Red Girls – Sakuraba Kazuki || Recensione

Autrice: Sakuraba Kazuki

Traduzione: Anna Specchio

Editore: Edizioni e/o

Edizione: 2017

Il romanzo Red Girls di Sakuraba Kazuki (titolo originale 赤朽葉家の伝説, Akakuchiba ke no densetsu, “La leggenda della famiglia Akakuchiba”), è una saga familiare che narra di tre generazioni di donne nate nel dopoguerra, vincitore del Mystery Writers of Japan Awards. L’autrice è celebre nel panorama letterario giapponese per il romanzo My Man, storia di un amore incestuoso tra padre e figlia, con il quale ha vinto il Nobu Prize nel 2008. La prima parte del romanzo è ambientata negli anni Cinquanta in una piccola cittadina sulle colline del Chūgoku, Benimidori. La protagonista Man’yō viene adottata da una giovane coppia quando viene trovata di fianco a un pozzo appena neonata. Fin da subito, grazie alla sua pelle scura e ai suoi lineamenti marcati, si capisce che la bambina è figlia della “gente delle montagne”, probabilmente la popolazione Sanka, delle presenze misteriose e sfuggenti che si tengono ben lontane dagli abitanti della cittadina.

Alla sua origine peculiare si aggiunge anche il potere di chiaroveggenza che Man’yō dimostra di possedere: fin dall’infanzia, infatti, inizia ad avere visioni di un futuro nefasto. Nonostante la bassa posizione sociale della famiglia adottiva, Man’yō viene scelta come sposa dell’erede della nobile famiglia Akakuchiba, proprietaria della fonderia che domina il paese dall’alto della collina. Man’yõ diventa quindi la padrona di casa della sontuosa dimora Akakuchiba nel periodo che precede la crisi energetica, che metterà a dura prova la fonderia e gli ideali del dopoguerra.

Kemari, la figlia di Man’yõ, vive la sua adolescenza negli anni Ottanta, periodo in cui la fiducia nel futuro del dopoguerra fa spazio ad un senso di vacuità e disillusione. È il periodo di crescita della cosiddetta “subcultura delinquenziale”, di cui Kemari è l’evidente incarnazione. Nata sotto il segno del Cavallo di Fuoco, è una ragazza ribelle dal carattere impulsivo: alla tenera età di tredici anni è a capo di un gruppo di motocicliste minorenni che mettono a ferro e fuoco Benimidori e si lanciano in violente lotte tra bande.

È Toko, la figlia di Kemari, a raccontarci questa storia: si considera l’indegna nipote di Man’yō in quanto non possiede né i poteri di chiaroveggenza, né la forza d’animo della nonna. Ventenne e disoccupata per scelta, Toko inizia a sentire la pressione dell’enorme eredità che Man’yō le sta lasciando. Prima di morire, Man’yō pronuncia una frase davanti alla nipote: «Sono un’assassina.» Starà a Toko risolvere il mistero della grande padrona di casa Akakuchiba.

Red Girls intreccia un’atmosfera misteriosa e surreale ad un accurato studio della storia e della sociologia giapponese dal dopoguerra fino ai giorni nostri; i personaggi sono caratterizzati in modo superbo: le loro vicende narrano di una famiglia nobile a un passo dal cielo ma, in realtà, le loro paure e i loro sogni sono gli stessi di qualunque famiglia comune. Questi elementi portano il lettore a immergersi completamente nella storia e, alla fine del romanzo, a sentirsi parte della grande famiglia Akakuchiba.

Recensione di Martina Benedetta Calabrese

Il Sindaco della Notte – Unno Jūza || Recensione

Autore: Unno Jūza

Traduttore: Alberto Zanonato

Editore: Marsilio

Edizione: 2025

Serializzato sulla rivista Shinseinen dal febbraio al giugno del 1936, Il sindaco della notte (titolo originale 深夜の市長, Shin’ya no Shichō) è il primo romanzo lungo di genere mystery di Unno Jūza (1897-1949). Ancora poco conosciuto in Italia, Unno Jūza, pseudonimo di Sano Shōichi, è considerato il padre del romanzo fantascientifico giapponese.

In una prima parte della sua carriera si è concentrato sulla categoria del cosiddetto “giallo eterodosso” (honkaku tantei shōsetsu), che, piuttosto di basarsi su un metodo razionale di risoluzione di un enigma, più tipicamente occidentale, fa leva sugli elementi emotivi e irrazionali e sullo scioglimento del rompicapo dato dal caso. Il romanzo si colloca infatti in un periodo di sperimentazioni che esplorano il bizzarro, la stranezza e, di particolare interesse per l’autore, la fantascienza.

Il protagonista del romanzo, Asama Shinjūrō, è un apprendista ufficiale giudiziario, ma di notte diventa un autore di romanzi gialli sotto lo pseudonimo di Kigaya Aoni. Egli ama fare passeggiate notturne nella città di T. e, per questo motivo, ha anche elaborato una strategia per parcellizzare il suo sonno. È proprio durante una di queste passeggiate notturne che Asama, dopo aver sentito urlare, scopre un omicidio: due uomini stanno trasportando un cadavere che presenta un pugnale conficcato nella schiena. Il protagonista tenta di fermarli, ma i due riescono a fuggire e, al sopraggiungere della polizia, Asama rischia di essere scambiato per il colpevole e viene salvato da una figura misteriosa dalla folta barba, nota come il “sindaco” della notte, che domina la città dopo il calare del sole.

Dalla sera del delitto si susseguono una serie di avventure nella metropoli notturna che coinvolgeranno i due per svelare il mistero che si cela dietro l’omicidio. Allo stesso tempo, le attività notturne porteranno alla luce uno scandalo politico che coinvolge l’amministrazione cittadina. Il tutto è narrato a ritroso attraverso la voce di Asama, permettendo al lettore di comprendere le sue sensazioni, la sua curiosità (e allo stesso tempo perplessità) verso la figura del “sindaco” e il suo dilemma. Asama si ritroverà infatti ad un certo punto a metà tra il mondo diurno e quello notturno: dovrà decidere se portare avanti la sua carriera e raggiungere una posizione di spicco o abbandonare il suo lavoro a seguito di tutte le vicende che hanno avuto luogo alla luce della luna.

Una caratteristica che pervade l’intero romanzo è infatti la dualità: il contrasto tra l’apparente ordine della città e il caos che si cela nei vicoli bui, la figura del sindaco della città e il “sindaco” della notte, e la doppia identità di Asama. La narrazione mescola un linguaggio diretto ed evocativo al fine di evidenziare tale dualismo e, con questo sistema, il romanzo suggerisce che ci sia un mondo parallelo a quello diurno, con verità nascoste e scandali cittadini che solo chi vive nelle tenebre può conoscere, permettendo di porre una riflessione sull’idea di progresso e di corruzione.

Recensione di Valeria Varrenti

Il Cuore delle Cose – Natsume Sōseki || Recensione

Autore: Natsume Sōseki

Traduzione: Gian Carlo Calza

Editore: Neri Pozza

Edizione: 2006

Il romanzo Kokoro di Natsume Sōseki, (titolo reso in questa edizione con: Il Cuore delle Cose) venne pubblicato in Giappone per la prima volta nel 1914. Venne annoverato in poco tempo tra testi ‘canonici’ della letteratura giapponese postmoderna e tutt’oggi gli è riservato un posto di spicco nella letteratura nazionale. L’autore, Natsume Kinnosuke (1867 -1916) scrive sotto lo pseudonimo di Natsume Sōseki alcuni dei romanzi più rinomati del ventesimo secolo in Giappone, tra cui Io sono un gatto (1905) Il Signorino e Il Guanciale d’erba (1906).

Sōseki ci narra del rapporto tra un giovane ragazzo che studia a Tokyo e il suo sensei, un uomo in cui il protagonista e narratore del romanzo ha trovato un amico e guida spirituale. Già dal primo incontro dei due la figura del sensei si rivela centrale della narrazione, silenziosa ed enigmatica, spesso contraddittoria. Nel corso della storia si rimane stregati da questo personaggio che sembra avere nulla eppure molto da dire sulla vita e in particolare sulla società a lui contemporanea. Nell’ultimo terzo del libro le prospettive si ribaltano e i lettori vengono catapultati nella vita del sensei. Proprio questa si rivela il cuore della narrazione, durante la quale l’animo ed i pensieri del sensei finalmente ci vengono resi noti e attraverso i quali si intravede una realtà che fino a quel momento era stata abilmente nascosta ai lettori.

Uno dei temi centrali del romanzo, come in altri dell’autore, è il sentimento di disagio e repulsione verso l’epoca contemporanea a cui concorre la costante volontà di isolamento e la ricerca costante da parte dei protagonisti della propria identità. Soseki si fa narratore di sentimenti condivisi da molti autori del primo Novecento: il disagio del cambiamento, l’avversione verso i modelli occidentali e allo stesso tempo la consapevolezza di non potersi affidare alla tradizione. Il ‘dramma dell’uomo Meiji’ emerge dalle pagine del romanzo attraverso il personaggio del sensei, forse alter ego dello stesso Sōseki.

Il gesto finale del sensei diventa quindi metafora della transizione dai valori tradizionali ad una nuova e inarrestabile serie di cambiamenti nella società giapponese portati dal confronto e paragone con l’Occidente. Solamente nell’ultimo atto del sensei lui riesce, seppur a caro prezzo, nel processo di autorealizzazione che gli permette di prendere pieno possesso della propria esistenza durante un periodo di cambiamenti radicali, di individualismo ed egocentrismo che si stavano diffondendo sempre più nel Giappone Meiji.

Recensione di Valeria D’Alessandro

Residenza per Signore Sole – Togawa Masako || Recensione

Autrice: Togawa Masako

Traduttrice: Antonietta Pastore

Editore: Marsilio

Edizione: 2022

Pubblicato per la prima volta nel 1962, Residenza per signore sole (titolo originale 大いなる幻影, Ōinaru gen’ei) è un grande classico del noir giapponese, ricco di tensione e atmosfera, che ricorda i thriller di P.D. James, conservando però l’inconfondibile tocco di magia che continua a far innamorare della letteratura del Sol Levante le lettrici e i lettori di tutto il mondo.

Residenza per signore sole di Togawa Masako è un un mystery psicologico ambientato nella Tokyo degli anni ’50 in una tranquilla dimora per signore nubili. La Residenza K fu creata nel dopoguerra con lo scopo di agevolare queste donne dal punto di vista economico e offrire loro protezione e privacy. Appare a tutti come un luogo tranquillo per signore per bene, ma nasconde in realtà un passato sinistro.

La palazzina sta subendo dei lavori atti a farla scivolare di qualche metro rispetto alla posizione originaria, in modo da permettere di far passare una strada. Tuttavia i lavori potrebbero portare alla luce un crimine avvenuto anni prima, e con esso tanti altri segreti inconfessabili che le pareti spesse della Residenza K serbano con discrezione. Il racconto infatti si apre con un flashback in cui si assiste all’occultamento di un cadavere proprio all’interno della palazzina e che fino ad ora è rimasto silente.

Ognuna delle centocinquanta stanze della residenza è come un piccolo mondo che fluttua nell’immensa solitudine delle sue sue inquiline, donne sole che vivono rimpiangendo i tempi andati. Ciascuna di loro custodisce scrupolosamente oscuri segreti che rischiano di venire alla luce quando dalla portineria sparisce misteriosamente il passe-partout, la chiave universale che apre tutte le stanze, provocando in loro una profonda inquietudine. Questo evento unito allo spostamento dell’edificio fa presagire l’avvenimento di qualcosa di orribile.

La narrazione si sviluppa su diversi piani temporali che si intrecciano, ognuno caratterizzato da uno stile narrativo distinto. Si alternano la terza persona, utilizzata per raccontare eventi avvenuti anni prima dello spostamento del palazzo, e la prima persona, che dà voce al racconto di una delle portinaie. Si trovano inoltre estratti di lettere scritte da un’inquilina a persone esterne alla residenza, mentre la terza persona viene ripresa per narrare le vicende individuali di alcune protagoniste.

Lo stile è essenziale e incisivo, evocando un senso di disagio. Seguendo le vicende delle varie inquiline il lettore si trasforma in un osservatore furtivo, quasi un complice, che insieme a loro sbircia nelle stanze altrui con il cuore in gola per la paura di essere scoperto. Ci si muove attraverso corridoi oscuri, cortili silenziosi e stanze dimenticate, lasciandosi avvolgere dai sussurri che riempiono il vuoto.

La narrazione è molto scorrevole e, senza nemmeno accorgersi, si arriva nelle ultime pagine dove i fili della vicenda vengono riannodati, forse in modo troppo rapido. Ciò che colpisce è la capacità dell’autrice di delineare l’interiorità delle protagoniste, rendendole vive nelle loro insicurezze, nei loro segreti e nelle loro fragilità.

Recensione di Monica Andreolla

Ayatsuji Yukito || Giallo Giappone

🕵🏻‍♂️ Ben ritrovati! Oggi siamo qui per parlarvi del sesto protagonista della rassegna Giallo Giappone, dedicata a tutti gli appassionati di gialli, ma soprattutto di gialli giapponesi!

📚 Ayatsuji Yukito è conosciuto come uno dei maggiori esponenti del movimento neo tradizionalista del genere mystery in Giappone. La sua opera più conosciuta, “I misteri della casa decagonale”, si è posizionata all’ottavo posto della classifica delle 100 migliori opere mystery giapponesi di sempre.

“I delitti della casa decagonale” (trad. Stefano Lo Cigno, Einaudi Editore 2024) narra la vicenda di sette studenti universitari, accomunati da una grande passione per il mystery, che decidono di trascorrere una settimana sull’isola di Tsunojima – che solo qualche mese prima era stata teatro di una tragedia familiare. L’atmosfera generale cambierà repentinamente nel momento in cui uno dei ragazzi viene trovato senza vita nella sua stanza. Poi un altro. E un altro ancora. Ai giovani non resta che raccogliere tutto il loro coraggio, vestire i panni di detective, e porre fine a quell’orrore il prima possibile.
Una serie di delitti minuziosamente architettati, storie d’amore che si intrecciano tra passato e presente e spiccate capacità intellettive di detective improvvisati sono gli ingredienti principali di quest’opera, un perfetto tributo a un pilastro del genere giallo, cioè “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie.

📍Dove
Biblioteca SalaBorsa
Piazza del Nettuno, 3, 40124 Bologna

📆 Quando
Mercoledì 12/03/2025, h 18:00

Vi aspettiamo!

Città di Cadaveri – Ōta Yōko || Recensione

Autrice: Ōta Yōko
Traduzione: Veronica De Pieri
Editore: Inari Books
Edizione: 2021

Il romanzo Città di Cadaveri (in giapponese Shikabane no machi) venne pubblicato inizialmente nel 1948, a soli 3 anni dalla catastrofe di Hiroshima e fu successivamente riproposto nella sua versione integrale nell’edizione del 1950, in cui compare per la prima volta la prefazione dell’autrice (in questa edizione è posta come prima postfazione). Ōta Yōko, giornalista e scrittrice, dopo aver vissuto in prima persona il bombardamento atomico si fa portavoce dei sopravvissuti di Hiroshima, gli hibakusha, e delle vicende che sono seguite al 6 agosto 1945.

La prima edizione del romanzo fu pesantemente censurata dai provvedimenti governativi e fu sfortunata nella ricezione a causa dell’atteggiamento discriminatorio verso i sopravvissuti al bombardamento. L’autrice stessa, ossessionata dal terrore di una possibile morte improvvisa a causa delle radiazioni, scrive il testo tra l’agosto e il novembre del 1945. Il romanzo si presenta come un resoconto dei giorni immediatamente successivi alla catastrofe fino ad un mese dallo scoppio della bomba. Esperienze personali si uniscono ad un report dallo stampo giornalistico che fanno del testo sia una testimonianza personale dell’autrice sia un reportage oggettivo dei giorni e mesi a seguito del bombardamento.

Il romanzo racconta l’esperienza dell’autrice che, a poca distanza dall’epicentro nel momento dello scoppio della bomba, si salva miracolosamente insieme alla madre e alla sorella. Ōta Yōko ci offre la sua testimonianza di quelli che sono stati gli strazianti minuti, giorni e settimane a seguito del disastro. Non solo ci viene narrata la sua esperienza, ma quella di molti altri hibakusha, sopravvissuti al bombardamento ma persi nella desolazione e nel dolore degli eventi. Racconta il dolore dell’umanità davanti al terrore e alla sofferenza della bomba atomica, ma anche la forza e resilienza necessari per continuare a vivere dopo aver visto la propria casa, la propria città ardere davanti ai propri occhi, senza sapere cosa ne è dei propri cari e cosa ne sarà del domani.

Ōta Yōko ci rivela grazie alla sua testimonianza la necessità di coltivare una memoria collettiva, ci racconta un tempo ormai passato che non può e non deve essere dimenticato. Il racconto sensibile ed allo stesso tempo apatico di Ōta si presenta come un tentativo di fornire un resoconto il quanto più oggettivo della situazione ad Hiroshima e riesce così catturare l’umanità che nel mare di devastazione causato dalla bomba atomica, persiste incessantemente nella ricerca della speranza di un futuro migliore.

Recensione di Valeria D’Alessandro