Asoko no Seki || Recensione

Autore: Yamada Yūsuke
Editore: Gentōsha
Edizione: 2003


Asoko no seki è un romanzo horror pubblicato nel 2003 da Yamada Yūsuke. La storia narra le vicende della liceale Seto Kana, trasferitasi a Tokyo da Shizuoka a causa del lavoro del padre. Giunta nella nuova scuola, Kana si siederà a sua insaputa nel banco maledetto, così chiamato dagli studenti della classe perché le persone che si sedettero lì prima di lei finirono per scomparire, suicidarsi o impazzire. Come le altre, anche la protagonista comincerà a subire gli stessi tormenti: riceverà chiamate sconosciute e foto di sé stessa in continuazione. Kana è sul punto di crollare mentalmente, quando il Professor Ichimura, accortosi della situazione, decide di aiutarla e di indagare più a fondo sulla questione, essendo poco convinto dell’esistenza di fenomeni paranormali. Nell’indagine scopriranno che, eccetto la prima studentessa scomparsa, tutte le altre, proprio come Kana, erano state invitate al Karaoke dagli stessi compagni di classe Oki Keisuke, Inoue Daisuke e Kawakami Junko, che la protagonista reputò amici fino ad allora. Proseguendo, scopriranno anche che i tre avevano un legame con la prima studentessa scomparsa, Seki Ayano, e con lo studente Tsuchiya Hiroki, compagno di classe di Kana seduto sulla sua sinistra e prima persona che le rivolgerà la
parola. Ichimura e la protagonista sono ormai sul punto di risolvere il mistero, ma la situazione peggiora con la scomparsa di Junko e l’omicidio di Keisuke e Daisuke.
Il romanzo affronta velatamente, nella prima parte del libro, la questione del bullismo e gli effetti che produce nella società giapponese, ponendo come risoluzione dei problemi l’insegnante, rappresentato dalla figura di Ichimura Shirō, sempre pronto ad aiutare e sostenere la studentessa disperata.
La lettura è semplice e scorrevole grazie allo stile di Yamada Yūsuke, che riesce a mantenere l’atmosfera di tensione e mistero fino all’ultimo, rendendo la storia intrigante. Anche il finale, apparentemente felice, lascia intendere al lettore che le vicissitudini potrebbero non essere finite.
Il libro non presenta attualmente una traduzione italiana.

Recensione di Luis Henrique Maio

Stella stellina || Recensione

Autrice: Ekuni Kaori
Traduzione: Paola Scrolavezza
Editore: Atmosphere Libri
Collana: Asiasphere
Edizione: 2013

Stella stellina è un romanzo pubblicato nel 1991 da Ekuni Kaori. Narra le vicende quotidiane dei coniugi Kishida, Mutsuki e Shoko. Il primo è un dottore mentre l’altra è una traduttrice dall’italiano e all’inizio del racconto sono da poco sposati.

La relazione tra i due non può però essere definita in semplici termini: in una società dove le apparenze sono fondamentalinessuno dei due coniugi è un partner ideale per gli standard;Mutsuki è omosessuale e ha un amante fisso, Kon, mentreShoko manifesta un disturbo borderline di personalità e una pericolosa tendenza alla depressione e all’alcolismo. È un matrimonio combinato, comunissimo in Giappone in quegli anni, dove chi controlla il destino dei due sposi sono i genitori, che però non sono al corrente dei rispettivi “difetti” dei figli.

Quello tra I due giovani si può quindi considerare un matrimonio di convenienza, ma si intravede nelle interazioni tra Mutsuki e Shoko un chiaro e genuino affetto l’uno nei confronti dell’altra. Ciononostante, le pressioni esterne gravano su entrambi specialmente con le richieste incessanti dei genitori riguardo a potenziali figli.

Il matrimonio non è costruito su fondamenta solide e sembra incrinarsi sotto il peso delle aspettative della società, dei genitori e dai dubbi personali dei due coniugi. I due, insieme all’amante Kon, riusciranno però a trovare una loro personale e creativa soluzione alla fine del romanzo.
Stella stellina può apparire a prima vista poco profondoperché per tutta la narrazione al centro della vicenda troviamo le interazioni e abitudini quotidiane dei due giovani. Sotto queste descrizioni apparentemente vaporose in realtà,vediamo gli sforzi di molti uomini e donne giapponesi del tempo (e odierni) che ogni giorno devono confrontarsi con il peso delle aspettative.

La lettura è scorrevole e leggera grazie allo stile semplice ma di impatto di Ekuni Kaori, il quale, dopo aver completato il romanzo, lascia al lettore una sensazione di speranza ma allo stesso tempo di malinconia per i protagonisti.

Nonostante la caratterizzazione dei personaggi non sia molto profonda al di fuori dei due principali, il romanzo non appare mai vuoto o poco interessante, facendo appassionare lo spettatore alle vicende e alla lotta quotidiana dei due coniugi.

Recensione di Emma Del Degan

Un’icona della cultura popolare nipponica

Titolo: Fragranze di Morte
Autore: Yokomizo Seishi
Traduttore: Francesco Vitucci
Editore: Sellerio
Pagine: 192
Genere: Giallo
Prezzo: 14€

Quarto libro di Seishi Yokomizo pubblicato in italiano, il terzo da parte di Sellerio. Il titolo del volume corrisponde a quello del secondo racconto, più complesso e misterioso. Il primo invece e intitolato”Orchidea nera”. Yokomizo è uno dei grandi nomi del giallo giapponese e la casa editrice Sellerio sta continuando una meritoria azione di riscoperta di questo scrittore che fu chiamato il “John Dickinson Carr giapponese” per l’ingegnosità delle trame e la continua ricerca del delitto impossibile anche se idue casi risolti in questo volume assomigliano più ai plot congegnati da Ellery Queen.
“Fragranze di morte” è una raccolta di due racconti che vedono protagonista sempre Kasuke Kindaichi, investiga- tore privato molto particolare. Il primo, “L’orchidea nera”, è ambientato nei grandi magazzini dove un responsabile del reparto gioielleria viene pugnalato a morte da una taccheggiatrice, che scoperta durante un tentativo di furto, accoltella il funzionario che cerca di bloccarla.
Qualche minuto dopo, in un altro primo piano dell’edificio, viene avvelenato un ex funzionario del settore gioielleria ed è facile mettere in rapporto i due omicidi ma ci vorrà la capacità deduttiva e la mente lucida di Kindaichi per esporre in breve tempo una chiara teoria investigativa che lo porterà a risolvere il mistero.
Nel secondo racconto che si intitola come la raccolta “Fragranze di morte” l’investigatore viene convocato in un posto di villeggiatura ma poi inspiegabilmente l’invito è annullato.
Nel ritorno a Tokyo, poiché vengono scoperti due cadaveri, l’indagine del nostro piccolo investigatore parte. Kindaichi col suo intuito giungerà presto a capire cosa è successo.
L’autore diversamente da altri suoi connazionali predilige una struttura del giallo molto vicina ai classici di genere.


Recensione a cura di Maria Laura Labriola, sulla rubrica “Letti per voi” per Cronache di Napoli.

Matcha al Veleno || Recensione

Autore: Stefania Viti
Editore: Sonzogno
In copertina: illustrazione di Vincenzo Filosa
Edizione: 2023
Pagine: 252

Stefania Viti giornalista professionista con esperienza internazionale, laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Lingua e Letteratura Giapponese.
Vissuta a Tokyo per 10 anni, adesso vive e lavora a Milano e scrive di svariati temi tutti relativi al Giappone contemporaneo per testate nazionali e internazionali. Con “Matcha al veleno” mostra la cultura giapponese, in particolare la famosissima “cerimonia del tè” attraverso un incidente durante proprio una di esse, la koicha temae, cerimonia in cui i partecipanti bevono da un’unica tazza di tè. Ci troviamo nella scuola del tè Tsubaki, nel quartiere Brera con la partecipazione di figure di spicco della comunità nipponica milanese nonché della Milano Bene. Tra le figure di spicco, Ludovica Cattaneo, mecenate rinomata dei salotti cittadini e moglie di un importante finanziere, dopo aver bevuto si accascia per terra a causa di quello che sembrerebbe un malore improvviso.
La protagonista, la giornalista di moda e amante del Giappone, dove ha vissuto, Nora Valli, non si fa convincere dalla situazione e pensa ci sia qualcos’altro, che non si tratti di un malore incidentale, ma di un delitto. Così iniziano le sue investigazioni a riguardo per scoprire la possibile causa e il possibile colpevole, affiancata e spronata dal suo mentore Gigi, caporedattore della cronaca. Seguiamo, dunque, le vicende della protagonista con tanto di intrighi, amori e passioni, con l’incessante ombra della sua direttrice, Agata, che cerca di rincorrerla. Non mancheranno degli spaccati sulle vite tumultuose dei vari personaggi che aiuteranno pian piano a ricostruire il delitto, ovviamente filtrati dai pensieri, esperienze e intuizioni di Nora.
Co-protagonista della storia è la cultura giapponese, lo si evince già dal titolo, dalle prime righe e dai continui rimandi, con curiosità e approfondimenti sia per un lettore edotto in materia, sia per un lettore alle prime armi con il Giappone e la sua cultura, che anche senza volerlo rimarrà affascinato. Altro segno evidente della conoscenza nipponica della scrittrice che pervade l’intero libro è la nomenclatura dei capitoli, tutti con parole giapponesi, emblematiche, ma sempre azzeccate, ma anche i dialoghi in giapponese sparsi per l’opera scritti utilizzando i sistemi di scrittura giapponesi, ma anche in rōmaji, la trascrizione latina di quest’ultima. per poi essere subito riportarti in italiano, senza intimorire nessun lettore, a prescindere dalla propria conoscenza del giapponese. Da non sottovalutare, inoltre, i consigli o più propriamente le analisi di moda della protagonista, con un spazio peculiare per lo smalto, quasi un’ossessione di quest’ultima.
Intrigante culturalmente, pieno zeppo di nozioni sull’oriente, “Matcha al veleno” è una lettura gradevole, un giallo avvincente, non solo, ma anche altro, da scoprire e da leggere.

Recensione di Gaspare Asta

Lo Squalificato – Dazai Osamu || Recensione

Autore: Dazai Osamu
Editore: Feltrinelli
Collana: Universale Economica Feltrinelli
Traduzione: Marcella Bonsanti
Edizione: 2019

Dazai Osamu è spesso definito tra i più grandi autori giapponesi, grazie ai suoi personaggi straordinariamente umani e uno stile di scrittura schietto ma che rimane sempre molto attuale. In particolare, Lo squalificato (in originale Ningen Shikkaku) in particolare è considerato il romanzo più emblematico della sua produzione. Il protagonista Yozo è un uomo che si sente profondamente alienato dalla società, pur facendo del suo meglio per adattarsi agli standard che essa impone, tuttavia sempre incapace di adattarsi. Questo fallimento lo rende “squalificato” come essere umano, e lo porta a rifugiarsi in una vita di dissolutezza, facendo abuso di sostanze e passando da una donna all’altra. Il racconto ha come cornice narrativa un uomo che ritrova i taccuini di Yozo assieme a delle fotografie, e quindi riporta la storia dopo esserne rimasto profondamente colpito. Questo romanzo è ricco di elementi autobiografici, nonostante Dazai rifiuti ogni etichetta e preferisca invece staccarsi dalla convenzione letteraria definendosi invece un libertino. Il personaggio di Yozo è profondamente introspettivo, l’autore si concentra soprattutto sull’interiorità del personaggio, contrastandolo con il mondo esterno e su come Yozo si senta isolato rispetto a ciò che lo circonda. 

Lo stile di Dazai è semplice ma molto efficace, tenendosi molto collegato alla realtà e al contempo esplorando Yozo e i suoi pensieri, che spesso divagano anche su temi molto inquietanti sulla natura umana, che, nonostante gli sembri incredibilmente distant,e egli rappresenta con la sua disperazione e il suo desiderio di connessione umana. Con questo romanzo, Dazai si fa carico del pensiero di chi non riesce ad adattarsi alla rigida società giapponese, nonché di tutti coloro che dopo la Seconda Guerra mondiale si sono ritrovati spaesati e estraniati rispetto alla propria situazione. 

Recensione di Camilla Ciresa

Rashōmon e altri racconti || Recensione


Autore: Akutagawa Ryūnosuke
Editore: Einaudi
Collana: ET Scrittori
Traduzione: Antonietta Pastore, Laura Testaverde, Lydia Origlia
Edizione: 2018

Personaggi grotteschi, elementi soprannaturali, e temi tradizionali sono tutti tratti ricorrenti in questa raccolta dei più celebri racconti di Akutagawa. In particolare “Rashōmon”, spesso visto come emblema della sua produzione, narra di un servo licenziato dalla sua famiglia e dell’incontro che ha con una vecchia nell’antica porta Rashōmon, ormai diroccata. Il tema della moralità ricorre in questo racconto, in cui il servo e la vecchia entrambi rubano nonostante pensino di essere giustificati nelle loro azioni. Un altro racconto iconico di Akutagawa è “La rappresentazione dell’inferno”, in cui al pittore di corte viene commissionato di dipingere un paravento che illustri l’inferno buddista. Per essere il più accurato possibile, il pittore compie azioni estreme, anche torturando i suoi apprendisti. Anche in questo racconto si affronta il tema dell’umanità e delle atrocità un essere umano è disposto a fare.

Akutagawa scrive in uno stile semplice, che con pochi tratti riesce a cogliere l’elemento di terrore e l’atmosfera inquietante che caratterizzano i suoi racconti, è una scrittura che lascia il lettore turbato. Riprende spesso elementi tipici della tradizione giapponese e li rivisita in chiave angosciante, con un elemento di sospensione nel modo in cui i racconti finiscono, tipico della narrativa giapponese. Da due dei racconti, “Nel Bosco” e “Rashōmon”, è stata tratta una pellicola famosa di Kurosawa Akira, film che riprende la trama di “Nel Bosco” ma con elementi e titolo presi da “Rashōmon”. Inoltre, ad Akutagawa è dedicato l’omonimo premio letterario, il più prestigioso in Giappone per gli scrittori esordienti. 

Recensione di Camilla Ciresa