Tokyo Tower (2007) | Cineteca JFS

L’Associazione Takamori è lieta di presentarvi Tōkyō Tower, un film drammatico giapponese del 2007 diretto da Matsuoka Jōji.

Titolo originale: 東京タワー 〜オカンとボクと、時々、オトン〜
Regista: Matsuoka Jōji
Uscita al cinema: 14 Aprile 2007
Durata: 142 Minuti

Tratto dall’omonimo best-seller autobiografico di Lily Franky, Tokyo Tower si apre raccontando la storia di Nakagawa Masaya, vero nome dell’autore  interpretato da Odagiri Jō, partendo dall’infanzia di quest’ultimo, nella quale vede il padre, un artista eccentrico affetto da problemi con l’alcool, picchiare la madre Eiko.
A seguito di quest’evento Eiko decide di lasciare il marito e di portare il piccolo Masaya via con sé dove grazie al suo duro lavoro riuscirà a far vivere al figlio un’infanzia normale.

La pellicola è riuscita a vincere 5 premi al Japan Academy Prizes quali miglior film, miglior regia, screenplay dell’anno, migliore attrice protagonista e miglior attore non protagonista. Ha inoltre ricevuto nomination quali miglior attore protagonista, migliore attrice protagonista e miglior attore non protagonista alla seconda edizione degli Asian Film Awards.

Il film trova un ottimo connubio tra malinconia e momenti leggeri riuscendo, con un ottimo lavoro di scrittura, a dipingere un sincero rapporto madre-figlio.
Tokyo Tower si snoda tra i flashback del protagonista andando a raccontare una storia di vita comune le quali vicende scavano nella complessità di cosa voglia dire crescere e di come sia giusto farlo anche nei momenti più duri.

Per maggiori informazioni riguardo al film, vi invitiamo a visitare il nostro canale YouTube dove potrete visionare il nostro nuovo video (disponibile premendo qui), insieme a tanti altri contenuti interessanti sul mondo della cinematografia giapponese e non solo !

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Miss Zombie (2013) | Recensione

Titolo originale: ミス・ゾンビ
Regista: Sabu
Uscita al cinema: 14 settembre 2013
Durata: 85 Minuti

SINOSSI:

In un Giappone contemporaneo in cui gli zombi sono venduti come schiavi, denominati animali domestici dalle famiglie abbastanza facoltose da poterseli permettere, Shara viene consegnata in una gabbia, accompagnata da un manuale che ne descrive la rigorosa dieta vegetariana e una pistola, a tutela della famiglia, qualora se ne ritenesse necessario l’utilizzo.

RECENSIONE:

Sabu (noto anche come Tanaka Hiroyuki) è un regista ben noto ai giapponesi per i suoi ritmi frenetici: titoli come Non-stop, Postman Blues o Monday continuano a riecheggiare nell’immaginario del pubblico e non può quindi che sorprendere la totale deviazione stilistica che avviene con Miss Zombie che ne segna peraltro l’esordio nel genere horror.

Girato quasi interamente in bianco e nero con inquadrature lente e fluide, dialoghi minimi e per la gran parte accompagnati dall’assenza di una colonna sonora, Miss Zombie offre un’esperienza unica di grottesco orrore.

Miss Zombie è però una pellicola che si discosta fortemente anche dal genere horror: gli zombi non sono altro che il tropo principale tramite il quale Sabu decide di raccontare il consumarsi di un dramma famigliare.
Lo svolgersi della pellicola, deliberatamente flemmatico sia nelle scene che nelle riprese, imita il trascinarsi di Shara e la ripetitività delle mansioni alle quali è sottoposta.
La crescente tensione non si costruisce sulla ferocia di quest’ultima ma nella quotidiana frustrazione degli umani, che carnefici si riversano su una protagonista inerme.

Favorendo una marcata impronta thriller a quella del semplice orrore, Miss Zombie potrebbe deludere i più affezionati al genere classico, incuriosendo
alla visione invece gli spettatori meno avvezzi. In entrambi i casi, Miss Zombie è molto più di ciò che parla.
Se si scava a fondo della superficie stilistica e si interrogano le motivazioni dei personaggi, un quesito emerge: chi è davvero il mostro?

Miss Zombie è la testimonianza della versatilità di Sabu che riesce a presentare sotto una nuova luce uno dei generi più cari al pubblico giapponese.

— Recensione di Claudia Ciccacci.

Rentaneko | Cineteca JFS

L’Associazione Takamori è lieta di presentarvi Rentaneko, un film drammatico giapponese del 2012 diretto da Ogigami Naoko.

Sayoko, interpretata da Ichikawa Mikako, è una giovane che vive con numerosi gatti in casa; non è sposata, non ha amici e l’unica parente mostrata nella pellicola è la nonna che l’ha cresciuta fin da bambina, deceduta da 2 anni lasciandole in ereditá i gatti.
Rimasta sola e sapendo di attrarre animali meglio di quanto farebbe con le persone decide di affittare i felini trasportandoli su un carretto lungo la sponda di un fiume e annunciandoli utilizzando un megafono.

Il film è stato presentato in anteprima all’International Film Festival di Stoccolma e, tra i vari, ha partecipato al Far East Film Festival di Udine e al Busan Film Festival.
A differenza di numerose altre pellicole che esplorano la solitudine come parte della vita moderna, Rentaneko è particolarmente semplice ma non banale, portando avanti lungo tutta la durata dell’opera un semplice messaggio – “non c’è nulla di meglio di un gatto per quando ci si sente soli”.

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The Little House (2014)

Titolo: The Little House (小さいおうちChiisai Ouchi)

Regista: Yamada Yōji

Anno di uscita: 2014

Durata: 136 minuti

Attori principali: Matsu Takako, Karuki Haru

The Little House (Chiisai ouchi) è un film drammatico del 2014 diretto da Yamada Yōji, è tratto dal romanzo di Nakajima Kyōko e rappresenta anche l’ultima opera del regista.

Racconta uno spaccato della società giapponese prima della seconda guerra mondiale attraverso gli occhi di una domestica che lavora presso una benestante famiglia di Tokyo. La storia inizia con Takeshi che ritrova un manoscritto appartenuto alla defunta zia Taki, e leggendone le pagine viene a conoscenza degli eventi che hanno riguardato la vita della parente, in particolare del periodo in cui lavorò come cameriera presso la famiglia Hirai, composta da Masaki, impiegato in una fabbrica di giocattoli, la moglie Tokiko e il figlio Ryoichi. Taki si trova fin da subito molto bene nel suo lavoro, venendo soprattutto apprezzata dai due coniugi per la dedizione che ella dimostra nelle cure del piccolo Ryoichi, al quale si lega particolarmente.

Questo equilibrio viene però sconvolto dall’arrivo di un nuovo dipendente nell’azienda di Masaki, Itakura Shōji che cattura subito l’interesse non solo di Tokiko ma anche della stessa Taki, e mentre la prima rende palese il proprio sentimento, la seconda non lo dichiarerà mai. Tutto ciò viene però bruscamente interrotto dallo scoppio della seconda guerra mondiale. L’impoverimento generale dovuto al conflitto costringe gli Hirai con grande dolore a fare a meno della domestica, dunque Taki ritorna nel suo paese e solo dopo la fine della guerra scoprirà che i due coniugi sono morti sotto i bombardamenti. Yamada usa una struttura a flashback, in cui tutti gli eventi raccontati sono filtrati dal ricordo, si viene quindi a creare un perfetto intreccio tra presente e passato.

Con l’espediente del manoscritto che viene ritrovato e letto dal nipote, Taki diventa la narratrice della storia e di conseguenza il suo punto di vista è privilegiato ma non l’unico, abbiamo infatti un’altra figura protagonista della storia, ovvero Tokiko. Queste due donne esprimono ideali di femminilità differenti, mentre la prima è timida, docile e restia a mostrare i propri sentimenti, la seconda è vivace, moderna e intraprendente, pronta a seguire il suo cuore senza pensare troppo alle conseguenze.

— Recensione di Delia Pompili.

Hit me anyone one more time! (2019)

Titolo: Hit me anyone one more time

Titolo originale: 記憶にございません

Regista: Mitani Kōki

Uscita al Cinema: 13 settembre 2019

Durata: 127 minuti

LA TRAMA

Siamo nel Giappone contemporaneo, in un momento dimenticabile per la politica giapponese. Infatti, il governo in carica, in questo momento, è considerato il peggiore di sempre, soprattutto a causa dell’attuale Primo Ministro Kuroda Keisuke (Nakai Kiichi), considerato il peggior primo ministro della storia. Keisuke è una persona rude, altezzosa e superba e chi più ne metta, ma un giorno a seguito di un discorso viene colpito in testa da una pietra perdendo la memoria. Da questo momento, il Primo ministro, con l’aiuto dei suoi segretari Nozomi Banba (Koike Eiko) e Isaka (Dean Fujioka), decide di cambiare e diventare un perfetto Primo Ministro. Per fare questo però è necessario mantenere all’oscuro tutti quanti, compresa la moglie Satoko (Ishida Yuriko) e il figlio Atsuhiko (Hamada Tatsuomi), riguardo la sua condizione di amnesia. Questo fatto scaturisce situazioni di imbarazzo e comicità e queste stesse situazioni porteranno il Premier a prendere decisioni avventate che a volte però saranno salvifiche per il suo Paese.

 

LA COMMEDIA

Questa volta Mitani Kōki ha deciso di portare al cinema una tipologia di commedia che sorprendentemente noi italiani conosciamo bene: la commedia degli equivoci. Infatti, tutta la pellicola e la maggior parte delle scene comiche presenti sono basate su equivoci creati dalla condizione di Keisuke. Bisogna però precisare che ogni fraintendimento creato da questa perdita di memoria è diverso e dinamico con risvolti sempre unici nel loro genere. Il regista, infatti, cerca in ogni scena di essere sempre originale rispettando comunque le caratterizzazioni forti e variegate dei suoi personaggi, senza rinunciare però a quella verve macchiettistica che tanto è cara alla commedia.

NON SOLO RISATE

Nonostante tutto, il film non ha come unico scopo quello di far ridere il proprio pubblico. Ogni personaggio ha una sua evoluzione e alla fine del film nessuno di questi è uguale a com’era all’inizio. Inoltre, Mitani Kōki ci da anche varie rappresentazioni dei funzionari, mostrandoci come essi siano degli esseri umani come tutti in grado di sbagliare, di essere comprensivi ma anche dei poco di buono con in mente soltanto potere e denaro. Insomma, in fin dei conti il regista cerca di dare una rappresentazione della varietà sociale giapponese dentro il governo, alleggerendo il tutto con una brillante vena comica che dona alla pellicola una completezza da manuale.

—Recensione di Massimo Magnoni.

True Mothers (2020)

True Mothers (朝が来る)

Regia: Kawase Naomi
Durata: 139 minuti
Attori principali: Hiromi Nagasaku, Arata Iura, Aju Makita
Anno: 2020

True mothers è un film basato sul romanzo “Asa ga kuru” di Tsujimura Mizuki, tratta le vicende di Satoko e Kiyokazu Kurihara, una coppia felicemente sposata che però non riesce ad avere figli. Questo li fa cadere progressivamente in uno stato di tristezza, tentano di cambiare questa situazione in ogni modo ma invano, finché non si rivolgono ad un ente no profit che accoglie madri che non possono prendersi cura dei propri figli, dando così la possibilità a delle coppie di adottarli. Ed è così che ai due viene affidato Asato, un bambino nato da una ragazza delle scuole medie di nome Hikari, che impossibilitata a tenerlo è costretta a separarsene. La coppia può quindi iniziare finalmente la loro vita familiare tanto desiderata, mentre Kiyokazu si dedica al lavoro, Satoko decide di lasciare tutto per dedicare il suo tempo alla crescita del figlio. Passano così cinque anni tranquilli fino a quando Hikari, madre biologica di Asato, decide di ripresentarsi nella vita dei Kurihara, rivendicando la maternità sul bambino e mettendo in crisi l’equilibrio familiare costruito negli ultimi anni.

True mothers è un film che parla di vite inizialmente separate, ma che poi per delle vicissitudini non del tutto piacevoli sono costrette a incontrarsi e ad intrecciarsi. Questo è reso con una narrazione che non è mai lineare, che avanza e indietreggia, il passato s’intreccia con il presente tramite dei flashback che ci permettono di capire cosa ha portato i personaggi a vivere determinate situazioni. Il regista Kawase inoltre conduce abilmente lo spettatore, nonostante all’inizio del film può sembrare di avere ben chiare le dinamiche che intercorrono tra i personaggi, e dove sia quindi il torto e la ragione, man mano che si va avanti con la visione il giudizio cambia, sostituendo magari il sentimento di disprezzo iniziale con comprensione.

Il tema della maternità e il forte impatto che ha nella vita di una donna, è ovviamente il centro di tutte le vicende, e viene presentato tramite le figure di Satoko e di Hikari: la prima che vorrebbe con tutta sé stessa un figlio non lo può avere, e ciò provoca in lei un senso di inadeguatezza, la seconda invece è costretta a rinunciarvi a causa dell’età e della situazione familiare, generando in lei nel tempo un forte senso di colpa.

—Recensione di Delia Pompili.