Shoplifters || Recensione

Regia: Korēda Hirokazu
Durata: 121 minuti
Attori principali: Andō Sakura, Lily Franky, Jō Kairi
Anno: 2018

Shoplifters’ segue le vicende più quotidiane di una famiglia alquanto insolita, ma che nonostante lo stato di povertà in cui riversa, sembra vivere una vita tutto sommato tranquilla e felice, dove è proprio il forte legame familiare che questi condividono a costituirne la loro forza. 

Una nonna, un padre, una madre, una sorella, e un figlio, trascorrono le proprie esistenze all’interno delle quattro mura di una stretta casa della periferia di Tokyo, condividendo assieme spazi, cibo e ricordi. Per il proprio sostentamento però, la famiglia è talvolta costretta a ricorrere a qualche atto di taccheggio, che tuttavia nonostante l’illegalità della cosa, non sembra arrecare loro alcun problema morale, dopotutto “ciò che non è stato comprato non appartiene ancora a nessuno”.

È proprio durante uno di questi momenti che la famiglia ci viene presentata, con il padre e il figlio intenti a taccheggiare qualcosa da dentro a un supermercato, che grazie alla discrezione e all’ingegnosa comunicazione a gesti dei due, l’operazione finisce in successo. Sulla via del ritorno però, i due trovano appena fuori da una casa una bambina abbandonata, visibilmente infreddolita e affamata, e vedendo la scena decidono così di portarla a casa e adottarla. 

Nonostante la famiglia riesca appena a sostentarsi decidono comunque di offrirle rifugio, non mancando nel fornirle quell’amore e quel calore che non ha mai avuto. Anche in questo caso, adottare illegalmente una bambina non sembra essere per loro un problema, dopotutto “non è rapimento se non chiedi per un risarcimento”. 

L’opera ha un ritmo volutamente lento, intenta a mostrarci fin da vicino come questa famiglia trascorra la propria esistenza di tutti i giorni, poiché è proprio nella quotidianità e nelle piccole cose che questa riesce a trovare quella gioia e quella felicità che ne creano un così forte legame condiviso, ma mano a mano che si prosegue nella storia però, sempre più stranezze sembrano circondare la famiglia: perché il figlio non riesce a chiamare il padre ‘papà’? Perché i bambini non vanno a scuola? 

Questi e tanti altri misteri verranno svelati nel toccante finale, dove la vita apparentemente tranquilla della famiglia si rivela nelle sue fragilità. 

Shoplifters’ è una meravigliosa storia che ridefinisce il concetto di amore e legame familiare, e che narra le vicende di una famiglia apparentemente anti-convenzionale, ma che più di tutte è riuscita a imparare ad amarsi. 

Recensione di Giuliano Defronzo

The Chaser || AFS Spring 2023

L’associazione Takamori è lieta di annunciarvi il terzo film della rassegna AFS primaverile, in collaborazione con Asia Institute, martedì 7 marzo.

The Chaser” narra la storia di Joong-ho, un ex-detective ormai caduto in disgrazia, che per continuare a vivere gestisce un giro di prostitute. Mobilita la sua vecchia forza di polizia dopo che due sue impiegate scompaiono misteriosamente. Per acquistare i biglietti, visitate circuitocinemabologna.it, e se siete interessati alla rassegna, o volete maggiori informazioni, www.takamori.it, oppure sul nostro canale YouTube Associazione Takamori.

Per acquistare i biglietti cliccate qui o visitate il seguente link circuitocinemabologna.it!

Kobayashi Masaki Parte 1 || Akushon! – I Registi di JFS

Bentrovati! Questa è Akushon! La rubrica di Associazione Takamori sui registi giapponesi. Oggi vi parliamo di Kobayashi Masaki.

Se volete approfondire meglio la filmografia di Kobayashi Masaki continuate a seguirci per scoprire di più sulle opere menzionate nel video di oggi.
A presto!

Nel Paese delle Donne Selvagge || Recensione


Autore: Matsuda Aoko
Editore: Edizioni e/o
Traduzione: Gianluca Coci
Edizione: 2022

Matsuda Aoko esordisce nel 2013, inizialmente traduttrice, e in questa serie di racconti “Nel paese delle donne selvagge” (in originale Obachan tachi no irutokoro) ci porta all’interno del folklore giapponese riscritto in chiave moderna. L’autrice infatti reinterpreta leggende, storie della tradizione e commedie del teatro kabuki con protagoniste femminili stigmatizzate, traslandole nel mondo di oggi e dandone una visione femminista. I 17 racconti che inizialmente ci sembrano slegati tra loro rivelano con il proseguire della lettura una cornice che li collega. Matsuda Aoko afferma: 

Quando sono diventata adulta, mi sono anche resa conto di come queste vecchie storie riflettessero e incoraggiassero le persone a interiorizzare visioni misogine nei confronti delle donne, dato che la maggior parte delle volte queste storie erano scritte e raccontate da uomini. Quindi, pur amandole molto, ho sempre avuto sentimenti contrastanti nei loro confronti e, scrivendo Nel paese delle donne selvagge, ho voluto creare uno spazio in cui tutti i fantasmi femminili potessero divertirsi e trovare nuove vite.”

Ci racconta infatti una società ancora maschilista dove però le protagoniste riescono a liberarsi e ad esprimere il loro io più profondo abbracciando la propria natura attraverso i personaggi della tradizione. Inoltre, i racconti si delineano in stili diversi tra cui possiamo trovare la lettera, ma anche la narrazione in prima persona, possono avere un tono comico e nello stesso tempo drammatico senza risultare confusionari. I veri fantasmi raccontati in questa raccolta sono quelli in realtà creati dalla società capitalista e patriarcale come: i luoghi di lavoro dove le donne vengono continuamente sottovalutate, le critiche rivolte ad una madre single e il mondo industriale della bellezza che cresce grazie all’odio delle donne verso se stesse. 

Recensione di Chiara Girometti

Uchida Tomu Parte 2 || Akushon! – I Registi di JFS

Questa è Akushon, la rubrica dei registi di JFS. Seguiteci!

Bloody Spear at Mount Fuji (血槍富士, Chiyari Fuji) girato nel 1955 è un film in bianco e nero ambientato nel periodo Edo. Il samurai Sakawa Kojūrō è in viaggio verso Edo con i suoi due servitori Genta e Genpachi. Kojūrō è un padrone gentile, ma il suo carattere cambia totalmente quando consuma alcol. Sulla strada incontrano molte persone diverse: una cantante itinerante con il suo bambino, un padre che porta la figlia Otane a prostituirsi, un pellegrino, un poliziotto alla ricerca di un noto ladro e Tōzaburō, l’uomo sospetto su cui l’ufficiale ha messo gli occhi. Genpachi, il portatore di lancia, è seguito anche da un ragazzo orfano di nome Jirō che vuole diventare un samurai. Il film segue dunque le vicende di Kojūrō e dei suoi servitori che si intrecciano con quelle degli altri personaggi, seguite dalle varie peripezie e scontri per arrivare a un finale spiacevole, in particolare per il piccolo Jirō.

A Hole of My Own Making (自分の穴の中で, Jibun no ana no nakade) è un film drammatico del 1955. Tra costruzioni infinite e il rumore degli aerei, una famiglia il cui padre è morto si disintegra lentamente. Mentre la figlia Tamiko lotta contro i tentativi della matrigna Nobuko di darla in sposa all’incurante medico Ihura, il fratello Junjirō, costretto a letto, soffre per l’ex moglie Keiko, che lo ha lasciato per un altro uomo. Sebbene Ihura sia più interessato a Nobuko, ha una relazione di breve durata con Tamiko, che a sua volta si preoccupa solo del futuro status sociale e finanziario di Ihura. Seguono gli scontri tra la matrigna e i figliastri per quanto riguarda l’eredità e, infine, una sorprendente e amara rivelazione a Tamiko da parte del padre.

The Mad Fox è un film del 1962 È basato su un’opera bunraku del 1734. È noto per l’uso dell’estetica bunraku e kabuki, tra cui il joshikimaku (un tipo di sipario), le maschere, i costumi e i colori molto saturi, una rottura rispetto ai precedenti lavori di Uchida. Il Monte Fuji erutta, ricoprendo il cielo di un’inquietante tonalità rossa. Temendo un cattivo presagio, l’imperatore chiede consiglio all’astrologo Yasunori. Prima che Yasuhori possa recarsi a Edo e fornire le sue previsioni, viene brutalmente assassinato, lasciando dietro di sé un’eredità incerta. 

I suoi due apprendisti, Yasuna (Hashizo Okawa) e Doman (Shinji Amano), pretendono entrambi di ereditare il suo titolo. La narrazione prosegue coinvolgendo negli affari umani di un gruppo di kitsune, spiriti volpi mutaforma molto popolari nel folklore giapponese.

A Fugitive from the past è un film giapponese del 1965.     È un giallo basato sul romanzo Kiga Kaikyo (1962) di Tsutomu Minakami. Tre rapinatori fuggono con il bottino di una rapina, ma durante la fuga due di loro vengono uccisi dall’altro. I loro corpi vengono ritrovati sulla riva dopo un disastro marittimo, ma un poliziotto, Yumisaka (Junzaburō Ban), si insospettisce perché non figurano tra i passeggeri. Il rapinatore superstite Inukai (Rentaro Mikuni) viene ospitato da una prostituta, Yae (Sachiko Hidari). In cambio, il rapinatore le dà una grossa somma di denaro e lei può iniziare una nuova vita. Il poliziotto segue Yae a Tokyo sulle tracce del rapinatore, ma lei si rifiuta di collaborare con lui. Successivamente la vicenda prende una brutta piega fino ad arrivare al finale tragico.

E con questo siamo giunti alla fine del nostro approfondimento su Uchida Tomu. Vi aspettiamo tra due settimane con un nuovo regista con Akushon!

Aoyama Shinji Parte 1 || Akushon! I registi di JFS

Bentrovati! Questa è Akushon! La rubrica di Associazione Takamori sui registi giapponesi. Oggi vi parliamo di Aoyama Shinji.

Aoyama Shinji nasce il 13 luglio 1964 a Kitakyūshū, nella prefettura di Fukuoka. Da giovane studia letteratura inglese e americana alla Rikkyo University e grazie al corso di “Teoria dell’espressione cinematografica” inizia ad appassionarsi alla regia.
Dopo il conseguimento della laurea, lavora come assistente del regista svedese Daniel Schmid e nel 1995 esordisce alla regia del V-Cinema con Kyōkashon ni Nai.
Nel 1996 esce il suo primo lungometraggio Helpless, seguito nel 2000 da Eureka, grazie al quale vince il Premio della Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica e il Premio Ecumenico al Festival di Cannes dello stesso anno e il premio Mishima Yukio Award dopo averne fatto un romanzo.

Negli anni successivi dirige varie pellicole, tra cui Sad Vacation, che insieme a Eureka e Helpless va a costituire la “ Kitakyūshū Saga”. L’ispiratore di questa saga è il regista francese François Truffaut, talmente apprezzato da Aoyama da scegliere di utilizzare nei propri film uno dei personaggi creati da Truffaut stesso.
Grazie a Tokyo Park del 2011, che vede come protagonista Miura Haruma, vince il Pardo d’Oro Speciale della Giuria al 64° Festival Internazionale del Film di Locarno.
Nel giugno dello stesso anno Mark Schilling del The Japan Times descrive Aoyama come “un intelligente, dedito cinefilo che incorpora le sue influenze nei suoi film e al contempo sperimentando coi generi”.
Nel 2012 diventa professore alla Tama Art University presso il Dipartimento di Cinematografia, mentre l’anno successivo dirige Cannibalism, sua ultima pellicola.
Nella primavera del 2021 gli viene diagnosticato un cancro all’esofago, a causa del quale muore nel marzo 2022, alla giovane età di 57 anni.

Se volete approfondire meglio la filmografia di Aoyama Shinji continuate a seguirci per scoprire di più sulle opere menzionate nel video di oggi. A presto!