23 Agosto 2018 | Pubblicazioni
Ieri, 50 anni fa
Autori: Ōe Kenzaburō, Günter Grass
Titolo originale: Gestern, vor fünfzig Jahren
Editore: Archinto
Traduzione: Maria Luisa Cantarelli, Mariko Muramatsu
Anno di pubblicazione: 1999
Nel 1995, due dei più grandi scrittori della letteratura universale danno il via a uno scambio epistolare in occasione dell’anniversario dei 50 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale: si tratta di Günter Grass (1927 – 2015) e Ōe Kenzaburō (1935 – ), voci critiche e attente della società in cui vivono.
Figura di spicco non solo della letteratura giapponese ma della letteratura mondiale, Ōe Kenzaburō è una delle personalità più importanti del panorama letterario nipponico. Fine osservatore della società giapponese, nella sua produzione i temi trattati si spostano da argomenti di stampo maggiormente politico a tematiche di stampo più intimista, ma sempre con una profonda impronta di critica sociale e riflessione. Una riflessione su una società, quella giapponese, che dopo la fine del secondo conflitto mondiale si ritrova a fare i conti con quelle che sono le responsabilità del proprio Paese. Questo, nella fattispecie, è uno dei temi centrali intorno ai quali prende forma lo scambio di lettere con un altro fondamentale autore della letteratura mondiale: Günter Grass.
Entrambi vivono in prima persona gli anni del secondo conflitto mondiale, seppur in età ancora molto giovane: Günter Grass ha circa 18 anni, mentre Ōe Kenzaburō ne ha circa 10, ma in entrambi quei drammatici eventi lasciano una profonda ferita, cui verrà data voce nelle opere letterarie, nei saggi e negli scritti. In particolare questo scambio epistolare, che comincia agli inizi del febbraio 1995 e continua fino al luglio dello stesso anno, fa emergere una serie di tematiche complesse care a entrambi gli autori: il problema delle colpe dei rispettivi Paesi nel conflitto mondiale, le scelte di politica internazionale successive a quella maledetta mattina del 6 agosto 1945, le difficoltà di cui è irto il percorso di presa di coscienza di ciò che accadde negli anni della guerra. Un percorso che Giappone e Germania dovettero affrontare e che continua ancora oggi. Altrettanto importante il problema della minaccia nucleare, tutt’ora attuale, contro cui sia Ōe Kenzaburō che Günter Grass hanno fatto sentire la propria voce.
Nelle 8 lettere che i due si scambiano nell’arco di pochi mesi si avvertono gli echi di problematiche che sembrano appartenere a un passato ormai remoto. In realtà, le parole scelte da questi due grandi autori sembrano applicabili anche alla contemporaneità, veicoli di messaggi universalmente validi che aiutano e stimolano una riflessione personale.
Un incontro importante tra la Germania di Grass e il Giappone di Ōe. Una lettura davvero consigliata, interessante, molto contenuta a livello di lunghezza ma densa di spunti di riflessione. Sul passato, sul presente e sul futuro.
—di Giulia Berlingieri
26 Luglio 2018 | Pubblicazioni
Autore: Tanizaki Jun’ichirō
Editore: Einaudi
Traduzione: Lydia Origlia
Edizione: 2010
Pagine: 73
“Dammi ascolto, in ogni caso non potrai vivere a lungo, e allora abbandona gli studi e rimani con me: ti vizierò finché lo vorrai. Perché andare a morire come un cane a Tōkyō?”
Sta attraversando le vie della capitale a bordo di un risciò per recarsi a casa della zia quando affiora il ricordo di queste parole. La straziante dolcezza di cui sono impregnate le linee iniziali funge da golfo mistico che amplifica magistralmente la forza di quell’ultima domanda; un’eco di angoscia pervade il suo corpo nell’ascoltarla ancora una volta.
Saeki, studente universitario sradicato dalla campagna, aveva visto quelle parole nascere sulla bocca di una geisha. Era pallida, sensibile e somigliava ad una maga.
Forse si sarebbe concesso a questa melanconica melodia ancora per un po’. Forse avrebbe persino riflettuto sull’ironico tempismo di quel ricordo e su come, molto spesso, proprio l’ironia preannunci un fato, bambino nella sua inconsapevole crudeltà, che ama perseverare negli scherzi. Così però non avviene, la sua concentrazione è infatti divorata dalla visione di quella città che gli appare malata. Un virus, quello del progresso tecnologico, i cui sintomi sono visibili ad ogni lato, ne sta fagocitando l’anima, lentamente quanto inesorabilmente.
Ma eccolo finalmente arrivare di fronte alla casa della zia. Lui non lo sa, ma di lì a poco arriverà anche sua cugina Teruko. È pallida, insensibile e non somiglia per niente ad un demone.
—di Samuele Verona
25 Giugno 2018 | Pubblicazioni
Ritenuto erede spirituale di Murakami Haruki, in questo libro Furukawa Hideo ci accompagna in una Tokyo surreale filtrata negli occhi di Touta e Hitsujiko, poli opposti tra musica e silenzio
Touta e Hitsujiko sono due fratellini orfani consacrati da una delle isole vicino a Chichi-jima, isola nell’estremo sud est del Giappone. Ritrovati dopo qualche anno e cresciuti senza un campione umano da seguire, Tokyo Soundtrack è la storia di come questi due ragazzini totalmente alieni alla società impareranno a muoversi dentro di essa: dalla lontana Ogasawara, cittadina di Chichi-jima persa nel blu a un migliaio di chilometri dalla capitale, fino alla capitale stessa.
Tra musica e silenzi
Quasi due facce della stessa medaglia, Touta e Hitsujiko rappresentano rispettivamente silenzio e musica. Al primo il concetto di melodia sarà infatti completamente alieno, mentre la sorella ne sarà quasi un’accolita. Questo porterà i due a intraprendere strade diverse, ma ritrovandosi comunque in quella megalopoli che l’autore scandaglia da cima a fondo: dai lati più quotidiani, come scuole o istituti, a quelli un po’ più controversi, come prostitute, lavoro in nero e sicari.
A tirare troppo la corda…
Romanzo di 764 pagine, potremmo dividerlo in due parti: prima e dopo l’arrivo a Tokyo.
La parte ambientata a Chichi-jima affascina il lettore a ogni pagina, lo porta lontano dal mondo caotico al quale è già di per sé abituato, tra natura, allegre pecore selvatiche e porticcioli immersi nel blu. Il linguaggio tenuto è per tutte le età, il contenuto rapisce: come Touta e Hitsujiko siano naufragati da soli, come li abbiano ritrovati, la loro vita a Osagawara, il loro crescere, gli strampalati personaggi incontrati nel mentre e persino flashback di personaggi esterni perfettamente calzanti. Tutto è un organico divenire, che sia musica o silenzio.
All’arrivo a Tokyo invece, il romanzo prende un’altra piega, tanto da aggiungere dopo un po’ un ulteriore protagonista. La narrazione perde quella sua fluidità, trovandoci molte volte dinnanzi a pagine e pagine (se non capitoli) di mere descrizioni incapaci di intrattenere quanto la vita sull’isola, perlopiù irrilevanti per la storia; come se l’autore volesse per forza raggiungere un numero di pagine a romanzo finito, penalizzando il lettore.
Di tutto un po’
In questa seconda parte Furukawa sembra purtroppo inserire qualsiasi cosa gli baleni in testa, che sia il surriscaldamento globale, l’identificazione di genere o persone che combattono danzando. Cose che se trattate singolarmente e in un altro romanzo sarebbero di certo state interessanti, ma che con il resto c’entrano ben poco (spezzando una lancia in suo favore, parlare di surriscaldamento nel 2003 era di certo d’avanguardia e lo fa con meticolosità).
Ad aggravare il tutto ci pensa infine il linguaggio scelto: se la prima parte era per chiunque, la seconda assume spesso e volentieri toni e scene da shōnen che alienano il lettore più adulto, creando talvolta imbarazzo. Una sorta di infelice retroversione da qualcosa che intrattiene a qualcosa per ragazzini che si rivela impossibile non notare.
Considerazioni finali
L’opinione in merito è contrastante proprio perché sembrano quasi essere due romanzi differenti. Tuttavia non si può non tener conto di come la qualità vada man mano a calare, creando, perché no, delusione nel lettore stregato dalle prime 300 pagine. Crediamo che se Furukawa avesse accorciato certe parti (sopratutto le iniziali del terzo protagonista) ed evitato di impuntarsi troppo su improbabili flash mob, il romanzo sarebbe risultato più scorrevole e avvincente.
Di Marco Amato
Guarda anche:
10 Giugno 2018 | Pubblicazioni
Autore: Matsumoto Seichō
Titolo originale: Ten to sen
Editore: Adelphi
Collana: Fabula
Traduzione: Gala Maria Follaco
Edizione: 2018
Pagine: 169
Su una spiaggia di Kashii, nella baia di Hakata nel Kyūshū, vengono ritrovati i corpi di due giovani, un uomo e una donna. La polizia pensa subito a un doppio suicidio d’amore, archiviando così il caso come tale.Tuttavia questa versione non convince Torigai Jūtarō, veterano ispettore di polizia locale, che da un apparentemente trascurabile dettaglio capisce che, forse, dietro alla morte dei due potrebbe celarsi ben di più. L’intuizione dell’uomo consentirà all’investigatore Mihara Kiichi, recatosi da Tōkyō nel Kyūshū, di approfondire un caso all’apparenza senza colpevoli, sciogliendo un intreccio che poggia le sue basi sugli orari dei treni delle linee che collegano le località giapponesi. L’investigatore segue un intricato percorso lungo tutto l’arcipelago, che lo porta dall’isola di Hokkaidō fino alle province più a ovest del Kyūshū.
Matsumoto Seichō è l’autore che con i suoi romanzi dà un nuovo impulso alla letteratura poliziesca nel Giappone del dopoguerra. Questo scrittore è infatti uno dei principali esponenti della corrente letteraria dello Shakaiha (社会派), filone narrativo che vuole porre all’ attenzione del lettore i problemi sociali che il Paese e l’individuo si trovano ad affrontare, trasformando il genere poliziesco in quello che potrebbe essere quasi uno specchio della società.
Con una scrittura capace di coinvolgere dalle prime parole fino all’ ultima pagina, il romanzo accompagna il lettore attraverso le varie fasi del processo investigativo, seguendo i due protagonisti che con perseveranza continuano a scavare per scoprire una verità ben più complessa di quanto non sembri. Anello fondamentale nell’ indagine sono i nomi e gli orari dei treni che attraversano il Giappone. Tutte le linee citate dall’ autore, a partire dall’ Asakaze, il treno espresso che fino al 2005 collegava Tōkyō ad Hakata nel Kyūshū, fino alla linea Towada, un tempo attiva nella prefettura di Aomori nell’Hokkaidō, sono realmente esistite.Anche gli orari che compaiono nella storia corrispondono ai veri orari in vigore nel 1958, trentaduesimo anno dell’era Shōwa.
Una volta iniziata la lettura non si può fare altro che immergersi insieme agli ispettori Torigai Jūtarō e Mihara Kiichi nelle indagini, ritrovandosi a vagare con la fantasia lungo l’arcipelago giapponese, a bordo di treni espressi che si muovono da una stazione all’ altra in tutto il Paese. Da Fukuoka a Tōkyō, fino ad Akita e Chitose, non resta che lasciarsi avvolgere da un paesaggio fatto di numeri, come recita il titolo del capitolo 9.
Recensione di Giulia Berlingieri
30 Maggio 2018 | Pubblicazioni
Autore: Yoshida Shūichi
Editore: Feltrinelli
Collana: I narratori
Traduzione: Gala Maria Follaco
Edizione: 2017
Pagine: 336
Ciao a tutti e bentornati alla nostra rubrica letteraria. Oggi vorrei proporvi un romanzo dal titolo giapponese “Akunin” 悪人, pubblicato originariamente nel 2007 ad opera dello scrittore di Nagasaki Yoshida Shūichi. La versione italiana del romanzo, “L’uomo che voleva uccidermi”, è stata curata da Gala Maria Follaco, già traduttrice di diversi autori giapponesi di fama internazionale, tra cui Banana Yoshimoto. Dal romanzo di Yoshida, che si può tranquillamente inserire nell’ambito del genere thriller psicologico con sfumature noir, è stato tratto anche un lungometraggio dallo stesso titolo, per la regia di Lee Sang-il.
A prima vista, la trama è piuttosto aderente alle tematiche del genere: Ishibashi Yoshino, ragazza di 22 anni e impiegata per una compagnia di assicurazioni, viene ritrovata senza vita in un valico; causa del decesso: strangolamento. Sappiamo soltanto che, prima dell’accaduto, Yoshino avrebbe dovuto incontrare un ragazzo per un appuntamento in un parco nelle vicinanze di Fukuoka. A seguito del misfatto, il presunto assassino si dà alla fuga e le informazioni che i poliziotti rinvengono nel cellulare della ragazza non combaciano con le verità della sua famiglia e delle sue colleghe. La morte della giovane lancia nello sconforto i genitori, ma soprattutto il padre Yoshio, il quale lotterà fino alla fine nel tentativo di vendicare l’amata figlia. Allo stesso tempo, la vicenda ruota intorno a due personaggi maschili, coetanei di Yoshino. Da un lato troviamo il ricco e spregiudicato Masuo Keigo, vero esempio di superficialità e arroganza, che da tempo attirava le attenzioni della ragazza; dall’altro Shimizu Yūichi, giovane dai mille problemi familiari e caratteriali che lavora nella ditta di costruzioni di proprietà dello zio Norio. Yūichi conosce accidentalmente Yoshino attraverso un sito d’incontri, dove la stessa vittima usava passare gran parte del suo tempo adescando numerosi uomini anche molto più maturi di lei.
Detto questo, la vera forza del romanzo non sta nel semplice iter investigativo per poter così giungere alla verità, quanto piuttosto nella dettagliata psicologia dei personaggi che la trama ci presenta. Il termine stesso “psicologico” meglio si addice, nel romanzo, alla figura stessa di Yūichi e, allo stesso tempo, della seconda figura femminile, Mitsuyo. Mitsuyo è una trentenne che convive con la sorella gemella e che, per una serie di eventi, si legherà indissolubilmente a Yūichi: entrambi condividono l’estremo risentimento nei confronti della società moderna, costruita sull’alienazione, sulla solitudine e sulla mancanza di sentimenti puri. Da qui il desiderio di fuga dei due giovani, nel tentativo disperato di vivere insieme qualche briciolo di felicità, essendo lo stesso Yūichi, insieme a Masuo, uno dei principali sospettati per l’omicidio di Yoshino.
In un susseguirsi di eventi a dir poco inaspettati, l’alternanza di innumerevoli punti di vista condurrà il lettore in un universo fatto di atroci dubbi, in ambienti sconosciuti e spettrali, dove tutto sembra perennemente avvolto in una fitta nebbia e la verità, inevitabilmente, fatica a venire a galla. Ma, soprattutto, dove il giudizio che si riserva nei confronti di una persona di fiducia può cambiare dal giorno alla notte. Buona lettura!
(Recensione di Sara Martignoni)
19 Maggio 2018 | Pubblicazioni
Al centro di questo racconto breve vi è una donna, un corpo femminile che ogni mattina si guarda allo specchio e si confronta con una fotografia scattata da un uomo tedesco, Xander, che vuole costruire la sua immagine di donna giapponese. Da questo incipit parte la narrazione con un susseguirsi di metamorfosi che rendono labile il confine tra ciò che è reale e ciò che è surreale, grottesco, sogno. La percezione che la protagonista ha del proprio corpo viene trasmessa proprio attraverso queste trasformazioni, perciò la sua pelle si ricopre di squame e il bagno, inteso come l’uso dell’acqua, diventa un rito di purificazione e simbolo di rinascita.
La perdita della lingua, che è sia perdita della Zunge (l’organo muscolare) che della Sprache (il linguaggio), e il conseguente silenzio della protagonista rappresenta l’impossibilità di trovare corrispondenze tra il proprio sistema di significati e le parole esistenti nelle due lingue parlate (giapponese e tedesco). È alla ricerca di una propria identità che si frantuma nell’incontro/scontro con l’altro che la vede donna e straniera.
Yoko Tawada nasce a Tokio nel 1960 e in seguito agli studi di letteratura si trasferisce ad Amburgo. Scrive romanzi brevi, poesie, pièce teatrali e saggi letterari sia in tedesco che in giapponese. In tutte le sue opere uno dei temi centrali è la percezione e l’alterità del proprio Io e attraverso l’uso di entrambe le lingue cerca di decostruire cliché e immagini stereotipate.
Autore: Yoko Tawada
Traduttore: Lucia Aversa
Curatore: Lucia Perrone Capano
Editore: Ripostes
Collana: Dissomiglianze
Anno edizione: 2003
Pagine: 95 p.
(Recensione di Michela Squadraroli)
Commenti recenti