Tratto dal romanzo di Ryo Asai, (Ab)normal desire lancia una sfida alla società giapponese attraverso una critica non poco velata a tutti quei sistemi che confinano le persone in un’arbitraria condizione di “normalità”. Il film chiude la terzultima giornata del festival per quanto riguarda il panorama nipponico, in una premiere europea esclusiva che vede un gran numero di ospiti: ad essere presenti in sala ci saranno il regista affiancato da ben tre produttori del film.
La pellicola si muove attraverso l’intreccio di diversi personaggi, apparentemente appartenenti a mondi diversi ma accomunati nel profondo da un senso di estraneità nei confronti della società che li circonda. Kiryu Natsuki è una dipendente presso un negozio di elettronica all’interno di un centro commerciale. Svolge una vita di per sé fuori dagli schemi dell’ordinario, in quanto arrivata all’età di 30 anni non avrà un lavoro stabile e un marito, cosa che gli verrà rinfacciata in maniera più o meno passiva dalle varie conoscenze. Nonostante i suoi vecchi compagni di liceo, la sua collega di lavoro incinta e i vari programmi siano un costante reminder delle tappe “ordinarie”, Natsuki non sente minimamente il bisogno di doverle percorrere e solamente l’incapacità di rientrare in questi schemi le sarà motivo di grande sofferenza, portandola a vivere ai margini della società e a covare un sofferente desiderio di morte.
Natsuki però non è totalmente sola, o almeno smetterà di esserlo, quando giunge la notizia che il suo vecchio compagno di liceo, Sasaki Yoshimichi, che condivide con lei il loro più grande segreto: fin dai tempi del liceo, infatti, i due scoprono una particolare attrazione sessuale nei confronti dell’acqua che spruzza e scorre diramandosi in forme dinamiche. Dopo la scoperta di questo lato comune, i due riusciranno a trovare attraverso la loro unione il motivo per andare avanti. Trasferitasi a Yokohama insieme a Sasaki, Natsuki capirà infatti che bastava anche solo una persona tra tutte che la capisse per iniziare a credere di avere il diritto di poter vivere in questo mondo.
Contemporaneamente, Terai Iroki, un pubblico ministero inizierà a sviluppare malumori nei confronti della propria famiglia e si ritroverà in più situazioni incapace di comprendere i loro bisogni. Suo figlio, infatti, preferisce fare video online piuttosto che proseguire con gli studi a scuola. Ancora una volta viene scelto un percorso alternativo alla norma e ciò turba e spaventa profondamente Iroki, incapace di capire. Questa sua incapacità verso il finale del film lo metterà a dura prova: si troverà infatti di fronte a giudicare in maniera eguale due casi diversi di marginalità, convinto che siano entrambi della stessa natura nonostante uno sia innocuo e l’altro pericoloso. Sara proprio questo l’evento che lo porterà a capire la natura di tutti i suoi errori. Ormai divorziato e costretto a vivere in una casa senza sua moglie e suo figlio, Iroki aprirà gli occhi per la prima volta, nonostante sia troppo tardi.
Durante il Periodo Heian (794-1185), gli Onmyōji prosperavano nella corte imperiale, padroneggiando la divinazione, la magia e le arti mistiche. Nel coinvolgente film di Shimako Sato “The Yin Yang Master Zero”, ispirato alla serie di romanzi di Baku Yumemakura, questi praticanti, simili ad Hogwarts giapponese, addestravano apprendisti in varie discipline sotto un misterioso maestro (Kaoru Kobayashi).
A differenza delle precedenti rappresentazioni del leggendario onmyōji Abe no Seimei, interpretato da Mansei Nomura, il film di Sato lo presenta come un apprendista in cerca di vendetta per l’omicidio dei suoi genitori. Interpretato da Kento Yamazaki, Seimei si allea con il signor Hiromasa (Shota Sometani) e la principessa Yoshiko (Nao), mostrando i suoi poteri attraverso gesta affascinanti.
La narrazione si intensifica quando un artificiere viene trovato morto, implicando Seimei. Tra accuse e tradimenti, Seimei e Hiromasa intraprendono un viaggio soprannaturale, affrontando avversari mascherati mentre navigano nelle proprie psiche.
Il film di Sato va oltre gli standard di genere tipici con la sua presentazione visivamente sorprendente e una narrazione particolarmente immaginativa, presenrando un’opera con un’ottima combinazione di effetti speciali straordinari, coreografie di combattimento mozzafiato e una colonna sonora coinvolgente. Proprio come Takashi Yamazaki ha revitalizzato Godzilla, Sato si afferma come un regista visionario, sfidando le norme dell’industria e offrendo un’esperienza cinematografica unica.
Recensione di Mattia Viscogliosi, Simone Endo e Giada Imbuzan
In concorso per l’edizione del Far East Film Festival 26, Mihara Mitsuhiro esordisce a livello internazionale presentando il suo lungometraggio, Takano Tofu, in questa esclusiva Premiere Europea.
Prima della proiezione, dopo un eccentrico tentativo di comunicare con il pubblico in lingua italiana, il regista ha voluto offrire una panoramica delle tematiche chiave presenti nel film, quali l’importanza della famiglia e la grande dedizione verso il lavoro, tipica del popolo giapponese; valori che all’interno della pellicola vengono raffigurati attraverso la semplice ma efficace figura del tofu, uno degli alimenti che meglio rappresentano la cultura tradizionale culinaria dell’arcipelago.
La narrazione vede come sfondo il piccolo borgo portuale di Onomichi, nella prefettura di Hiroshima; tuttavia, questa scelta non è casuale in quanto il trauma provocato dalla tragedia storica della bomba atomica rimane ancora presente nella memoria collettiva. Ciò è fortemente percepibile in svariate conversazioni avvenute tra i personaggi.
I protagonisti del film sono Takano Tatsuo e sua figlia Haru, i quali possiedono un’attività a gestione familiare che produce tofu a livello locale. Dopo un’assidua ricerca da parte di Takano e i suoi amici di un marito che possa essere adatto ad Haru, i due troveranno a scontrarsi in seguito alla decisione della figlia di perseguire una relazione con un commerciante dalla mentalità imprenditoriale. Quest’ultimo non viene visto di buon occhio da parte del padre poiché propone di voler esportare il suo celebre tofu all’estero, violando quindi i valori del protagonista.
Conseguentemente a questo episodio vengono palesate le diverse ideologie dei protagonisti: Takano è un uomo anziano, portatore della visione di un Giappone tradizionalista, restio all’apertura nei confronti dell’estero. Haru, d’altro canto, rappresenta il volto di una mentalità progressista e pronta ad accogliere il cambiamento.
Contemporaneamente, il protagonista svilupperà un legame affettivo con una signora che incontra in ospedale, la quale sarà di fondamentale importanza per il suo sviluppo personale. Lei, difatti, lo porterà a capire il valore del rapporto con Haru, superiore ai suoi ideali conservatori.
A seguito di un’operazione chirurgica della signora per rimuovere un tumore causato dalle radiazioni trasmesse geneticamente, il loro rapporto si intensifica e il protagonista comprende l’importanza di esternare i sentimenti nei confronti di sua figlia.
Il film si conclude con un commovente dialogo tra Takano e Haru in cui i due si abbandonano ai loro sentimenti, attraverso una sentita e appassionante dichiarazione d’amore senza filtri.
L’opera, nonostante sia impregnata di concetti profondi e riflessivi, alterna momenti di comicità con episodi d’intenso coinvolgimento emotivo, rendendola scorrevole e piacevole alla visione.
“Long Season” dei Fishmans è un album che ha lasciato un segno indelebile nel panorama musicale giapponese del 1996, distinguendosi per la sua atmosfera sognante e le sue influenze dub e ambient. L’album è composto da un’unica traccia di 35 minuti che si sviluppa in diverse sezioni, creando un flusso di musica che passa dolcemente da momenti tranquilli a intensi crescendo.
La struttura non convenzionale di “Long Season” permette alla band di esplorare liberamente diverse texture sonore, combinando elementi di reggae, pop psichedelico e suoni ambientali. La voce del frontman Shinji Sato, leggera e eterea, si intreccia perfettamente con gli strumenti, aggiungendo un livello di profondità e trascendenza all’ascolto.
Sul fronte strumentale, l’album è notevole per le sue ricche texture di tastiera create da Honzi, le linee di basso complesse di Yuzuru Kashiwabara e le percussioni delicate e precise di Kin-ichi Motegi. Ogni componente è accuratamente bilanciato, dando vita a un’esperienza sonora che è al tempo stesso complessa e invitante.
L’album si distingue anche per la qualità della produzione, che permette a ogni dettaglio musicale di emergere chiaramente, senza che alcun suono prevarichi sugli altri. Questo equilibrio contribuisce a creare un’esperienza d’ascolto avvolgente e profondamente emotiva.
Long Season è un vero e proprio viaggio che si snoda attraverso paesaggi sonori mutevoli, aggiungendo sempre più dettagli ad ogni ascolto. È un’opera essenziale per chi cerca nella musica non solo intrattenimento, ma anche un’esperienza più profonda, capace di evocare emozioni durature.
“Long Season” dei Fishmans è un album che ha lasciato un segno indelebile nel panorama musicale giapponese del 1996, distinguendosi per la sua atmosfera sognante e le sue influenze dub e ambient. L’album è composto da un’unica traccia di 35 minuti che si sviluppa in diverse sezioni, creando un flusso di musica che passa dolcemente da momenti tranquilli a intensi crescendo.
La struttura non convenzionale di “Long Season” permette alla band di esplorare liberamente diverse texture sonore, combinando elementi di reggae, pop psichedelico e suoni ambientali. La voce del frontman Shinji Sato, leggera e eterea, si intreccia perfettamente con gli strumenti, aggiungendo un livello di profondità e trascendenza all’ascolto.
Sul fronte strumentale, l’album è notevole per le sue ricche texture di tastiera create da Honzi, le linee di basso complesse di Yuzuru Kashiwabara e le percussioni delicate e precise di Kin-ichi Motegi. Ogni componente è accuratamente bilanciato, dando vita a un’esperienza sonora che è al tempo stesso complessa e invitante.
L’album si distingue anche per la qualità della produzione, che permette a ogni dettaglio musicale di emergere chiaramente, senza che alcun suono prevarichi sugli altri. Questo equilibrio contribuisce a creare un’esperienza d’ascolto avvolgente e profondamente emotiva.
Long Season è un vero e proprio viaggio che si snoda attraverso paesaggi sonori mutevoli, aggiungendo sempre più dettagli ad ogni ascolto. È un’opera essenziale per chi cerca nella musica non solo intrattenimento, ma anche un’esperienza più profonda, capace di evocare emozioni durature.
“Long Season” dei Fishmans è un album che ha lasciato un segno indelebile nel panorama musicale giapponese del 1996, distinguendosi per la sua atmosfera sognante e le sue influenze dub e ambient. L’album è composto da un’unica traccia di 35 minuti che si sviluppa in diverse sezioni, creando un flusso di musica che passa dolcemente da momenti tranquilli a intensi crescendo.
La struttura non convenzionale di “Long Season” permette alla band di esplorare liberamente diverse texture sonore, combinando elementi di reggae, pop psichedelico e suoni ambientali. La voce del frontman Shinji Sato, leggera e eterea, si intreccia perfettamente con gli strumenti, aggiungendo un livello di profondità e trascendenza all’ascolto.
Sul fronte strumentale, l’album è notevole per le sue ricche texture di tastiera create da Honzi, le linee di basso complesse di Yuzuru Kashiwabara e le percussioni delicate e precise di Kin-ichi Motegi. Ogni componente è accuratamente bilanciato, dando vita a un’esperienza sonora che è al tempo stesso complessa e invitante.
L’album si distingue anche per la qualità della produzione, che permette a ogni dettaglio musicale di emergere chiaramente, senza che alcun suono prevarichi sugli altri. Questo equilibrio contribuisce a creare un’esperienza d’ascolto avvolgente e profondamente emotiva.
Long Season è un vero e proprio viaggio che si snoda attraverso paesaggi sonori mutevoli, aggiungendo sempre più dettagli ad ogni ascolto. È un’opera essenziale per chi cerca nella musica non solo intrattenimento, ma anche un’esperienza più profonda, capace di evocare emozioni durature.
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