Swallowtail Butterfly || Far East Film Festival 25

Ageha in una scena del film

Regia: Iwai Shunji
Data di uscita: 14 Settembre 1996

Swallowtail Butterfly, pellicola giapponese del 1996, diretta dall’eclettico Iwai Shunji ha trovato spazio come retrospettiva al Far East Film Festival 25.

Si tratta di un’opera impegnativa che esplora diverse tematiche sociali, politiche ed economiche del Giappone degli anni ’90.
Anni difficili per un Giappone che si trova proprio al centro della crisi economica più disastrosa che il paese avesse mai sperimentato fino a quel momento; l’esplosione della bolla immobiliare del 1991 che causò l’inizio di una pesante stagnazione economica.

La trama racconta la storia di un gruppo di personaggi che si incontrano e si uniscono in un quartiere multiculturale di una Tokyo distopica, dalla forte presenza di immigrati cinesi, chiamato ento 円都 (Yentown).
Quest’ultimo è un nome assegnato dalla popolazione immigrata alla città grazie alla forte valutazione dello Yen che è diventato la moneta più costosa al mondo attirando attorno a sé chiunque sia in cerca di fortuna per poi ritornare nel proprio paese da uomo ricco.
La popolazione locale però li chiama entō 円盗 (yentowns), gioco di parole dal significato ostile in quanto composta dal kanji di “ladro”; vengono così trattati con disprezzo e ostilità, sono considerati come una minaccia alla stabilità sociale a causa della loro appartenenza a gruppi minoritari.
La storia ruota intorno a una ragazza di sedici anni (Ito) la cui madre è appena morta. La ragazza viene passata da persona a persona fino a quando non viene presa in carico da una prostituta cinese di Entō di nome Glico, che le dà il nome di Ageha (in giapponese significa coda di rondine). 
Sotto la cura di Glico, Ageha inizia una nuova vita.

Il film affronta temi come la discriminazione, la povertà, l’emarginazione sociale, l’immigrazione, la globalizzazione e il rapporto tra la cultura giapponese e quella straniera.  In particolare, la pellicola riflette sull’importanza della comunità e della solidarietà in un mondo sempre più individualista e alienante.
Presenta un’immagine critica della società giapponese e dei suoi valori, mettendo in luce le difficoltà e le sofferenze delle persone che sono ai margini della società. 
Il modo crudo ma al contempo affascinante con cui viene raccontato ha contribuito a rendere l’opera un capolavoro avente un forte impatto sulla cultura giapponese suscitando negli spettatori dibattiti sulla condizione dei gruppi emarginati nella società giapponese contemporanea.

Swallowtail Butterfly è un film estremamente visivo e musicale, con una colonna sonora composta da Kobayashi Takeshi che ha contribuito a rendere la pellicola un vero e proprio cult.
L’opera vanta inoltre una fotografia straordinaria curata da Shinoda Noboru che grazie all’utilizzo di una camera a mano regala velocità ad ogni scena dando la sensazione che la pellicola sia in costante movimento.
La regia di Iwai Shunji è complessa ed elegante, con un’attenzione particolare ai dettagli e alla psicologia dei personaggi.

In definitiva, Swallowtail Butterfly è un film complesso, stimolante e attuale che offre una visione realistica e provocatoria della società giapponese degli anni ’90 e che invita il pubblico a riflettere sulle sfide del nostro tempo e sulla necessità di trovare soluzioni innovative e collaborative per superarle.

Il momento per crescere || Recensione 

Regia: Mori Yoshihiro
Durata: 124 minuti
Attori principali: Moriyama Mirai, Itō Sairi
Anno: 2021

Ho 46 anni e sono diventato un adulto noioso

Il momento per crescere, o in inglese We couldn’t become adults, è un film del 2021 targato Netflix che racconta la vita di Satō Makoto, uomo adulto ancora alle prese con i rimpianti di un amore passato, la cui relazione lo ha segnato così profondamente da aver influenzato la sua intera età adulta e il suo modo di vedere la realtà e di relazionarsi con il prossimo. 

Il film ripercorre la vita del protagonista procedendo in retrospettiva, partendo dal 2020, fino ad arrivare agli anni ‘90, coprendo un arco temporale di circa 25 anni. Anno per anno, si va sempre più a ritroso nel tempo, arrivando a raggiungere i momenti della vita di Satō che più lo hanno scosso emotivamente.

Il protagonista Satō è una persona distaccata, fredda, dedita quasi interamente al suo lavoro di graphic designer, nonostante qualche sporadico e fallimentare tentativo di scrittura di un romanzo. La sua è in un certo senso una vita ordinaria, normale, dove però manca quel qualcosa che gli consente di fare il salto emotivo e di maturazione necessario per passare dall’età giovanile a quella adulta, accecato dalla volontà di non volere diventare un adulto “ordinario” come tanti altri che lo circondano.

Ripercorrendo la sua vita scopriamo come in virtù di questa sua volontà egli abbia in qualche modo sabotato tutte le sue relazioni passate, rifiutando di sposarsi o di avere figli. Tutti intorno a lui vedono lo sposarsi e il mettere su famiglia come un processo necessario per diventare adulti, che tutti devono intraprendere se si vuole avere una vita felice e sicura, ma Satō si rifiuta di seguire la massa, perseguendo una non meglio precisata idea di vita non conformista. 

Non è sempre stato così però, nella sua prima relazione infatti, Satōdesiderava fortemente andare a vivere insieme alla sua ragazza del tempo, Kato Kaori, ed eventualmente sposarla, ma una volta mossa la proposta lei si rifiuta, affermando come il suo desiderio più grande fosse quello di vivere una vita che fosse il meno “ordinaria” possibile, al contrario di quelle di tutti gli adulti e dei coetanei che nel frattempo cominciavano a crescere e a inserirsi sempre di più nella società.

Quando ci separammo lei disse: La prossima volta porto i CD

Furono le nostre ultime parole. Poi fu finita tra noi.

L’ultimo giorno del 1999 non avvenne la fine del mondo come predisse Nostradamus, ma l’unica persona che Satō amava più di sé stesso lo lasciò. 

Il film affronta la riflessione interiore del protagonista, che si interroga sui motivi per il quale non è mai riuscito a “diventare adulto”, forse perché questo avrebbe voluto dire accettare di vivere una vita comune, ordinaria, andando contro alle credenze di quella stessa persona che tanto aveva amato in passato.

Il momento per crescere è un film di forte impatto emotivo, che affronta con grande realismo le problematiche e le difficoltà dell’età adulta, anni in cui è facile rimanere soffocati e intrappolati nella nostalgia degli anni giovanili ormai andati, ingannati dalla credenza che crescere sia solo una trappola.

Tuttavia nonostante tutto viene da chiedersi, è davvero così un problema vivere una vita ordinaria? 

Recensione di Giuliano Defronzo

House of the Hummingbird || AFS Spring 2023

L’Associazione Takamori è lieta di presentare House of the Hummingbird, la prossima pellicola in proiezione per Martedì 18 Aprile al cinema Rialto di Bologna!

House of Hummingbird è un dramma del 2018 diretto da Bora Kim.
Nel 1994 Eun-Hee, ragazza di quattordici anni che ama disegnare, si sta preparando per entrare al liceo. Viene abusata dai genitori, insieme alla sorella, però trova conforto nella nuova insegnate Ms. Kim, che la aiuterà e la guiderà in questo periodo difficile della sua vita.

Per acquistare i biglietti cliccate qui o visitate il sito web di circuitocinemabologna.it

Vi aspettiamo!

Kore’eda, cinema della memoria || Articolo de Il Manifesto

Frame di Nobody Know (誰も知らない) (2004)

Articolo di Matteo Boscarol pubblicato l’1 Aprile 2023

Nei più di trent’anni di carriera e specialmente nell’ultimo decennio, dopo cioè la conquista della Palma d’Oro con Un affare di famiglia nel 2018, Hirokazu Kore’eda si è affermato come una delle voci più importanti e seguite nel panorama cinematografico internazionale.

Il suo ultimo lavoro, Monster, il primo tratto da un soggetto non suo, sarà con ogni probabilità presentato a Cannes, dove il regista è oramai diventato un habitué.

Non è una sorpresa quindi che la sua produzione cinematografica, che comprende in realtà anche molti lavori per la televisione e piattaforme streaming, sia oggetto di nuova attenzione, anche da parte del mondo dell’editoria italiana, attraverso l’uscita di due volumi.

Con Il cinema di Koreeda Hirokazu. Memoria, assenza, famiglie (edizioni Cue Press, Imola 2022) Claudia Bertolé rivisita e amplia la sua stessa monografia sul regista uscita circa un decennio fa, anche in risposta all’evoluzione che, in questi ultimi anni, la filmografia del regista ha subito, arricchendosi di esperienze fatte al di fuori del Giappone, come La verità, in Francia, e Le buone stelle – Broker, nella Corea del Sud, ma anche dopo il già citato successo e la conseguente visibilità ottenuta dal riconoscimento ricevuto a Cannes.

Bertolé struttura il suo volume, che è impreziosito da una prefazione di Dario Tomasi, in una prima parte formata da capitoli che affrontano alcune delle tematiche ricorrenti nella produzione del regista giapponese, stile documentario, memoria, famiglia, mondo dell’infanzia, personaggi femminili e richiami al cinema classico giapponese, ed in una seconda, dove vengono analizzati i singoli lavori, compresi quelli seriali.

Come è noto, Kore’eda comincia la sua esperienza dietro alla macchina da presa nel mondo del documentario televisivo, quando venticinquenne entra nella tv Man Union. Le tecniche documentarie qui sviluppate, come viene ben evidenziato dall’autrice, continueranno ad essere impiegate dal regista durante tutta la sua carriera, da After Life a Distance, da Nobody Knows a Un affare di famiglia.

La memoria è uno dei grandi temi che caratterizza gran parte della produzione di Kore’eda, come scrive Bertolé, si tratta di «memoria, intesa sia come identità, come ciò che definisce chi siamo e il nostro percorso nella vita, sia come strumento di confronto con il passato e allo stesso tempo supporto per affrontare il dolore dovuto alla perdita di coloro che amiamo». È questa una tematica che era già presente negli inizi documentaristici del regista, si pensi ad esempio a Without Memory del 1996, ma, come fa notare l’autrice, deriva anche all’esperienza personale di Kore’eda che da bambino ha assistito alla perdita di memoria del nonno, affetto dal morbo di Alzheimer.

L’altro grande tema che innerva la filmografia del giapponese è quello della famiglia, in molti dei suoi lavori assistiamo infatti allo sfaldarsi e al ricomporsi del gruppo familiare, tenendo presente che, come fa notare Bertolè, «Le famiglie di Kore’eda sono spesso nuclei allargati ovvero strutture che possono crollare e ricomporsi in altre forme». In lavori quali I Wish, Father and Son, Little Sister, Un affare di famiglia e Nobody Knows «la famiglia» continua ancora l’autrice «è una questione di scelte, è una comunità che si autodetermina, in un contesto sociale vissuto ai margini e del quale si percepisce il disinteresse, di certo non l’inclusione».

In Pensieri dal set (a cura di Francesco Vitucci, Cue Press, Imola 2022), traduzione di un volume originariamente pubblicato la prima volta in Giappone nel 2016, Kore’eda raccoglie invece, quasi in forma diaristica, le osservazioni e le riflessioni riguardo le varie fasi della sua carriera, dall’esordio nel mondo della televisione al successo internazionale degli ultimi decenni.

È un volume illuminante per varie ragioni, ma soprattutto in quanto offre uno sguardo su tutto ciò che circonda la produzione dei suoi film e su come si sia sviluppata l’avventura della sua carriera cinematografica.

Dalle parole del regista infatti, si evince come il singolo film sia il prodotto finale, o talvolta la traccia, di un processo e di una trama più vasta e complessa che comprende partecipazioni a festival internazionali, i rapporti con le case di produzione, i fattori e le contingenze economiche, il dialogo con gli spettatori e le influenze artistiche inaspettate. Per quel che riguarda questo ultimo punto, alcune delle pagine più belle del volume sono quelle in cui il regista rivela l’importanza della televisione per la sua crescita, fin da quando, ragazzino, ogni settimana rimaneva incollato davanti al piccolo schermo a guardare i vari programmi fra cui specialmente Ultraman e, più tardi i lavori di Shoichiro Sasaki. Kore’eda rimane folgorato dai lavori per la televisione di Sasaki, telefilm o film che ibridavano spesso fiction con elementi del documentario e che usavano attori non professionisti nei ruoli principali. Kore’eda ha tratto evidente ispirazione da Sasaki, un autore praticamente sconosciuto in Occidente, ma la cui produzione è tanto eclettica quanto affascinante, a partire dal capolavoro del 1974 Yume no shima shojo (Dream Island Girl).

Altra figura fondamentale per la carriera di Kore’eda è stato il suo collaboratore e produttore televisivo Yoshihiko Muraki che Kore’eda definisce «il mio padre spirituale» e «la persona che mi ha permesso di trasformare la mia passione per la televisione in un lavoro».

Non mancano poi, nel volume, accenni alla situazione cinematografica e politica del suo paese. «Nelle aree rurali del paese» scrive Kore’eda «non sono rimaste che le multisale, e i cinema di piccole dimensioni che proiettavano film dall’alto valore contenutistico sono pressoché scomparsi». Questa sua preoccupazione per il destino dell’offerta cinematografica del Giappone, va di pari passo con il suo impegno per cambiare l’industria del settore, negli ultimissimi anni martoriata dalla pandemia e da un sistemico emergere di scandali sessuali e di abusi di potere. «La sensazione – continua il cineasta – è che bisogna agire con urgenza se non si intende disperdere la ricchezza e la varietà della cultura cinematografica che abbiamo ereditato dal passato».

It’s a Summer Film! || Recensione

Regia: Matsumoto Sōshi
Durata: 97 minuti
Attori principali: Itō Marika, Kawai Yūmi, Inori Kirara, Kaneko Daichi
Anno: 2020

Film di debutto del giovane regista Matsumoto Sōshi, It’s a Summer film! È una palese dichiarazione d’amore versotutto il mondo cinematografico, e rappresenta al contempo un film di formazione e di crescita emotiva, che spiccagrazie al suo stile incredibilmente dolce e innocente. 

Nella pellicola, seguiamo le vicende di Hadashi (lett. “Piedi scalzi”), una liceale membro del club di cinema, che dopo aver visto rifiutato il finanziamento per l’avvio del suo film samuraico in favore della rom-com di un’altra collega, decide comunque di provare a portare avanti il suo progetto nel tempo libero.

Radunerà un gruppo di altre sette persone tra cui le sue compagne “Tavoletta” e “Blue Hawaii”. Ognuno di questi personaggi è a suo modo stereotipato ed esagerato, come si può evincere dai nomi, quasi a far sembrare il film come uscito da un manga, eppure nonostantel’eccentricità dei personaggi il film non snatura, ma anzi, ne viene ancora più arricchito grazie al mood scanzonato e quasi comico che si viene a creare: Blue Hawaii è la campionessa di kendō della scuola, eppure nonostante la severa arte marziale possa far sembrare il contrario, è in realtà una dolce e innocente ragazza la cui passione principale sono ironicamente le rom-com. “Daddy Boy”, il co-protagonista nel film di samurai, è un liceale che sembra tutto tranne che un liceale: ha un volto adulto e rude, perfetto per un film samuraico. Abbiamo poi Oguri, ragazzo sfrontato e sfacciato, caratterizzato da una folta chioma bionda e dalla sua fidata bicicletta con infissi su tutta la parte anteriore una eccessiva squadra di lampadine e luci, con le quali aiuterà alla creazione del film propriocome addetto alle luci. 

Lo script del film era già pronto prima ancora di metterlo in scena, ma è durante le riprese che Hadashi matura la sua visione del fare cinema. La condivisione, lacollaborazione e la sintonia che si crea con i vari membri del casti infatti, mutano lo spirito creativo della protagonista, che si evolve in un processo congiunto conle emozioni e la propria maturità emotiva, conducendo inevitabilmente a un processo di formazione che solo il cinema sarebbe stato in grado di regalare. Fare e guardare cinema è un’opera di condivisione, di crescita e di maturazione, nonché un grande atto d’amore, capace inoltre di unire presente, passato e futuro.

It’s a Summer Film! è un omaggio incredibilmente aperto e dolce nei confronti di tutto il mondo cinema e di ciò che lo circonda, non mancando certo di citazioni e riferimenti ai grandi classici, in particolare al cinema samuraico. 

Certamente è un primo debutto che colpisce, da cui trasuda l’amore che il regista Matsumoto Sōshi nutre nei confronti del suo lavoro, ed è per questo che non vediamo l’ora di vedere come il regista stesso maturerà, propriocome fatto dai protagonisti di questo suo primo film.

Recensione di Giuliano Defronzo

Feel The Wind || Recensione

Regia: Ōmori Sumio
Durata: 133 minuti
Anno di uscita: 2009
Attori principali: Koide Keisuke, Hayashi Kento

Feel the Wind (in originale Kaze ga tsuyoku fuiteiru) è un film del 2009 basato sull’omonimo libro dell’autrice Miura Shion del 2006. Il film gira attorno alla Hakone Ekiden, che generalmente si tiene tra il 2 e il 3 di gennaio, durante il quale i concorrenti devono correre da Tokyo fino a Hakone.

Il film tratta di Kurahara Kakeru (Hayashi Kento), un prodigio della corsa, che viene invitato da Kiyose Haiji (Koide Keisuke) a vivere nello stesso dormitorio chiamato Aotake dopo essere scappati correndo da un ristorante senza pagare. Durante una cena per festeggiare il nuovo arrivato, si scopre che in realtà l’Aotake è la sede del club di corsa, e che Kiyose li ha scelti per cercare di partecipare all’Hakone Ekiden, una staffetta di livello universitario, e Kurahara era il decimo inquilino che mancava per poter partecipare. Nonostante lo scetticismo dei compagni, e soprattutto di Kurahara che vede l’impresa come impossibile, i dieci ragazzi cominciano ad allenarsi per poter finalmente prender parte alla gara e realizzare il sogno di Kiyose.

La pellicola si focalizza principalmente sulla corsa, mostrandone la capacità liberatoria, ma anche l’immensa solitudine che ne deriva. Kiyose tenta di dimostrare a Kurahara che ciò che importa davvero nella corsa non è la velocità, ma la forza, e che invece di scappare dai propri problemi si può usare questo sport per correre verso un obiettivo. Inoltre, il film cerca esplora come Kurahara era da solo anche nella vita oltre che nella corsa, e come seguire Kiyose l’abbia aiutato a connettere anche con gli altri membri del gruppo, e a capire che ognuno di loro ha trovato un modo di gestire i problemi attraverso la corsa. Questa connessione tra i personaggi è brillantemente dimostrata attraverso l’uso della staffetta, in quanto il passaggio del testimone collega tutti loro, dall’inizio alla fine della gara.

Nonostante il largo cast di personaggi e il focus particolare su Kurahara e Kiyose, ognuno dei dieci protagonisti riceve un momento per brillare e avere l’attenzione su di sé, dando il film un senso di completezza e realizzazione dei personaggi.

Recensione di Camilla Ciresa