Ricordi di mia madre, è un romanzo autobiografico composto da Inoue Yasushi, uno dei maggiori scrittori del Novecento, ed è costituito da tre testi intitolati rispettivamente sotto i fiori, raggi di luna e sulla neve. L’autore racconta gli ultimi momenti della vita della propria madre, che a causa dell’avanzare dell’età, inizia gradualmente a manifestare cedimenti fisici e mentali che la condurranno alla quasi totale perdita di memoria. In questo testo struggente l’attenzione viene posta sulla comune tragedia della vecchiaia estrema: Inoue Yasushi narra in modo dettagliato e realistico alcuni avvenimenti accaduti negli ultimi anni prima della scomparsa della madre, evidenziando come quest’ultima sia andata incontro ad un progressivo ma repentino deterioramento mentale e fisico. Una vita cancellata dalla demenza senile è quello che conduce il lettore in un viaggio straziante verso la comprensione delle conseguenze naturali della vecchiaia. Fin dalle prime pagine è evidente come l’intero racconto sia avvolto da un denso velo di consapevolezza che accompagna Inoue Yasushi e i suoi fratelli: perfino i componenti più giovani della famiglia sono in grado di comprendere fin da subito quali siano gli inevitabili effetti dell’anzianità.
Sono note private e familiari che però mostrano come la madre dell’autore non sia più in grado di riconoscere ciò che la circonda, figli compresi. Ella inizia a vivere in un “mondo tutto suo” come se fosse improvvisamente ritornata bambina: si sveglia durante la notte, ripete sempre le stesse frasi, si lamenta se non viene accontentata e addirittura scambia i propri figli per camerieri. La donna sviluppa ossessioni e stranezze che renderanno la situazione ancora più difficile per i familiari, che si sosterranno reciprocamente nell’ accudirla. Qui il tema sociale della vecchiaia viene affrontato come fase delicata e conclusiva dell’esistenza umana e allo stesso tempo, viene sottolineato l’amore filiale e il rispetto verso i propri genitori.
Yokomizo Seishi è considerato uno dei più grandi giallisti giapponesi dell’era Shōwa, noto principalmente per il suo personaggio “Kindaichi Kōsuke”, protagonista di ben 77 romanzi.
“La maledizione degli Inugami” è il decimo di questi celebri romanzi. Kindaichi si ritrova coinvolto nella lotta della famiglia Inugami per ottenere l’eredità del defunto capofamiglia, Inugami Sahee. Sarà proprio lui, grazie al suo intelletto e anche alla sua eccentricità, a scoprire la verità dietro i violenti omicidi che avranno luogo nella residenza familiare a Nasu.
Sin da subito si può notare come Kindaichi sia una figura molto particolare, certamente sveglia e intuitiva, ma che si presenta in maniera sciatta e trasandata: si veste distrattamente con i primi abiti che trova, ha la brutta abitudine di grattarsi i capelli e quando è molto emozionato finisce spesso per balbettare. Tutte queste caratteristiche creano l’immagine di un inetto e certamente non quella di un detective professionista, ma è proprio grazie a questo contrasto che le sue qualità risaltano ancora di più nel corso della storia.
Kindaichi si dimostra sempre un passo avanti rispetto sia alla famiglia Inugami, che ai suoi colleghi della polizia, restando però un personaggio molto umano che ben si contrappone alla violenza a cui deve assistere.
La questione della famiglia Inugami è ciò che mette in moto lo svolgersi della trama sin dalle prime pagine e Yokomizo stabilisce subito una certa atmosfera di tensione tra i vari membri della famiglia, tutti pronti a sovrastare l’altro per ottenere l’eredità. La complessità del caso non toglie però spazio ai personaggi, che attraverso gli occhi di Kindaichi vengono anche analizzati nella loro psicologia, concentrandosi molto sui personaggi femminili più importanti, come la fredda Matsuko e l’introversa Tamayo.
Il narratore onnisciente, inoltre, si intromette spesso durante la storia per porre attenzione a determinati eventi e comportamenti, facendo intendere la loro futura importanza oppure spingendo il lettore a riflettere meglio su cosa ha appena letto. Fortunatamente questi interventi non distolgono l’attenzione del lettore, anzi, fanno l’effetto opposto e dimostrano una certa sicurezza dell’autore nella propria scrittura e nella qualità del mistero che propone.
Mistero, fra l’altro, che gioca molto bene con le aspettative di chi sta leggendo e che riesce a mantenersi intrigante fino all’ultimissima riga della storia.
Lo stile di Yokomizo risulta molto scorrevole, d’impatto e a tratti anche divertente. Riesce molto bene a passare da momenti comici con Kindaichi, a descrizioni piuttosto precise e crude degli omicidi a cui deve assistere. La differenza tra l’eleganza della villa familiare degli Inugami e la strana brutalità a cui fa da palcoscenico è quasi paradossale, sbagliata e fuori luogo. L’ottimismo e l’eccitazione di Kindaichi mentre lavora al caso sono gli elementi che impediscono di appesantire troppo l’atmosfera della trama e che garantiscono degli stacchi tra scene più rilassate e altre più tese.
“La maledizione degli Inugami” è una storia intricata e inaspettata ma che riesce sempre ad essere chiara, scorrevole e facile da seguire per il lettore, grazie anche ai commenti di Yokomizo che sfondano la quarta parete della finzione narrativa. Essenzialmente, è un mistero davvero coinvolgente.
La cucina degli incontri della signora Megumi è il primo libro pubblicato in Italia dell’autrice Yamaguchi Eiko, vincitrice del Matsumoto Seichō Literary Prize. Questo romanzo di narrativa contemporanea tratta della storia di Tamazaka Megumi, una donna, ormai cinquantenne e vedova, che un tempo era stata una famosa indovina conosciuta con il nome di Lady Moonlight. A causa di una tragedia che toccherà la sua vita privata e la sua carriera, Megumi decide di dedicarsi alla cucina, diventando proprietaria di un shokudō, un modesto locale specializzato in oden, la tipica zuppa giapponese. Quali sono le motivazioni che hanno spinto la signora Megumi a cambiare drasticamente vita? Il piccolo ristorante è attraversato da una calorosa atmosfera familiare che invita i clienti abituali a condividere le loro storie e preoccupazioni, mentre sorseggiano il sakè e gustano i deliziosi piatti preparati da Megumi.
All’interno dell’opera si possono trovare ricche descrizioni, estremamente dettagliate, dei piatti proposti dal ristorante: ostriche al curry, bistecca di taro, bambù con vongole saltate al burro, riso con salsa, tamagoyaki ripieni e infine l’oden, il piatto speciale che tutti i clienti amano. Il cibo viene utilizzato come veicolo letterario per la conoscenza della cultura giapponese: in Giappone l’arte culinaria denominata washoku ha una tradizione molto antica, legata all’alternarsi delle stagioni. I due elementi fondamentali sono l’estetica e l’armonia degli ingredienti; Megumi sperimenta diverse combinazioni e solo quando è soddisfatta procede ad inserire il nuovo piatto nel menu stagionale del suo ristorante. Così come nelle opere di Ogawa Ito e Banana Yoshimoto, anche Yamaguchi Eiko decide di far emergere il potere collettivo della cucina giapponese.
Inoltre, Megumi è una donna caratterizzata da una spiccata sensibilità che decide di mettere a disposizione le sue “doti” per aiutare gli altri, siano quelle culinarie o quelle da indovina. I clienti che popolano il suo locale instaurano un forte legame con lei: raccontano eventi di vita privata, chiedono consigli, e cercano tutti di sentirsi in qualche modo meno soli tra le mura di questo caloroso ed intimo shokudō.
Yamaguchi Eiko, tramite la sua scrittura ricca di particolari, è in grado di offrire al lettore delle vere e proprie fotografie mentali di ciò che descrive: è come se si potessero percepire direttamente le sensazioni provate da chi sta assaporando i piatti del menu della signora Megumi.
“Non sarebbe mai dovuto tornare, pensò amareggiato, ma ormai era troppo tardi”
“La foresta nascosta” è la storia di Kōsuke, uomo giapponese trasferitosi a New York per lavoro. La sua vita tranquilla viene sconvolta dalla notizia della morte del padre, con cui non aveva più contatti da anni; decide di tornare in Giappone e si trova costretto ad ereditare il tempio Shintoista di famiglia. Diviso tra i propri doveri di Kannushi e la sua vita negli Stati Uniti, Kōsuke cerca con grandi difficoltà di trovare una soluzione che possa soddisfare tutti, sé stesso incluso.
La trama è caratterizzata da un misto tra romanzo psicologico ed elementi tipici del giallo. Il dilemma interiore di Kōsuke è reso ancora più complesso dall’entrata in scena di personaggi quasi surreali come Akemi e Andō, e dall’irruzione della Yakuza che cerca di comprare il tempio di famiglia. L’incontro di questi elementi narrativi è però gestito molto bene, al punto da intensificare i momenti più intimi ed emotivi che coinvolgono gli attori principali: nello specifico, oltre al protagonista, la sua compagna Kirsten e sua sorella Asako sono dei personaggi molto veri, con cui è facile empatizzare, anche quando commettono errori.
Nel corso della storia, Kōsuke cerca di raccattare da qualunque personaggio che incontra le memorie di suo padre, scoprendo che tipo di persona fosse, cosa pensava di lui mentre era all’estero e come ha affrontato la vita e le difficoltà economiche del santuario fino alla sua morte. Nonostante sia un personaggio già morto a inizio storia, ha un’influenza costante e duratura sugli eventi e suo figlio non può permettersi di ignorare la cosa, deve anzi scontrarsi costantemente con le proprie mancanze, la sua assenza da casa, e il rimpianto di non aver mai riallacciato i rapporti con suo padre.
L’occhio di Kōsuke per l’architettura è un ulteriore elemento fondamentale per la storia. Non solo nota con attenzione ogni singolo dettaglio del proprio tempio e degli altri che visita, ma la sua esperienza negli Stati Uniti gli fa riconoscere quanto il Giappone contemporaneo stia cambiando. Molti templi della sua infanzia sono o stati distrutti, o riammodernati in grattacieli all’occidentale e lui si scopre profondamente ferito dalla cosa. Nonostante abbia vissuto per almeno sette anni a New York, un simbolo della “modernità”, appena mette piede in Giappone diventa quasi un conservatore.
Con questo libro, l’autrice riflette su come una parte della nostra terra natia resti sempre con noi, anche inconsciamente. Il Kōsuke in Giappone è completamente diverso da quello in America. Radhika Jha stessa, infatti, ha vissuto per anni in Giappone: ha visto lo scontro tra tradizione e moderno, ha visto i templi Shintoisti venire venduti per profitto, e probabilmente ha vissuto anche il conflitto interiore che coinvolge l’intero romanzo dall’inizio alla fine.
Il conflitto che caratterizza l’intera storia non riceverà mai una risposta definitiva. L’unica persona che può davvero sapere cosa vuole è Kōsuke stesso e nessun altro.
Titolo: Maschere di donna Autrice: Enchi Fumiko Traduttrice: Graziana Canova Tura Editore: Marsilio Edizione: 1999
“Per quanto un uomo si dia da fare non arriverà mai a capire le trame che una donna ordisce in silenzio, lenta ma inesorabile. […] Anche il sadico malanimo di Buddha o di Cristo verso la donna non è stato altro che un tentativo di sottomettere un avversario col quale non potevano competere.”
Parte di una trilogia informale di romanzi legati al Genji Monogatari, “Maschere di donna”, pubblicato per la prima volta nel 1958, è il titolo più cupo e inquietante dei tre. La storia ruota attorno a Toganō Mieko, donna colta e studiosa di letteratura classica e di teatro Nō, che vive insieme a Yasuko, la moglie del defunto figlio. In un intrigo di vendette e rancori segretamente covati per anni, si sviluppa la trama del romanzo, in grado di ammaliare il lettore e renderlo un’altra vittima dell’inquietante fascino di Mieko.
Enchi Fumiko è tra le autrici che più hanno scosso il panorama letterario nipponico dello scorso secolo. Ancorata alla tradizione classica, dai monogatari ai grandi autori dell’Ottocento, le sue pagine risplendono di amore e dedizione per la letteratura del passato. In particolare, in Onnamen, Enchi si concentra sulla figura di Rokujō, uno dei personaggi femminili più famosi ed emblematici del Genji Monogatari. Dapprima amante del principe Genji, quando viene messa da parte e perde il suo status a corte, si trasforma, a sua insaputa, in un mononoke, uno spirito vendicativo che possiede le nuove consorti di Genji e ne causa la morte.
“Maschere di donna” parla esplicitamente di Rokujō e della sua vendetta soprannaturale, l’unica arma che le è concessa, e Mieko stessa si inserisce nella stessa tradizione karmica che la lega a Rokujō, alla dea Izanami, e tutte le donne ingabbiate dal potere maschile, il cui amore per il proprio uomo inevitabilmente si è tramutato in odio. In questo senso Rokujō diventa una vendicatrice del genere femminile, e Mieko è determinata a seguire le sue orme.
Mieko, imperturbabile come una maschera del Nō, agita l’animo degli altri protagonisti del romanzo. Questi non possono fare a meno di percepire le correnti torbide che scorrono sotto la superficie della sua quieta bellezza, ma non riescono a sondarle, non sanno decifrare i suoi piani, e rimangono irrimediabilmente intrappolati nella sue rete.
“Così come esiste un archetipo muliebre amato dagli uomini attraverso i secoli, nello stesso modo vi deve essere un genere di donna da essi eternamente temuto, possibile proiezione dei mali insiti nella natura maschile.”
Tutti i figli di Dio danzano di Murakami Haruki, rappresenta una delle opere meno conosciute di questo celebre autore: si tratta di una raccolta di sei racconti autoconclusivi dove i personaggi più disparati, accomunati da un flusso di pensieri simile, affronteranno la graduale scoperta di loro stessi. Ciò che collega queste storie è il riferimento diretto con l’avvenimento del terribile terremoto di Kobe del 17 gennaio 1995 che provocò la morte di più di seimila persone. Questo catastrofico evento che ha segnato profondamente il Giappone, a volte viene semplicemente citato, altre volte invece svolge un ruolo cruciale nella trama. Nei personaggi emerge la paura generata sia dal terremoto sia dalle proprie emozioni, e in particolar modo di ciò che ciascuno di noi ha dentro: si tratta di qualcosa di sconosciuto ed ignoto che può essere analizzato solo attraverso un’indagine introspettiva della propria individualità, che una volta emersa, provoca paura e sgomento.
I personaggi sono uomini e donne comuni, spesso banali, caratterizzati da uno stile di vita solitario e dalla continua ricerca di qualcosa che possa portare un cambiamento significativo nelle loro vite. L’attenzione è concentrata prettamente sulla dimensione psicologica dei protagonisti, i quali, grazie a determinati eventi, riescono ad autoanalizzarsi entrando in contatto con i lati più viscerali e inesplorati del loro essere. Anche il tema della morte in relazione al significato della vita umana è uno degli aspetti che si ripresenta più volte all’interno delle narrazioni: solamente tramite un processo di grande sofferenza, in particolare modo emotiva, i protagonisti potranno raggiungere il loro lato più oscuro al fine di liberarsi dall’ opprimente giogo dell’esistenza.
I racconti, pur essendo brevi, sono ricchi di eventi inspiegabili, imprevedibili e a tratti anche umoristici: non è chiaro se ciò che stanno vivendo i personaggi sia effettivamente reale, poiché la narrazione si articola spesso lungo una dimensione che appare alienante e dai tratti onirici.
La scrittura di Murakami Haruki è sempre stata caratterizzata da un tratto ambiguo e lo si può notare anche in quest’opera. Le varie storie non presentano dei finali espliciti e concreti ma lasciano sempre libera interpretazione al lettore, che viene travolto da una catena di avvenimenti indecifrabili e quasi fiabeschi.
Commenti recenti