, uno studente diligente e dedicato al suo sport, che con determinazione mira a battere il record di Aihara.
Durante uno dei suoi allenamenti, Hirose incontra Yamaguchi Kyōko, ex ragazza di Aihara, con la quale comincia una relazione senza, però, riuscire ad andarci a letto, per via dell’orientamento sessuale del primo, che continua a essere condizionato dal ricordo di Aihara. Parallelamente, Nakazawa si invaghisce di Ida Shōko, specialista dei 100 metri a ostacoli, con la quale stringe una bella amicizia, che però non sfocia in una relazione amorosa.
I quattro, insieme alla sorella minore di Hirose, Nao, stringono un forte legame amichevole in un campo estivo di atletica leggera, al quale partecipano studenti di vari licei; la corsa diventa la metafora della crescita dell’essere umano, come transizione dalla forza e libertà della giovinezza alla consapevolezza e maturità dell’età adulta, in un percorso in cui i protagonisti imparano a rapportarsi fra loro a conclusione di un periodo dove corsa, amori e amicizie sono proiettati verso la fine. I protagonisti scoprono se stessi e compiono, in questo processo di transizione, un percorso di maturazione che li porta a una maggiore consapevolezza e all’accettazione della criticità di questa fase della vita umana.
Le scene, ricche di intermezzi musicali che si succedono fra loro, si basano anche su inquadrature che, effettuate da una certa distanza, conferiscono alla pellicola un senso di spazialità in cui Hiroki mira a trasmettere sentimenti e dare significato alla musica piuttosto che alle battute degli attori. Nell’ambito dei seishun eiga del tempo questa scelta rappresenta un elemento di rottura rispetto al passato, in quanto la musica – nonostante sia un elemento quotidiano nelle nostre vite – assume una posizione di rilievo. Un altro punto di distacco dalla produzione precedente è rappresentato dall’approccio alla sfera sessuale, a cui tutti i protagonisti si avvicinano esplicitamente; si emancipano quindi dalla precedente norma, dove introdurre il tema del sesso nella vita degli studenti era considerato un tabù.
L’inquadratura molto dinamica e fluttuante – la quale caratterizzerà la produzione successiva del regista – regala allo spettatore la sensazione di muoversi spesso insieme agli atleti; è degno di nota anche l’uso del long take, che consente alle inquadrature lunghe diversi minuti in più del normale di rappresentare in modo straordinariamente reale i sentimenti che albergano nel cuore dei giovani.
Il ruolo della ripresa si rivela fondamentale anche nella scena finale, dove l’inquadratura pian piano esce dal campo sportivo. Il graduale allontanamento della camera rappresenta la fine della vita scolastica dei protagonisti, con l’ingresso in società, comunicando la volontà di Hiroki di rappresentare la corsa come metafora della vita.
Regia: Chie Hayakawa Durata: 113 min Anno di uscita: 2022 Attori principali: Baishō Chieko, Isomura Hayato, Stefanie Arianne Genere: Dramma, Sci-fi
Al Far East Film Festival 25 è stato proiettato fuori dalla competizione in onore dell’attrice Baishō Chieko il film Plan 75, per il quale ha vinto il premio come migliore attrice. Baishō ha avuto ruoli in molte altre pellicole come Where Spring Comes Late, un altro film proiettato all’interno del festival, The Yellow Handkerchief, di cui potete trovare la recensione sul nostro sito, e The little house e svariati altri.
Quest’anno, al Far Est Film Festival le è stato assegnato il Gelso d’Oro alla Carriera dopo la premiazione di Takeshi Kitano nel 2022.
In un futuro prossimo, il governo giapponese lancia il Plan 75, un programma che incentiva gli anziani a porre fine alle proprie vite tramite suicidio assistito per alleviare i pesi sociali ed economici della popolazione che invecchia rapidamente. Nel notevole film d’esordio della regista Hayakawa Chie, le vite di tre cittadini ordinari si intersecano in questa nuova realtà mentre affrontano la crudeltà schiacciante di un mondo pronto a disfarsi di coloro che non sono più considerati preziosi. La leggendaria attrice giapponese Baishō Chieko interpreta Michi, una donna di 78 anni che considera il programma del governo una seccatura troppo pubblicizzata, finché non perde il lavoro e trova una cara amica morta in solitudine nella propria casa. La vita diventa precaria, Michi rimane sola e il Piano 75 inizia a sembrare allettante.
Quando Michi si iscriverà a Plan 75, la sua storia interagirà con quelle degli impiegati del programma, ognuno dei quali sta affrontando un proprio dilemma morale legato al loro lavoro. Hiromu (Isomura Hayato) è un burocrate del Plan 75 la cui apatia viene messa in discussione quando suo zio Yukio (Takao Taka) si candida per il programma. Maria (Stefanie Arianne) è un’immigrata filippina che accetta il lavoro tabù di spogliare i cadaveri e prepararli per la cremazione per pagare l’operazione al cuore di sua figlia.
Questi sviluppi dei personaggi si svolgono in modo sottile e naturalistico, con interpretazioni controllate che sottolineano la tensione tra la superficie educata del film e il sub testo inquietante (Baisho interpreta alla perfezione Michi, la cui disperazione e rassegnazione vengono riflessi in ogni momento del film attraverso l’espressività dell’attrice).
A prima vista, il programma e i suoi venditori trasudano gentilezza e compassione per attrarre e convincere i partecipanti della loro scelta quasi fino a sembrare degli automi privi di emozioni. Questo mostra un’inquietante visione della indifferenza burocratica del film e della crescente perdita di interconnessione.
Ma tra le interazioni di Michi con Narimiya Yōko, un’addetta del call center del Plan 75, vediamo i veri effetti che il programma ha su entrambi i lati: la prima trova felicità nell’aver trovato qualcuno con cui parlare e che la tratti come un essere umano e non come un problema da rimuovere, mentre la seconda, dopo aver passato una serata con Michi, vede come il lei ci sia ancora una persona piena di vita e di felicità, rimuovendo il filtro di indifferenza che il programma cercava di imporre a ogni costo sui propri dipendenti.
“Non esiste ancora il Piano 75 in Giappone, ma ho voluto far sentire al pubblico che potrebbe accadere in qualsiasi momento” afferma il direttore della fotografia giapponese del film, UrataHideho, in collaborazione con Hayakawa.
La regista, infatti, non include ironia o satira nel proprio film, solidificando l’idea che ciò che si sta guardando è una possibilità vicina a differenza di una lontana distopia.
Tuttavia, la visione di Hayakawa non vuole essere lugubre o pessimistica, poiché tutti i personaggi imparano presto a prendere in pieno conto le loro vite e ciò che significa davvero vivere.
Tratto dall’omonimo romanzo semi-autobiografico di Takayama Makoto, Egoist è il titolo della nuova pellicola firmata Matsunaga Daishi, che si presenta sul palcoscenico della venticinquesima edizione del Far East Film Festival con un film rivoluzionario e dall’impatto travolgente.
La storia ruota attorno alla relazione omoerotica tra Kōsuke, trentenne redattore di successo, e il suo personal trainer, Ryūta. Nonostante il successo in ambito lavorativo, che gli consente di condurre uno stile di vita ricco sia sotto il profilo economico che delle relazioni umane e sociali, Kōsuke soffre sin da bambino una solitudine dovuta al vuoto che la morte di sua madre gli ha lasciato. Il suo background rurale lo ha portato a costruirsi una robusta corazza, nella quale imprigiona la sua identità, ma l’arrivo improvviso e inaspettato di Ryūta, giovane personal trainer assunto personalmente da Kōsuke, determina un profondo cambiamento nelle vite di entrambi. Sin dal primo allenamento nasce una relazione imperniata su un prolungato contatto fisico, che diviene sempre più frequente, intrigante e intenso, a tal punto da culminare in un ardente e passionale coinvolgimento sessuale. E proprio il lungo tempo di ripresa di questa dimensione carnale dipinge uno dei tratti fondamentali del film; i prolungati baci, le carezze con cui i protagonisti si esplorano a vicenda e le erotiche penetrazioni costituiscono una netta cesura rispetto alle precedenti produzioni LGBTQ+ mainstream dell’industria cinematografica giapponese, dove l’aspetto fisico delle relazioni omosessuali trovava uno spazio minimale, per consentire la visione anche a un pubblico eterosessuale.
Proprio questo momento cruciale nelle vite dei protagonisti segna il primo punto di rottura della storia che caratterizza questo straordinario film: ad un tratto, Ryūta molla improvvisamente Kōsuke, rivelandogli di essere un gigolò sin dalla sua prima adolescenza, per sostenere la madre sola e in precarie condizioni economiche e di salute. Kōsuke riesce, però, a dare una svolta alla sua vita, fornendogli un sussidio mensile sufficiente a mantenere sia la madre che Ryūta stesso, gesto che porterà quest’ultimo a riscoprire il significato e l’importanza dell’avere un nucleo familiare, nella sua vicenda personale messo a soqquadro, invece, sin dalla sua infanzia.
La pace, l’armonia e la felicità della ormai matura e consolidata relazione tra i due personaggi principali, però, porta a uno sviluppo scioccante e inaspettato; è qui che l’accezione del titolo – più sfuggente di quanto appaia – viene fuori. Emerge il dubbio sulla vera natura delle azioni di Kōsuke e su quanto essa giochi un ruolo fondamentale nel determinarne il loro significato.
In una regia caratterizzata da pochi intermezzi musicali, inquadrature dinamicamente incentrate sui volti e sui corpi dei personaggi, con dialoghi brevi e concisi pieni di impeto e di sentimento, Egoist tratteggia la volontà del regista di dimostrare come una relazione apparentemente fuori dagli schemi affondi le radici in nuclei dell’esperienza umana in cui ognuno di noi può potenzialmente rispecchiarsi. Il film, dunque, fornisce un importante spunto di riflessione su quanto le nostre esperienze quotidiane possano portare a complessi e contraddittori sviluppi del nostro modo di agire, di sentire e di vivere, facendolo in un modo straordinariamente e splendidamente autentico.
Regia: Iwai Shunji Datadiuscita: 14 Settembre 1996
SwallowtailButterfly, pellicola giapponese del 1996, diretta dall’eclettico IwaiShunji ha trovato spazio come retrospettiva al Far East Film Festival 25.
Si tratta di un’opera impegnativa che esplora diverse tematiche sociali, politiche ed economiche del Giappone degli anni ’90. Anni difficili per un Giappone che si trova proprio al centro della crisi economica più disastrosa che il paese avesse mai sperimentato fino a quel momento; l’esplosione della bolla immobiliare del 1991 che causò l’inizio di una pesante stagnazione economica.
La trama racconta la storia di un gruppo di personaggi che si incontrano e si uniscono in un quartiere multiculturale di una Tokyo distopica, dalla forte presenza di immigrati cinesi, chiamato ento 円都 (Yentown). Quest’ultimo è un nome assegnato dalla popolazione immigrata alla città grazie alla forte valutazione dello Yen che è diventato la moneta più costosa al mondo attirando attorno a sé chiunque sia in cerca di fortuna per poi ritornare nel proprio paese da uomo ricco. La popolazione locale però li chiama entō 円盗 (yentowns), gioco di parole dal significato ostile in quanto composta dal kanji di “ladro”; vengono così trattati con disprezzo e ostilità, sono considerati come una minaccia alla stabilità sociale a causa della loro appartenenza a gruppi minoritari. La storia ruota intorno a una ragazza di sedici anni (Ito) la cui madre è appena morta. La ragazza viene passata da persona a persona fino a quando non viene presa in carico da una prostituta cinese di Entō di nome Glico, che le dà il nome di Ageha (in giapponese significa coda di rondine). Sotto la cura di Glico, Ageha inizia una nuova vita.
Il film affronta temi come la discriminazione, la povertà, l’emarginazione sociale, l’immigrazione, la globalizzazione e il rapporto tra la cultura giapponese e quella straniera. In particolare, la pellicola riflette sull’importanza della comunità e della solidarietà in un mondo sempre più individualista e alienante. Presenta un’immagine critica della società giapponese e dei suoi valori, mettendo in luce le difficoltà e le sofferenze delle persone che sono ai margini della società. Il modo crudo ma al contempo affascinante con cui viene raccontato ha contribuito a rendere l’opera un capolavoro avente un forte impatto sulla cultura giapponese suscitando negli spettatori dibattiti sulla condizione dei gruppi emarginati nella società giapponese contemporanea.
Swallowtail Butterfly è un film estremamente visivo e musicale, con una colonna sonora composta da Kobayashi Takeshi che ha contribuito a rendere la pellicola un vero e proprio cult. L’opera vanta inoltre una fotografia straordinaria curata da Shinoda Noboru che grazie all’utilizzo di una camera a mano regala velocità ad ogni scena dando la sensazione che la pellicola sia in costante movimento. La regia di Iwai Shunji è complessa ed elegante, con un’attenzione particolare ai dettagli e alla psicologia dei personaggi.
In definitiva, Swallowtail Butterfly è un film complesso, stimolante e attuale che offre una visione realistica e provocatoria della società giapponese degli anni ’90 e che invita il pubblico a riflettere sulle sfide del nostro tempo e sulla necessità di trovare soluzioni innovative e collaborative per superarle.
Regia: Mori Yoshihiro Durata: 124 minuti Attori principali: Moriyama Mirai, Itō Sairi Anno: 2021
Ho 46 anni e sono diventato un adulto noioso
Il momento per crescere, o in inglese We couldn’t become adults, è un film del 2021 targato Netflix che racconta la vita di Satō Makoto, uomo adulto ancora alle prese con i rimpianti di un amore passato, la cui relazione lo ha segnato così profondamente da aver influenzato la sua intera età adulta e il suo modo di vedere la realtà e di relazionarsi con il prossimo.
Il film ripercorre la vita del protagonista procedendo in retrospettiva, partendo dal 2020, fino ad arrivare agli anni ‘90, coprendo un arco temporale di circa 25 anni. Anno per anno, si va sempre più a ritroso nel tempo, arrivando a raggiungere i momenti della vita di Satō che più lo hanno scosso emotivamente.
Il protagonista Satō è una persona distaccata, fredda, dedita quasi interamente al suo lavoro di graphic designer, nonostante qualche sporadico e fallimentare tentativo di scrittura di un romanzo. La sua è in un certo senso una vita ordinaria, normale, dove però manca quel qualcosa che gli consente di fare il salto emotivo e di maturazione necessario per passare dall’età giovanile a quella adulta, accecato dalla volontà di non volere diventare un adulto “ordinario” come tanti altri che lo circondano.
Ripercorrendo la sua vita scopriamo come in virtù di questa sua volontà egli abbia in qualche modo sabotato tutte le sue relazioni passate, rifiutando di sposarsi o di avere figli. Tutti intorno a lui vedono lo sposarsi e il mettere su famiglia come un processo necessario per diventare adulti, che tutti devono intraprendere se si vuole avere una vita felice e sicura, ma Satō si rifiuta di seguire la massa, perseguendo una non meglio precisata idea di vita non conformista.
Non è sempre stato così però, nella sua prima relazione infatti, Satōdesiderava fortemente andare a vivere insieme alla sua ragazza del tempo, Kato Kaori, ed eventualmente sposarla, ma una volta mossa la proposta lei si rifiuta, affermando come il suo desiderio più grande fosse quello di vivere una vita che fosse il meno “ordinaria” possibile, al contrario di quelle di tutti gli adulti e dei coetanei che nel frattempo cominciavano a crescere e a inserirsi sempre di più nella società.
Quando ci separammo lei disse: “La prossima volta porto i CD”.
Furono le nostre ultime parole. Poi fu finita tra noi.
L’ultimo giorno del 1999 non avvenne la fine del mondo come predisse Nostradamus, ma l’unica persona che Satō amava più di sé stesso lo lasciò.
Il film affronta la riflessione interiore del protagonista, che si interroga sui motivi per il quale non è mai riuscito a “diventare adulto”, forse perché questo avrebbe voluto dire accettare di vivere una vita comune, ordinaria, andando contro alle credenze di quella stessa persona che tanto aveva amato in passato.
Il momento per crescere è un film di forte impatto emotivo, che affronta con grande realismo le problematiche e le difficoltà dell’età adulta, anni in cui è facile rimanere soffocati e intrappolati nella nostalgia degli anni giovanili ormai andati, ingannati dalla credenza che crescere sia solo una trappola.
Tuttavia nonostante tutto viene da chiedersi, è davvero così un problema vivere una vita ordinaria?
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