17 Maggio 2020 | Musica
Nulbarich è una “band” che possiede tuttavia un unico membro fisso: il cantautore JQ (Jeremy Quartz, in foto). Il nome è una parola portmanteau che starebbe per “null but rich”, che andrebbe interpretato con il significato di “essere soddisfatti anche senza possedere niente”.
Il gruppo fa la sua entrata sulle scene musicali nel vicino 2016 con il singolo “Hometown”, seguito poi dall’album “Guess Who?” uscito pochi mesi dopo. Il lavoro riscontra già dall’inizio un buon successo commerciale (oltre 25.000 copie vendute). L’album è inoltre rimasto nella classifica di Oricon (la Billboard giapponese) per ben 56 settimane, consolidando l’ottimo debutto del gruppo. Le sonorità dei Nulbarich sono varie, spaziando dal funk al pop e dal rock al jazz.
2ND GALAXY
Mini album del 2019, è un lavoro che è uscito abbastanza in sordina rispetto ai precedenti progetti quali “Guess Who?” e “H.O.T.”. Lo stile post-punk dalle sonorità funk di Nulbarich si identifica perfettamente in ogni brano, ma anche gli amanti delle armonie un po’ techno riceveranno soddisfazioni durante l’ascolto. Attenzione ai testi, che si snodano tra inglese e giapponese (sì, all’interno dello stesso brano). Nulla di strano in fondo: per i Nulbarich i testi “poliglotti” sono la prassi da sempre. Il risultato che si ottiene è particolare ma sempre apprezzabile, poiché il contrasto dato dai suoni delle due lingue non disturba, anzi, contribuisce a dare ancora più esoticità al lavoro.
8 i pezzi totali, dei quali 6 “effettivi” accompagnati da un intro e un outro.
Vere perle dell’album sono le tracce “Twilight” e “Lost Game”, ovvero il brano iniziale e finale.
Twilight
Subito dopo l’intro musicale molto lenta e rilassante, veniamo catapultati nel coinvolgente ritmo funk di “Twilight”, che ci offre un arrangiamento particolarmente moderno e un testo che, strofa dopo strofa, vi entrerà in testa come un tormentone.
Lost Game
La pseudo-ballata dell’album, quella che aspira a colpirvi col testo struggente.
Ben si sposa la melodia, iniziando lenta con questo piano malinconico e la sola voce di JQ quasi fosse un pezzo acustico, per poi esplodere nel ritornello dalle sonorità molto alla “Imagine Dragons”. Sì, qui il funk si perde, ma il risultato è comunque ineccepibile.
Piccola curiosità: il brano “Lost Game” è diventato anche la colonna sonora del film d’animazione del 2020 “HELLO WORLD”. Il video musicale è stato composto proprio con degli spezzoni della pellicola.
I due pezzi rappresentano senza dubbio i due apici del mini album, aprendolo e chiudendolo al meglio. Lodevole anche il fatto che questi siano così diversi tra di loro, andando a creare atmosfere quasi agli antipodi ma comunque sullo stesso (altissimo) livello. Nel mezzo del progetto, invece, i brani perdono un po’ lo smalto dei due sopracitati, offrendo comunque arrangiamenti interessanti e orecchiabili, spaziando dalle sonorità più smooth di “Look Up” (che forse è quella che più si distingue tra le “mediane”) al techno-indie di “Rock Me Now”.
Conclusioni
2ND GALAXY è un lavoro ben strutturato, concreto e dalle varie sfumature di stile. Forse il salto che si ha tra gli estremi ed il centro del mini album può far storcere il naso a chi si sarebbe immaginato un prodotto sempre sullo stesso livello (alto) canzone dopo canzone. Ciò non toglie che comunque il distacco non è così marcato, e ogni brano risulta comunque godibile anche per orecchie più esigenti in cerca delle sonorità tipiche dei Nulbarich.
— recensione di Calzati Matteo.
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26 Aprile 2020 | Musica
IL GRUPPO
I Gonin-Ish (五人一首 goninisshu) sono una band progressive death metal giapponese, formatasi a Tokyo nel 1996. Il nome deriva dall’antologia di poesie Ogura Hyakunin Isshu (小倉百人一首), raccolta di 100 waka di 100 diversi autori della letteratura classica giapponese. Non a caso, i testi del gruppo risentono di una forte influenza letteraria.
Nati come una cover band della formazione degli Anekdoten, i Gonin-Ish esordiscono nel 2000 con l’omonimo album di debutto.
La band è composta da 5 membri:
- Matsuoka Anoji, voce e chitarra ritmica
- Momota Masashi, tastiere
- Takahashi Fumio, chitarra solista
- Oyama Tetsuya, basso
- Yamaguchi Gaku, batteria
NAISHIKYŌ SEKAI
Oggi recensiamo l’album Naishikyō Sekai, secondo ed ultimo album della band, pubblicato nel 2008 presso l’etichetta Season Of Mist.
Si compone di 6 tracce, per una lunghezza totale di 55 minuti:
- 常闇回廊 – Eternally Dark Corridor
- ナレノハテ – Na Re No Ha Te
- 斜眼の塔 – The Spiral Temple
- 人媒花 – Parasite Flower
- 無礙の人 – The Free Man
- 赫い記憶 – The Crimson Memory
L’album fonde le sonorità classiche del progressive metal ad un sound estremamente violento, con spiccate influenze death e black metal. Il risultato è un opera difficilmente catalogabile: alle strutture complesse e ai tempi dispari tipici del progressive si aggiungono le sezioni ritmiche martellanti del metal estremo. Parte del merito per questo particolare sound va certamente alla frontman Matsuoka Anoji, capace di spaziare con grande facilità dalle voci pulite al growl ed allo screaming. Da segnalare inoltre l’interessante utilizzo delle tastiere con un semplice suono di pianoforte, abbinamento piuttosto inusuale con i muri di chitarre distorte, a cui l’album non rinuncia in alcun brano. L’ascoltatore si ritrova così ad avere in primo piano linee melodiche di pianoforte di sapore quasi neoclassico, per poi scavare più a fondo e scoprire un inferno di chitarre distorte e doppia cassa.
L’album si apre con Eternally Dark Corridor (Tokoyami Kairou), strumentale di due minuti che mette subito in chiaro le intenzioni della band: drumming aggressivo, tempi dispari ed ipertecnicismi negli assoli di Takahashi e Momota. Segue l’introduzione epica di Na Re No Ha Te (Narenohate), brano in cui entra in scena Matsuoka, che mescola da subito voce pulita (in tutto e per tutto femminile e giapponese) e growl di stampo death metal. Il brano, lungo e complesso, alterna sezioni strumentali di pianoforte ad assoli mozzafiato ed utilizzo massiccio di doppia cassa. Gloriosa la conclusione, con una bella armonizzazione tra tastiere e chitarre.
Decisamente sinistra l’atmosfera che ci introduce a The Spiral Temple (Shagan No Tuo): un brano dalla potenza distruttrice inaudita, in cui appaiono evidenti le contaminazioni death e black metal. Segue poi uno dei punti più alti dell’album: Parasite Flower (Jinbaika). In un costante crescendo, la band ci prende per mano e gradualmente ci trascina fino al cuore della canzone, una grande opera progressive. Da segnalare in particolare la sezione solistica di chitarra e la maestosa conclusione. The Free Man (Muge No Hito) è il singolo di maggiore successo dell’album, l’unico brano accompagnato da un video musicale. Dopo un’interessante introduzione di percussioni, dalle sonorità quasi tradizionali, il brano non sembra sfociare mai da nessuna parte, tenendo per nove minuti l’ascoltatore sulla corda.
La perla è però la chiusura dell’album, la suite di 19 minuti The Crimson Memory (Akai Kioku). Senza perdere tempo, la band ci catapulta fin da subito nel vivo del lungo brano, caratterizzato dalle atmosfere horror già in parte viste nelle tracce precedenti. Tuttavia, il gruppo fa presto sfoggio della sua grande versatilità, mescolando le sonorità aggressive ad altre quasi fusion. La lunga suite è forse il brano più influenzato dal progressive classico degli anni ’70, in particolare da gruppi come Yes e King Crimson (non a caso il titolo). Nella lunga sezione strumentale posta al centro del brano, gli strumenti si scambiano vicendevolmente il ruolo da protagonista. La conclusione di questa lunga opera, che sembra quasi sfociare in una ballad, lascia stupefatto l’ascoltatore.
Un album tutto sommato soddisfacente, forse più adatto agli amanti di metal estremo che non agli amanti del progressive. Si sente la mancanza delle lunghe sezioni strumentali orchestrate tipiche di quest’ultimo genere: fanno eccezione forse Parasite Flower e la già citata suite finale. In compenso non viene mai a mancare il virtuosismo dei singoli musicisti (voce compresa).
— recensione di Pietro Spisni
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5 Aprile 2020 | Musica
I Coldrain sono una band musicale giapponese formatasi nel 2007 a Nagoya. La loro musica unisce tonalità melodiche ad elementi duri e aggressivi tipici della musica hardcore punk e metal. La band è composta da cinque elementi: il cantante Masato David Hayakawa, i chitarristi Ryō Yokochi e Kazuya Sugiyama, il bassista Ryoō Shimizu e il batterista Katsuma Minatani.
La nascita e il successo in Giappone
La band inizia la sua attivà nella città natale di Nagoya distribuendo demo dei loro lavori durante le performance live nei circoli locali. Caratteristica peculiare della musica dei Coldrain è che la stesura dei testi ad opera del cantante Masato avviene in lingua inglese. Quest’ultimo, nato da padre giapponese e madre statunitense, è in grado di parlare e scrivere sia in lingua inglese che in lingua giapponese.
I primi singoli della band Fiction e 8AM vengono pubblicati dopo la firma con la casa discografica giapponese VAP rispettivamente il 5 novembre 2008 e il 5 gennaio 2009. Sempre nell’estate del 2009 il gruppo si esibisce al Summer Sonic Festival e successivamente torna in studio per registrare il primo album intitolato Final Destination, pubblicato il 28 ottobre dello stesso anno e seguito da un tour nazionale di immenso successo. Il 16 febbraio 2011 viene pubblicato il secondo album studio The Enemy Inside che mantiene l’alternanza della voce melodica unita a una parte strumentale dai toni duri.
Il debutto internazionale
Nel 2013, a dicembre, la band firma un contratto con la casa discografica britannica Raw Power Management, consentendo così al gruppo di partecipare a un tour europeo e far conoscere la loro musica fuori dal Giappone. Ma sarà solo l’anno successivo, dopo il passaggio alla Hopeless Records americana, che il gruppo vedrà il successo internazionale, a seguito dell’uscita mondiale il 23 e 24 giugno in Europa e Nord America del loro terzo album The Revelation.
The revelation
L’album che ha segnato il successo della band a livello internazionale contiene le seguenti tracce:
- The War Is On
- The Revelation
- Fade Away
- Given Up on You
- Time Bomb
- You Lie
- Evolve
- Behind the Curtain
- Aware and Awake
- Voiceless
- March on
- Chasing Dreams
Questo album è anche il primo dove la band sperimenta sonorità nuove e decisamente più dure, viene definito infatti dalla critica come un mix di generi che va dal post-harcore al metalcore.
— recensione di Giovanni Vadurro.
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15 Marzo 2020 | Musica
Gli Spitz sono una band rock nata a Tokyo nel 1987 e formata da quattro studenti universitari: Kusano Masamune, voce del gruppo, ma anche chitarrista insieme a Miwa Tetsuya, Tamura Akihiro al basso e Sakiyama Tatsuo alla batteria. Sin dalla sua nascita, la band non ha mai interrotto la propria carriera e sono tuttora attivi all’interno del panorama musicale giapponese.
La nascita e il debutto
Kusano Masamume e Tamura Akihiro si incontrano nel 1986, entrambi studenti alla Tokyo Zokei University, dove decidono di formare insieme all’amico batterista Ono Atsushi il trio “Cheetahs”. La neo-band inizia ad esibirsi interpretando in chiave hard rock pezzi appartenenti al genere kayōkyoku, base dell’attuale J-pop, e folk rock tipici soprattutto degli anni ’60 e ’70. Poco dopo a loro si unisce anche il chitarrista Nishiwaki Taku, elemento fondamentale che permette a Kusano di concentrarsi maggiormente sul suo ruolo da cantante. Cambiano anche il nome e da Cheetahs diventano gli Spitz, però la decisione di Kusano di cambiare università porta all’immediato scioglimento della band.
Nonostante questo Kusano e Tamura non si separano e portano avanti il loro progetto musicale. In brevissimo tempo a loro si uniscono il chitarrista Miwa Tetsuya e il batterista Sakiyama Tatsuo, dando vita agli Spitz che oggi conosciamo.
Musicalmente e artisticamente influenzati da una delle band punk rock più famose del momento, “The Blue Hearts”, gli Spitz iniziano ad esibirsi negli storici locali di Shinjuku e Shibuya a partire dal 1988. Questo ambiente rappresenta una formazione primaria che porta allo sviluppo di uno stile proprio, grazie anche alla voce soft e malleabile di Kusano che si presta molto bene alla sperimentazione.
Nel 1991 esce il loro primo album eponimo pubblicato sotto l’etichetta discografica della Polydor Records, parte della Universal Music Group. Il riscontro positivo porta l’album al 60° posto nella classifica Oricon, mentre più recentemente, nel 2007 la rivista Rolling Stone Japan l’ha posizionato 94° nella classifica dei migliori 100 album rock giapponesi di tutti i tempi.
Il successo
Il successo della band arriva nell’aprile del 1995 con il rilascio del singolo Robinson (ロビンソン), contenuto nel loro 6° album intitolato Hachimitsu (ハチミツ). Il singolo si piazza al 9° posto della classifica Oricon e l’album vende quasi due milioni di copie. Nell’ottobre dello stesso anno parte anche il loro primo tour a lungo termine che li vede impegnati in 40 tappe. Ad accrescere la fama della band sono anche le numerose sigle che usano i loro pezzi, a partire dal singolo che dà il nome all’album, usato dalla Fuji Television per l’anime “Honey and Clover”.
Album dopo album, il successo degli Spitz cresce sempre di più, grazie anche alla loro volontà di reinventarsi e non omologarsi mai. Nel 1997, a dieci anni dalla loro nascita, la band si esibisce in un concerto live improvvisato nel Shinjuku Loft per ricordare l’inizio della carriera e nello stesso anno inaugura anche la Rock Rock Konnichiwa (ロックロックこんにちは) a Osaka, manifestazione simbolo del mondo della musica anticonvenzionale del momento.
SazanamiCD
Il loro 12° album, SazanamiCD (さざなみCD) viene rilasciato nell’ottobre del 2007 sotto l’etichetta discografica della Universal Music. Il disco contiene tredici tracce:
1. Boku no Guitar (僕のギター)
2. Momo (桃)
3. Gunjou (群青)
4. de.Na.de Boy (Na.de.Na.deボーイ)
5. Looking for (ルキンフォー)
6. Fushigi (不思議)
7. Ten to Ten (点と点)
8. P
9. Mahou no Kotoba (魔法のコトバ)
10. Tobiuo (トビウオ)
11. Nezumi no Shinka (ネズミの進化)
12. Sazanami (漣)
13. Sabaku no Hana (砂漠の花)
SazanamiCD è stata una gradevole scoperta per la leggerezza che trasmettono i pezzi. In questo caso il genere rock-pop si espande per inglobare al suo interno anche il ritmo delle ballate tipicamente scozzesi di Donovan, al quale gli Spitz si sono sempre ispirati.
La melodia semplice si adatta perfettamente alla voce di Kusano e viceversa, senza mai annoiare l’ascoltatore, che al contrario prova una sensazione piacevole, elettrizzante dal primo all’ultimo brano.
— recensione di Roxana Macovei.
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23 Febbraio 2020 | Musica
Sakamoto Shintarō – Let’s Dance Raw (ナマで踊ろう)
L’ARTISTA
Sakamoto Shintarō è un compositore, produttore e cantante giapponese, nato ad Osaka nel 1967. Comincia la sua carriera nel 1989 a Tokyo come membro fondatore della band Yura Yura Teikoku (ゆらゆら帝国), di cui sarà il leader per vent’anni. Il gruppo rilascerà dieci album e si affermerà come una delle realtà musicali più originali ed eclettiche della scena giapponese, esplorando in particolare il genere del rock psichedelico. Acquisisce particolare notorietà grazie all’album del 2007 Kudou Desu (空洞です, Hollow Me in inglese), disco dalle sfumature più pop da cui vengono estratti due brani che faranno parte della colonna sonora del celebre Love Exposure (2007), pellicola del regista Sono Sion.
A seguito dell’inaspettato scioglimento della band nel 2010, Shintarō ha avviato una carriera da solista che lo ha visto finora coinvolto in vari progetti, dalla produzione di album in studio alla collaborazione con artisti internazionali. Ognuno di questi si è rivelato un successo di critica, portando il nativo di Osaka ad occupare un ruolo di rilievo anche nel panorama musicale degli ultimi anni.
LET’S DANCE RAW (2014)
L’album che proponiamo oggi si chiama Let’s Dance Raw (ナマで踊ろう), rilasciato nel 2014 dalla Zelone Records, etichetta discografica fondata dallo stesso Sakamoto. Il disco è composto da dieci tracce:
- Future Lullaby
- Birth Of Super Cult
- Extremely Bad Man
- Let’s Dance Raw
- Like An Obligation
- Gently Disappear
- You Can Be A Robot, Too
- Why Can’t I Stop?
- Never Liked You, But Still Nostalgic
- This World Should Be More Wonderful
Let’s Dance Raw è un album estremamente godibile, caratterizzato da una mescolanza di stili diversi che creano un sound particolarmente vintage. Echi psichedelici e ritmi funk, lounge e country, contribuiscono a creare una combinazione di suoni variegata e originale, sebbene si possa avere l’impressione che i brani pecchino di espressività. Vengono impiegati vari strumenti, dal banjo a percussioni dai ritmi latini, ma è la steel guitar hawaiana – appoggiata sulle ginocchia di Shintaro nella copertina – a rubare la scena e ad essere l’elemento unificatore dell’album. Quello che colpisce è l’eleganza e la precisione con cui è strutturata ogni traccia, frutto di una produzione di livello notevole. La qualità di quest’ultima sta nella rivisitazione di sound passati e nella loro decisamente riuscita rielaborazione in chiave più fresca e frizzante.
Fin dalla delicata e fiabesca traccia iniziale, Future Lullaby, siamo trascinati in un viaggio coinvolgente, caratterizzato da un’atmosfera onirica ed esotica, alla quale la voce quasi biascicata e oscura di Sakamoto si adatta perfettamente. L’ascolto di ogni brano è particolarmente piacevole e rilassante, e il groove di brani come Extremely Bad Man e la title track Let’s Dance Raw non potrà che catturarvi e divertirvi.
La mescolanza di stili e mood ne fanno un album di spessore, formato da strati molto diversi ma ben coesi tra di loro che lo rendono per questo un prodotto affascinante ed accattivante. Il sound caldo e avvolgente lo rende un ascolto perfetto per chi ha bisogno di rilassarsi e trovare un po’ di quiete, o magari per chi sogna di trovarsi in qualche paradiso tropicale, lontano da tutti.
— recensione di Daniele Cavelli
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26 Gennaio 2020 | Musica
I Number Girl sono una band formata nell’estate del 1995 a Fukuoka dal cantante e chitarrista Shutoku Mukai, a cui si sono uniti Hisako Tabuchi alla chitarra, Kentarō Nakao al basso e Ahito Inazawa alla batteria. Nel 1997 uscì il primo album School Girl Bye Bye, a cui un anno dopo seguì lo spostamento a Tokyo e vari concerti soprattutto nell’area di Shimokitazawa, quartiere famoso per i live club e la musica dal vivo.
Nel 1999 vi è il passaggio ad un’etichetta discografica maggiore, la Toshiba EMI, con il loro secondo album School Girl Distortional Addict, che rappresenterà la loro affermazione nel panorama dell’indie rock nazionale. Il sound di questo album, caratterizzato da un post-hardcore/noise rock che deve molto a gruppi come i Pixies e gli Hüsker Dü (così come si può evincere dal titolo della canzone Pixie Du), diventerà una pietra miliare del rock giapponese. L’album riesce a cogliere perfettamente l’atmosfera di fine secolo e tradurla in un’alternanza di noise rock e sonorità più melodiche ben studiata, risultato soprattutto della versatilità di Tabuchi alla chitarra e la voce cruda e grezza di Mukai. La vera evoluzione rispetto all’album precedente è la capacità di non adattarsi ad uno stile ma creare un suono proprio, con chiari echi non solo di band occidentali ma anche giapponesi di quel periodo, come Eastern Youth e Bloodthirsty Butchers, declinando il tutto in un album dal suono grezzo, dal ritmo veloce, con continui cambi di tempo e power chords. Anche i testi di Mukai, che spesso esprimono il disagio giovanile in uno stile unico, hanno contribuito al successo della band. Nel primo singolo estratto dall’album dal titolo 透明少女 (Tōmei Shōjo), il protagonista osserva la città che, colpita dai raggi del sole estivo, sembra quasi impazzire nella propria immaginazione, dove il paesaggio e i ricordi si accavallano dando all’ascoltatore un particolare senso di straniamento.
Gli anni successivi vedranno la collaborazione con il produttore discografico statunitense Dave Fridmann, conosciuto per il suo lavoro con gruppi importanti, tra cui The Flaming Lips. Costui sarà importante nella crescita artistica della band poiché la porterà a sperimentare elementi diversi all’interno dei loro album. Questo processo risulta evidente nell’ultimo album Num Heavymetallic, dove si nota un importante cambiamento nelle atmosfere sempre più dominate da una fusione del’indie rock con elementi discordanti provenienti dalla cultura giapponese classica. Vi è anche l’utilizzo di diversi effetti tra cui il delay e diversi stili di cantato, come si può notare nella canzone Num-Ami-Dabutz dove vi è l’utilizzo di un cantato sostenuto, quasi rappato. Quest’album può essere considerato un’anticipazione dei successivi lavori di Mukai dopo lo scioglimento dei Number Girl, che avverrà nel 2002 dopo l’abbandono della band da parte del bassista Nakao. L’ultimo concerto, tenutosi a Sapporo il 30 Novembre, è stato leggendario, con un esibizione finale di Omoide in my head rimasta nel cuore di tutti i fan. I membri della band prenderanno strade diverse ma resteranno sempre importanti nel panorama del rock underground giapponese. Mukai continuerà le sue sperimentazioni fondando i Zazen Boys, invece Tabuchi enterà a far parte dei Bloodthirsty Butchers. Come sottolineato dal giornalista esperto in musica giapponese Ian Martin nel suo libro “Quit your band!”, i Number Girl non sono stati la band con il successo maggiore a livello di pubblico, però la loro influenza si è propagata in tutto l’ambiente indie rock dell’epoca. Tra le band influenzate, le più famose sono probabilmente gli Asian Kung Fu Generation ed i ART SCHOOL.
Nel febbraio 2019 la band ha annunciato la propria presenza al Rising Sun Rock Festival in Hokkaido dopo 17 anni di inattività. La prima data del tour, in realtà, è stata il 18 agosto all’Hibiya Park di Tokyo. Successivamente, è stato annunciato un nuovo tour in tutto il Giappone in questo inverno.
ー recensione di Simone Lolli
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