Uchu Nippon Setagaya – Fishmans || Recensione

I Fishmans sono una band fondata dal cantante e strumentista Shinji Sato, attiva soprattutto negli anni ’90 e ormai consolidata nel panorama alternativo della musica giapponese.
Partiti nel 1987 come band Reggae e Dub, sono riconosciuti per aver portato in Giappone diversi generi già in voga all’epoca altrove e aver sperimentato soprattutto nella fase finale della loro carriera un sound nuovo per il paese, frutto della commistione di diversi generi tra i quali spiccano trip-hop, dream pop e musica Ambient.
Abbiamo già recensito in passato alcuni loro album, ma oggi ci concentreremo sul loro ultimo album in studio, “Uchu Nippon Setagaya“, culmine di una trilogia musicale riconosciuta come apice creativo e sperimentale della loro carriera.

Uchu Nippon Setagaya

L’album, del 1997, segna appunto la fine della produzione in studio della band, a causa della morte del cantante Shinji Sato.
Nel 1996 la band firma un accordo con una casa discografica per la fuoriuscita di una trilogia che comprendeva oltre l’album sopra citato “Kuchu camp” (1996) e “Long season” (1996), considerato capolavoro assoluto della band e composto da un’unica canzone di oltre 35 minuti che scorre tra sezioni di tastiera, synth, basso e percussioni perfettamente legate tra di loro regalando un prodotto fortemente psichedelico e catartico.

Nonostante Uchu Nippon Setagaya sia un album molto meno pretenzioso dal punto di vista sperimentale rispetto a quello precedente, riesce comunque ad apportare qualcosa di diverso senza il bisogno di stravolgere il sound della band.
L’album è molto rilassato e si concentra soprattutto su sonorità dream-pop e ambient, mantenendo per tutta la durata un ritmo molto basso senza perdere il groove che caratterizza la band.
Contiene 8 tracce, per una durata di 53 minuti complessivi, tutte abbastanza diverse da loro ma unite da un sound generalmente sognante e fluttuante.

L’album inizia con “POKKA POKKA“, che permette subito di entrare nel mood dell’album grazie ai leggeri bloop dei sintetizzatori e allo xylofono che aprono a una leggera linea di chitarra e percussioni molto ripetitive sopra le quali ad accompagnare c’è la voce molto gentile di Sato.
L’album poi si muove tra ballate come “IN THE FLIGHT“, caratterizzate da beat leggerissimi accompagnati solo da qualche riverbero di chitarra e synth, in cui il falsetto di Sato è lo strumento principale e pezzi ben più groovy e upbeat come “MAGIC LOVE“.
Verso il finale l’album inizia a diventare più strutturato, con pezzi come “WALKING IN THE RHYTHM“, la canzone che più richiama la piega progressive che la band stava iniziando a prendere, con un costante riff di basso martellante accompagnato da una tastiera melodica, arricchita dai vocals di Sato, dei cori e da un violino fortemente psichedelico che irrompe a metà canzone.

Nel complesso la forza dell’album non sta nella complessità dei singoli elementi ma nella cura nei dettagli e nella grande capacità nell’incastrare tutti i pezzi nel posto giusto al momento giusto.
Uchu Nippon Setagaya è un album non pretenzioso ma coeso, capace di regalare un’esperienza rilassante e divertente.


Yuuri || J-Sound Takamori

Bentornati a un altro appuntamento con Takamori J-Sound! In questo short vi parleremo dell’artista giapponese Yuuri.

Yuuri è un cantautore originario della prefettura di Chiba, comincia la sua carriera per strada cantando fra le vie di Shibuya a Tokyo, debuttando ufficialmente nel 2020 con il singolo Peter Pan, rivelandosi fin da subito una delle voci più interessanti del panorama J-POP.

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LiSA || Recensione

Oribe Risa (織部 里沙) meglio conosciuta come LiSA (リサ) è originaria della prefettura di Gifu, nata il 24 giugno del 1987. Ha venduto milioni di copie dei suoi singoli e album in tutto il mondo, contribuendo notevolmente alla promozione della musica giapponese oltre i confini nazionali. 

Nella primavera del 2010 è stata scelta come cantante per il personaggio di Yui, la seconda voce della band immaginaria “Girls Dead Monster” (conosciuta anche come GalDeMo) nel popolare anime televisivo “Angel Beats!”. Sotto il nome di GalDeMo ha venduto più di 400.000 singoli e album in totale guadagnandosi una grande popolarità. Nel 2011, ha fatto il suo debutto da solista con il mini-album “Letters to U”. 

In seguito, ha interpretato le canzoni principali di numerose serie anime di successo, tra cui “Fate/Zero”, “Sword Art Online”, “The Irregular at Magic High School” e “Demon Slayer”, ottenendo successo non solo in Giappone ma anche in tutto il mondo. Nell’aprile 2019, il brano “Gurenge” (紅蓮華) rilasciato in digitale ha raggiunto la vetta di numerose classifiche giornaliere e ha conquistato 38 premi in classifiche giornaliere di download, diventando il singolo digitale più venduto nella prima settimana dell’era Reiwa. Alla fine dello stesso anno, ha fatto la sua prima apparizione al 70º NHK Kohaku Uta Gassen

Nell’ottobre 2020, ha pubblicato contemporaneamente l’album “LEO-NiNE” e il singolo “Homura” (炎), raggiungendo il primo posto nelle classifiche giornaliere di Oricon per entrambi. Alla fine del 2020, ha vinto il Japan Record Award durante il 62º Japan Record Awards di TBS ed è apparsa al 72º NHK Kohaku Uta Gassen per il terzo anno consecutivo. 

Tra i suoi ultimi traguardi troviamo la sua prima colonna sonora per un film di Hollywood: “REALiZE” per la versione doppiata in giapponese del film animato “Spider-Man: Across the Spider-Verse”. Inoltre, ha collaborato con la famosa K-pop band Stray Kids a quello che è stato definito il loro primo EP giapponese “Social Path (feat. LiSA)” pubblicato il 6 settembre 2023 tramite Epic Records Japan. 

LiSA è nota per le sue esibizioni dal vivo altamente energetiche e coinvolgenti. Il suo stile musicale è molto diversificato e spazia dal pop-rock al J-pop, con influenze rock e anime. Le sue canzoni sono spesso caratterizzate da melodie orecchiabili, testi emozionali e voci potenti. La sua musica non solo è ampiamente apprezzata dai fan degli anime, ma ha anche un seguito ampio grazie al suo talento e alla sua versatilità. Ha una forte presenza sul palco e interagisce spesso con il pubblico durante i suoi concerti. La sua personalità positiva e il suo entusiasmo traspaiono nelle sue performance dal vivo cariche di energia. Queste ultime, le sue capacità vocali e il suo messaggio positivo durante i suoi concerti l’hanno resa rapidamente popolare non solo nella scena delle canzoni degli anime, ma anche in numerosi festival rock, dimostrando così la sua forte presenza. Il motto che ripete durante le sue esibizioni è: 今日もいい日だっ。 (Anche oggi è una giornata meravigliosa). 

Recensione di Chiara Girometti 

Wagakki Band || Takamori J-Sound

Bentornati a un altro appuntamento con Takamori J-Sound! In questo short vi parleremo dell’artista giapponese Wagakki Band.

Wagakki Band con 7 album pubblicati dal 2013 ad oggi unisce gli strumenti e le sonorità della musica tradizionale Giapponese con il rock di stampo occidentale in un suono unico e inimitabile.

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House in the tall grass || Recensione

Artista: Kikagaku Moyo

Anno: 2016

Formazione: Kurosawa Go – voce, batteria, percussioni

Katsurada Tomo – voce, chitarra

Kotsu Guy – basso

Daoud Popal – chitarra

Kurosawa Ryu – sitar, tastiere

Sicuramente i Kikagaku Moyo sono uno dei gruppi più internazionali che il Giappone abbia tirato furori negli ultimi quindici anni. Fondati nell’estate 2012, il quintetto ha iniziato come busker per le strade di Tokyo. Ha riscontrato già dai primi lavori un riscontro positivo sia da parte del pubblico che dalla critica, suscitando oltretutto la curiosità degli appassionati oltreoceano. Nel corso di pochi anni sono stati in grado di evolversi e di maturare le loro idee musicali.

A differenza dei primi lavori – l’omonimo “Kikagaku Moyo” (2013) e “Forest of Lost Children” (2014) – dal sound avvolgente, sperimentale ma ancora acerbo, il consolidamento è avvenuto nel 2016 con l’uscita, per la label indipendente Guruguru Brain, di House in the tall Grass.

Basterebbe solo il titolo e la copertina per capire in che mondo veniamo immersi: la “casa” che rappresenta noi ascoltatori e “l’erba alta”, ovvero la musica che ci accompagnerà in una piacevole ed elegante perdizione.

Rispetto ai dischi precedenti il sound pare più strutturato e meno confusionario con canzoni, sebbene molto diverse, perfettamente coerenti tra di loro dando un senso di linearità all’interno del discorso musicale.

Quello che fanno i Kikagku Moyo in sostanza è ripensare in chiave moderna il mondo prog/psichedelico anglosassone degli anni ’60/70, per poi contaminarlo con il dream pop e l’indie del nuovo millennio, dando così vita non a un banale omaggio ai classici ma a un’opera con una propria identità.

La band si diverte a ripensare la forma canzone, con l’obiettivo non tanto di creare singoli di grande impatto o necessariamente accattivanti ma di proporre un’atmosfera rarefatta e lo fa prendendosi il loro tempo, diluendo il più possibile le composizioni, attraverso arpeggi di chitarra e sitar trasognanti e una ritmica tribale; una formula che ricorda i grandi gruppi americani come i Velvet Underground, i Doors e i Mazzy Star.  In tutto ciò la voce androgina di Katsurada Tomo è un bisbiglio che sbiadisce nella melodia, uno spettro gentile che si aggira nella “Tall Grass”.

Tra le canzoni che spiccano ricordiamo: Kogarashi (una parola giapponese che sta ad indicare il freddo e pungente vento autunnale) con la voce di Katsurada che si ripete all’infinito come un mantra; la lunga Silver Owl che dondola lentamente fino a esplodere con riff zeppeliniani – gli stessi guizzi di hard rock che ritroviamo nella più compatta Dune. Infine, Melted Crystal è un brano che porta quasi all’ipnosi perché è costituito da un unico tema di chitarra che si ripete per oltre cinque minuti, dove l’unico elemento di variazione sono i lenti cambi di dinamica delle percussioni.

I Kikagaku Moyo realizzeranno successivamente altri tre album di ottima fattura, ma questo “House in the tall grass” rimane un’opera cardine della loro carriera che li ha consacrati come una delle realtà più rilevanti di tutto il panorama neo-psichedelico.

Recensione di Martino Ronchi

Otoboke Beaver – Super Champon || Recensione

Fenomeno in rapida crescita nel circuito alternativo internazionale, le Otoboke Beaver sono una delle band punk-rock giapponesi più influenti degli ultimi anni.
Formatasi nel 2009, la band ha origine a Kyoto ma attraversa un lungo periodo di scarsa produttività e cambi di formazione, arrivando a presentare solo nel 2019 l’assetto definitivo composto da Accorinrin, Yoyoyoshi, Hiro-Chan e Kahokiss, rispettivamente voce, chitarra, basso e batteria del gruppo.

La band appartiene al genere “riot grrrl”, fenomeno musicale e sociale nato negli USA negli anni 90′ dai colori sostanzialmente liberali e femministi che vedeva la musica, in particolare musica punk, come medium per affermare con fervore temi quali l’autodeterminazione e l’emancipazione femminile e porsi contro i disequilibri di genere.
Le Otoboke Beaver si pongono, quantomeno in Giappone, come picco creativo e stilistico di questo filone e col rilascio del loro primo vero LP “Itekoma Hits” (2019), si presentano fin da subito ad alti livelli mostrando un’incredibile capacità di coniugare meticolosità tecnica con uno stile frenetico e incontrollato.

Super Champon

Nel 2022 rilasciano “Super Champon“, un album incredibilmente veloce (18 tracce per soli 21 minuti di ascolto complessivo) ma non per questo di poco impatto.
L’album, infatti, si muove tra rapidi e repentini cambi sia ritmici che melodici, conservando però una forte coesione strutturale.
La vibe riot-grrrl si mescola a melodie molto colorate ed elementi noise-rock, aumentando ancora di più l’intensità dell’album precedente; le tracce scorrono in maniera frenetica non lasciando tempo per respirare tra un cambio e l’altro, chitarra e la batteria producono un sound fortemente abrasivo e presentano cambi imprevedibili, così come le linee vocali, capaci di passare dal bambinesco al brutale nel giro di pochi secondi.
Prova della grande capacità musicale sono brani come “PARDON?” o “Don’t call me mojo”, in cui la band riesce a gestire un numero esorbitante di salite e discese di tempo, pause e layer vocali ripetitivi e schizofrenici senza mai però risultare ridondante.

L’unica piccola perdita rispetto ai lavori passati è forse una leggera perdita nella scorrevolezza, complice la presenza di tracce davvero brevi ammassate verso la fine dell’album.
Nonostante non sia presente una grande varietà di strumenti (la band conserva il classico assetto di batteria, chitarra e basso elettrici tipico del punk), l’album è sostanzialmente un’esperienza divertente, grazie al noise incessante ma mai statico e alla energica rabbia e aggressività con cui performa ogni singolo membro della band.
Sul piano contenutistico l’album ripresenta temi già comuni alla band e facilmente comprensibili già dai titoli stessi: in generale il rifiuto di piegarsi a qualsiasi tipo di istituzione e più nello specifico il rapporto di amore e odio verso l’amore stesso, come in “Leave me alone! no, stay with me!” e il rifiuto nell’abbracciare ruoli di genere tradizionali, in tracce come “I am not maternal” o “I won’t dish out salads”.
La band affronta tutti i temi con ironia e un humor a tratti demenziale, ponendosi contro essi in chiave provocatoria.