Controverso, Colorato, Kawaii, Takayan, classe ‘98, sta gradualmente ma costantemente ritagliandosi sempre di più uno spazio di merito all’interno del panorama J-pop e Japanese Hip Hop.
Takayan comincia la sua carriera musicale, come lui stesso ammette, per “puro divertimento” con la pubblicazione sul suo canale Youtube della prima canzone “Mada Wakaranai” まだわかんない, ormai 8 anni fa, all’età di 17 anni.
Nelle prime video canzoni è evidente come il suo atteggiamento rispecchia il suo stesso modo di vedere la musica come un iniziale svago. Canta spavaldamente a petto nudo, con indosso occhiali da sole, ostentando e “flexando” I suoi muscoli, mettendo indubbiamente in mostra un lato di sè tronfio e sfacciato, intento solo a divertirsi con la sua musica.
Negli anni seguenti, Takayan continuerà la sua carriera artistica pubblicando congiuntamente a produzioni originali, video cover di artisti più famosi, contribuendo in questo modo a farsi lentamente conoscere agli occhi dei più. Lentamente quello che era cominciato come un semplice passatempo, sta diventando la sua principale occupazione.
È il suo canale Youtube il principale mezzo con cui si farà conoscere al grande pubblico, tra singoli, canzoni cover, e live tramite le quali continua a sfoggiare il suo carattere sicuro di sè mostrandosi sempre a petto nudo, pronto a sfoggiare I propri muscoli. Rispetto agli esordi però, il suo atteggiamento spavaldo sfuma per amalgamarsi con un rinnovato interesse verso il “kawaii”, modello di bellezza tipico giapponese, caratterizzato da atteggiamenti e lineamenti “cute”, che mirano a richiamare un tipo di bellezza delicato e “infantile”. Il contrasto salta quindi subito all’occhio: Un uomo pieno di muscoli che si atteggia da ragazza carina, infantile e solare, e che si veste anche come tale.
L’apparenza non deve ingannare però, poiché dietro a una musica così gioiosa e colorata, si nascondono temi cupi e delicati.
Pubblica per la prima volta un album verso fine 2018, “Slave” どれい, che tuttavia a causa dei temi trattati, è stato vittima anni più tardi di un taglio da tutte le piattaforme, insieme a diverse altre canzoni rilasciate nello stesso periodo.
Takayan tratta infatti temi come la depressione, l’autolesionismo, Break-up amorosi, tradimento, suicidio, e tanti altri, nella speranza di raggiungere e aiutare, attraverso la sua musica, chiunque stia attraversando un momento difficoltà e abbia bisogno di un conforto.
Tra le sue canzoni più famose vari esempi sono “Toy”, dal tono che ricorda il genere lo-fi, dove il tema centrale è il fallimento di un amore che si rivela in realtà essere unilaterale e dove la controparte ha sfruttato i sentimenti del partner al mero scopo di soddisfare i propri desideri sessuali, appunto come un “giocattolo”. Troviamo poi canzoni come “Cheating is a Crime” 浮気は犯罪行為, dove si approfondisce il tema del tradimento in una canzone dai tono più cupi, taglienti e rabbiosi, oppure canzoni più simili al puro genere J-Pop come “Just Disappear” dove la protagonista della canzone nonostante tutte le difficoltà, i lutti passati e le conseguenti azioni atte a sopperire quel dolore incolmabile, accetta il proprio passato e riesce a ritrovare la forza e la speranza necessaria per poi un giorno, superare definitivamente quel dolore.
L’atteggiamento kawaii di Takayan non è dunque meramente casuale. Sebbene sia vero infatti che si traspone in tale modo, come lui stesso afferma in una delle sue tante live, semplicemente perché gli piace, è anche vero che tale atteggiamento è un modo di porsi finalizzato a farsi sentire più vicino al suo pubblico e poterlo così confortare, apparendo come una figura di supporto, sempre pronto a sostenere il proprio ascoltatore con il suo modo di fare gioioso, nonostante le apparenze da uomo grosso e muscoloso che potrebbero far pensare il contrario.
Dietro ad ogni momento di difficoltà infatti, è sempre possibile trovare la luce ed è unicamente possibile farlo partendo da se stessi. Ognuno di noi è capace di ritrovare la felicità e la via del conforto da una situazione buia, e Takayan vuole insegnare proprio questo.
Con il suo atteggiamento kawaii e solare, Takayan è quindi un esempio di come anche nei momenti più bui della vita, o presunti tali, si possa affrontare il tutto, con un atteggiamento più che positivo, affrontando ogni ostacolo a testa alta e con un pieno sorriso in volto.
Tra gli artisti emergenti del panorama indipendente giapponese Mega Shinnosuke rappresenta sicuramente una costante certezza di un continuo rinnovamento musicale. Scrive, compone e arrangia da solo le proprie produzioni e ciò lo rende fra i più giovani one man band giapponesi che hanno trovato il loro piccolo spazio nella scena indipendente internazionale nonostante la presenza di una spessa barriera linguistica. Cresciuto a Fukuoka, si trasferisce a Tokyo nel 2019 dove inizia a produrre e pubblicare le sue prime canzoni.
Tra le prime produzioni che hanno raggiunto una rilevanza internazionale troviamo Asumo Konoyoha Mawarukara (明日もこの世は回るから) del 2019.
Traccia dalla spensieratezza di un primo periodo universitario che racchiude sonorità rock ricche di riff ispirati puramente alla scena j-rock classica.
Nel 2020 esce Cutie Girl seguita da un video musicale estremamente curato nel quale si denota un livello di successo per l’artista sempre maggiore.
E successivamente una delle tracce meglio riuscite, Japan del 2020.
Il costante rinnovamento e i continui cambi di stile fanno di Mega Shinnosuke uno degli artisti emergenti più interessanti. Immerso nel R&B, J-Rock, Hip Hop, e neo-soul, rivela influenze sempre nuovo ad ogni ascolto portando i più attenti a tentare di scoprirne sempre di nuove.
I Fishmans sono stati una band giapponese dalle influenze dub, dream pop, funk rock (ma non solo) attiva principalmente tra il 1987 e il 1999, formata dal cantante, chitarrista e trombettista Shinji Sato, il batterista Kensuke Ojima, il bassista Yuzuru Kashiwabara e il tastierista Hasake-Sun (il cui vero nome è sconosciuto). Fino al 1994, precedentemente al rilascio dell’album “Orange”, era presente nel gruppo anche il chitarrista Kensuke Ojima, poi rientrato nel gruppo anche nel 1999. La band, dopo la morte del cantante Shinji Sato avvenuta nel 1999, continua tutt’oggi ad esibirsi sporadicamente live, e ha anche rilasciato della musica scritta quando Shinji Sato era ancora in vita, rimanendo una band attiva ad intervalli irregolari.
I Fishmans, rimasti relativamente underground nel corso della loro carriera, acquisirono poi con internet un grosso seguito internazionale, diventando tra le band più importanti del panorama musicale anni ’90 giapponese.
“Orange” è il quarto album del gruppo, uscito nel 1994.
L’album, composto da nove tracce, si apre con il brano “Intro”, breve traccia di 23 secondi dal sapore funk che è una vera e propria introduzione, per l’appunto, al brano successivo (“Kibun”), rappresentando a tutti gli effetti uno spezzone di questo e dando quindi un veloce anticipo su ciò che si potrà poi ascoltare nella successiva traccia. Allo stesso tempo “Intro” anticipa a livello di sound ciò che può essere ritrovato nell’album.
“Kibun” è il primo brano vero e proprio dell’album, che come introdotto da “Intro” presenta delle chiare sonorità funk, con una linea ritmica formata da un basso e una batteria con un gran groove, una chitarra ritmica estremamente funk e una seconda chitarra che propone delle melodie che regalano al pezzo anche delle sfumature un po’ più rock. La voce androgina del cantante e l’organo in sottofondo richiamano il funk anni ’70, mentre i riff di chitarra funk-rock nella strofa richiamano molto il funk anni ’90 (d’altronde decade di uscita dell’album) dei Red Hot Chili Peppers.
L’album prosegue con “Wasurechau Hitotoki”: anche in questa traccia possiamo ritrovare le influenze funk, con dei suoni a tratti tendenti all’hip hop. La voce del cantante ancora una volta si presenta come estremamente suggestiva e raffinata, con un ritornello decisamente orecchiabile.
Il successivo brano, “My Life”, è un brano più tendente al pop, dalle sonorità più dreamy e a tratti anche jazzy, con melodie che sanno rapire l’orecchio.
“Melody” è una traccia che riprende ma con ancora più enfasi la frenesia dei brani precedenti, con una bella e movimentata linea di basso dal sapore quasi jazz e un assolo di chitarra nel mezzo sporco che accantona la melodia in favore dell’energia, seguito da un crescendo emotivo che culmina con un assolo di organo e una batteria sempre incalzante e convincente.
Il successivo brano “Kaerimichi” inizia con un’intro onirica seguita da un verso in cui si possono sentire a pieno le influenze dub e dream pop della band. Brano molto “laid-back”, un momento più calmo dopo la incalzante “Melody”.
“Kansha (Odoroki)” è un brano che riprende le influenze funk viste in precedenza, con quasi un richiamo al City Pop giapponese anni ’80, decade precedente all’uscita dell’album, e una chitarra ritmica funk incalzante.
L’album prosegue con “Woofer Girl”: anche in questa traccia si possono trovare le influenze dub della band, con la sempre suggestiva voce del cantante, e un finale che richiama i migliori momenti della musica raggae.
La conclusione de’album avviene con “Yoru no Omoi”: traccia che presenta un forte sapore hip hop anni ’90 nella strumentale di basso, batteria e tastiera, con le solite accattivanti melodie della voce, e una chitarra minimal a tratti funk e a tratti più volta al creare suoni che donino un’atmosfera più dreamy/psichedelica al brano, con anche la presenza di una chitarra acustica. La traccia si chiude con un’orecchiabile melodia con cori che sfuma chiudendo appunto l’album.
L’album, molto variegato e divertente, rappresenta sicuramente un must per chi vuole approcciarsi ai Fishmans.
Tra le band più rappresentative e leader del panorama math-rock giapponese, i Jyochonascono nel 2016 dalla mente del chitarrista ed ex membro del gruppo Uchu Conbini (宇宙コンビニ) DaijiroNakagawa, affiancato da NetakoNekota(cantante), YuukiHayashi(flauto) e Sindee(basso).
Il math-rock è un sottogenere del rock famoso per l’utilizzo di accordi complessi e di una metrica dispari che spesso vede la combinazione di molteplici tempi concatenati all’interno di una singola canzone. Questa complessità è tale da essere definita “matematica” da molti critici e ascoltatori, da qui il nome del genere.
I Jyocho rendono pienamente giustizia al nome del genere a cui appartengono, proponendone anzi una revisione unica e originale, grazie soprattutto all’uso di strumenti musicali inusuali per il genere come il flauto e la voce femminile. La band, infatti, vuole discostarsi dai confini classici del math-rock, proponendo una musica in grado di suscitare forti emozioni negli ascoltatori, creando atmosfere eteree, sognanti e delicate.
I Jyocho cominciano la loro carriera musicale con il primo album ‘A Prayer in Vain’ (祈りでは届かない距離), che vede ancora la presenza della precedente cantante Okano Rio, la quale lascerà il gruppo l’anno dopo, venendo sostituita dall’attuale cantante Netako Nekota.
Il gruppo acquisirà però particolare notorietà soprattutto dopo il rilascio dell’anime ‘Junji ItoCollection’ di cui hanno curato la sigla finale ‘A Parallel Universe’ (互いの宇宙), canzone che riprende i tratti inquietanti dell’opera mescolati con l’emotività tipica del gruppo.
Il vero culmine della loro maturazione è tuttavia l’ultimo album rilasciato ‘Let’s Promise to be Happy’ (しあわせになるから、なろうよ).
L’album, relativamente breve di durata con i suoi 24 minuti, è introdotto da una canzone suonata esclusivamente con la chitarra acustica, strumento centrale grazie alla complessità di esecuzione che il leader Daijiro riesce a rendere nei propri riff, abusando di tecniche come il tapping.
Assieme alla chitarra medesimo peso ricoprono il flauto e la voce femminile, che aiutano a richiamare un’atmosfera sognante e soave, capace di immergere l’ascoltatore nella realtà ottimistica e speranzosa che l’album vuole trasmettere, grazie a canzoni come ‘The End of Sorrow’ (悲しみのゴール) o ‘Measure the Dawn’ (夜明けの測度). Tema dell’album, infatti, come dichiarato dallo stesso Daijiro, è la ricerca di ciò che può portare alla felicità, da qui il titolo dell’album ‘Let’s promise to be Happy’.
La canzone finale, breve riff di chitarra anch’esso, agisce come speculare dell’introduzione: se l’intro agisce da ingresso per il mondo colmo di speranza dell’album, l’outro funziona invece da rimando per la “promessa” di impegno nella ricerca della felicità intrapresa con l’ascolto.
Tra il 1986 e il 1988 la Johnny & Associates, una agenzia giapponese che si occupa di scoprire nuovi talenti, fa audizioni e seleziona venti ragazzi per costituire un gruppo di ballo di supporto a una celebre boyband. Tra questi spiccano i giovanissimi Nakai Masahiro, Katori Shingo, Kusanagi Tsoyoshi, Kimura Takuya Mori Katsuyuki e Inagaki Goro, che vengono scelti per costituire gli SMAP, acronimo di “Sports and Music Assemble People”.
Questi ragazzi, con età comprese tra i 10 e i 14 anni, vengono formati e introdotti al mondo dello spettacolo affiancando al lavoro di ballerini anche quello di attori e di personalità televisive, apparendo in numerosi programmi e avendone addirittura di dedicati.
Nel 1991 vengono finalmente lanciati sulla scena musicale sia con concerti che con dei singoli, ma nonostante l’iniziale successo di pubblico la televisione giapponese stava un vivendo un momento particolare: con la fine dell’epoca d’oro dei programmi televisivi musicali anni ’80, molti musicisti fanno fatica a trovare un canale per arrivare al pubblico. La Johnny & Associates fa tuttavia una scelta vincente, impiegando gli SMAP in altri programmi televisivi tra cui varietà e programmi comici, facendogli guadagnare ancora più fan e permettendogli successivamente sia di ottenere successo con il loro primi album sia di dare ai membri della band occasione di far decollare le loro carriere individuali come attori.
A metà degli anni 90’, gli SMAP sono ormai una istituzione. Praticamente ogni loro nuovo album musicale è un successo, i loro singoli arrivano in testa alle classifiche e viene anche lanciato un varietà condotto da loro stessi, SMAP no Gambarimashou, con contenuti che cambiano ogni giorno, con inserti musicali, talk show con ospiti, sketch comici e spezzoni dei loro film. Nakai ha anche modo di arrivare all’ultimo medium a cui non erano ancora approdati, lanciando un suo programma radiofonico che continua tuttora.
Nel 1996, Mori annuncia la sua scelta di abbandonare la band per potersi dedicare a una carriera completamente diversa, ovvero il motorsport; questo crea scompiglio tra i membri della band, che tuttavia continua il suo percorso e non vede intaccato il suo incredibile successo. Anzi, la loro copertura mediatica e la varietà dei loro contenuti li porta a uscire dallo status di semplice boyband con pubblico femminile e gli procura nuovi fan anche tra il pubblico maschile e i bambini. I singoli membri sono così occupati con le loro carriere individuali di attori e personalità televisive che gli SMAP iniziano a pubblicare album con cadenza biennale invece che annuale, ma il successo degli individui alimenta il successo della band e viceversa e nel 2003 pubblicano “The one and only Flower in the World”, singolo che ottiene un successo incredibile.
Il loro successo continua nella decade successiva: il loro status è ormai consolidato, e la loro popolarità è quasi senza precedenti, arrivando addirittura in Cina e Corea e permettendo agli SMAP di fare delle collaborazioni e dei concerti in questi paesi. Diventano rappresentanti delle Paralimpiadi, collaborano con gli Universal Studios per un parco divertimenti in Giappone, vengono invitati a cantare l’inno nazionale dalla lega professionista di Baseball giapponese… Tutto sembra andare a gonfie vele, fino a quando, nel 2016, arriva la notizia che quattro membri degli SMAP erano intenzionati a lasciare la band. I fan reagiscono molto male alla notizia, e i membri della band la smentiscono per rassicurarli, ma ormai è solo questione di tempo. Le loro carriere individuali sono ormai consolidate, e alcuni membri decidono anche di togliere ogni rifermento agli SMAP dai loro programmi, mentre altri non saranno così decisi sul voler prendere le distanze. Sciolti o no, gli SMAP restano un fenomeno senza precedenti nel panorama giapponese.
Il loro stile musicale attinge dal City Pop degli anni ’80 e dall’R&B tipico delle boy band degli anni ’90 e spazia tra gli stili del pop occidentale. Se la loro musica in senso stretto passa così in secondo piano è solo perché gli SMAP vanno interpretati come un fenomeno più ampio, visto che i membri stessi sono forse più dotati come attori che non come cantanti.
Tōsaku (盗作) è il terzo album dell’ensemble giapponese Yorushika, nato nel 2017 e formato dal compositore e chitarrista n-buna unito alla cantante suis. A oggi, il gruppo è tra i più rilevanti e popolari nella scena pop-rock nipponica odierna, con tre album e due mini-album pubblicati dalla formazione. La particolare commistione tra melodie upbeat e testi tendenti al cupo, insieme all’abilità di creare storie sia all’interno dei loro singoli, sia tra i loro album, hanno garantito il sempre più crescente favore del pubblico. Infatti, alcuni dei loro brani, come Itte (言って) e Dakara Boku wa Ongaku wo Yameta (だから僕は音楽を辞めた), hanno avuto successo immediato, diventando delle hit da più di 100 milioni di visualizzazioni. Proprio la loro abilità di creare delle storie non solo all’interno dei singoli pezzi, ma anche distribuite in album interi, è il motivo per cui Tōsaku è tra gli album più validi del suo genere. Il filo conduttore delle composizioni di Tōsaku affonda le sue radici sul concetto del plagio, fenomeno comune nello scenario musicale di oggigiorno. Le intenzioni comunicative del progetto sono state espresse nella descrizione del video YouTube dell’omonimo singolo, dove n-buna si definisce un “ladro di suoni” – rubando melodie e sequenze da vari artisti sia occidentali, sia giapponesi – instillando al contempo nel pubblico il dubbio vari dubbi sul plagio in musica – come il fatto se sia intenzionale o meno visto l’esaurimento dei modelli melodici e le progressioni di accordi, oppure se un’opera d’arte perde davvero valore perché ha rubato qualcosa da qualcos’altro. Il pop rock molto forte e appassionato che ha sempre caratterizzato le composizioni del duo trova massima espressione in Tōsaku, con delle sequenze di basso notevoli in Hirutonbi (逃亡) e Toubou (逃亡) e dei riff di chitarra molto grezzi, come in Bakudanma (爆弾魔). Come in Dakara Boku wa Ongaku wo Yameta, sono incluse parti di pianoforte e tastiera, le quali – pur non essendo un focus principale della struttura melodica – sono state incorporate magistralmente, come in Hana ni Bourei (花に亡霊), con un assolo che apre e chiude il pezzo. La maggior parte dei brani segue la falsariga dell’antitesi composizione upbeat – testo cupo, creando un’atmosfera intensa e caleidoscopica; essa viene infatti spezzata da intermezzi strumentali, i quali calmano il rapido ritmo ma coprono anche un ruolo nella narrazione: infatti, in Ongaku Dorobou no Jihaku (音楽泥棒の自白), il piano suona le note di Moonlight Sonata intrecciata a suoni riecheggianti composizioni passate dell’ensemble. L’ordine della lista dei brani, la quantità di canzoni campionate e la capacità di raccontare fluidamente una storia attraverso la musica, rendono questo album un must-listen per gli appassionati di musica giapponese.
Commenti recenti