Avvolta da un’impenetrabile aura di mistero, “Il teatro fantasma”, opera pubblicata di recente da Sellerio Editore, raccoglie tre racconti del maestro del genere investigativo giapponese Yokomizo Seishi tradotti per la prima volta in italiano. Il talentuoso detective Kindaichi Kōsuke riesce a risolvere grazie alla sua arguzia casi complessissimi, tra macabri omicidi e inspiegabili sparizioni, raccogliendo con il suo occhio attento indizi apparentemente insignificanti e districando complessi intrecci di luoghi, sentimenti e personaggi.
Nel primo racconto, “Una testa in gioco”, il ritrovamento della testa recisa di una spogliarellista e la scomparsa apparentemente inspiegabile del resto del corpo aprono una lunga indagine che coinvolge il mondo distante dei night clubs della Tokyo degli anni ’50, fatto di sregolatezze, passioni e ombre inquietanti, capaci di proiettarsi molto lontano; un mondo di amanti e di protettori, di apparenze che ingannano e di luci che distorcono, celando loschi segreti che si riveleranno essere molto al di là dell’immaginabile.
Nel secondo racconto, “Il teatro fantasma”, il lettore si trova invece proiettato nell’universo del teatro kabuki. Il sesto senso del detective lo spinge a ricominciare a indagare su un vecchio caso: la scomparsa irrisolta del vecchio amico Raizō, acclamato attore kabuki, avvenuta durante uno spettacolo quindici anni prima. L’intuito dell’investigatore lo spinge a sospettare che qualcosa di grave avverrà durante una incombente rappresentazione commemorativa dello stesso spettacolo in cui il figlio dell’amico scomparso, divenuto nel frattempo un talentuoso giovane attore e adottato a sua volta il nome di scena di Raizō, reciterà nello stesso ruolo del padre proprio il giorno dell’anniversario della sua scomparsa. La narrazione si svolge su due fili paralleli e complementari: uno cerca di ricostruire e comprendere il passato, attraverso continui flashback e il dialogo con vecchie conoscenze, l’altro si svolge nel presente e tenta tanto di sventare quanto di risolvere i crimini, in un’atmosfera di suspense costante e di frenetica tensione. Lo spazio marginale di un teatro in rovina, su cui una serie di eventi sinistri e inspiegabili proiettano un’atmosfera quasi spettrale, ben lontana dai fasti di un passato non troppo remoto, costituisce la suggestiva cornice in cui si svolge la narrazione che con il suo incalzare sempre più vertiginoso ci trasporta in una realtà a prima vista indecifrabile, un labirinto di bugie, finzioni, travestimenti e messinscene su cui si proiettano i mostri ancora irrisolti del passato. Dietro (o meglio, sotto) il mondo artificiale del palcoscenico si celano nell’ombra entità ignote, pronte a colpire nella maniera più subdola, covando rivalità e rancori passati, progettando in segreto losche trame; ma allo stesso modo vi si trovano gli affetti umani più puri e commoventi, come la devozione di chi non ha mai rinunciato a trovare un vecchio amico nonostante il trascorrere inclemente degli anni o la speranza di una sorella che crede ancora di poter riabbracciare il fratello perduto. E il mistero viene complicato ancora di più dal fatale flusso degli eventi, dallo svolgersi imparziale della Storia che sconvolge il mondo e travolge le vite dei personaggi. Il Secondo Conflitto Mondiale interferisce in maniera ambivalente con l’avanzare della narrazione: impedisce infatti per anni l’avanzamento delle indagini, ma fornisce anche, casualmente, indizi fondamentali e permette di scoprire verità insospettabili, mentre la sua lunga ombra si proietta minacciosa ad anni di distanza sul fluire degli eventi. A impreziosire ulteriormente questo racconto è il riferimento costante al teatro kabuki, che tradisce la profonda conoscenza dell’autore in materia e contribuisce ad alimentare un’atmosfera di irrealtà e di finzione, intensificando la dimensione drammatica e, appunto, teatrale dell’intero racconto.
I fatti narrati ne Il Corvo si svolgono invece lontano dalle luci della capitale, portando in scena la realtà di un Giappone rurale. Ambientato nello spazio chiuso della provincia, nei pressi di un santuario shintoista in declino, quest’ultimo racconto indaga una misteriosa sparizione avvenuta in seno a una famiglia benestante della zona, inestricabilmente legata al santuario e alla sua divinità. Qui traspare una maggiore attenzione per lo spazio familiare percepito non come luogo idealizzato di armonia ma come una realtà sfaccettata, caratterizzata da rapporti interpersonali spesso indecifrabili e interessi contrastanti; il mistero si svolge in uno spazio sacro e si arricchisce di una dimensione più spirituale, fondendosi con la profonda fede nella divinità del santuario e con l’alterità quasi arcana degli sconfinati e reconditi spazi montani. Una fuga inspiegabile dal perimetro chiuso del tempio sacro, una lettera criptica rinvenuta subito dopo sull’altare e soprattutto la blasfema uccisione di un corvo, messaggero sacro della divinità del tempio, nello spazio nascosto di un eremo di montagna consacrato al Buddha contribuiscono a circondare la narrazione di un’aura di sacralità, facendo penetrare in ogni suo aspetto una vena di profondo esoterismo. Mantenendo però immutata la lucida razionalità che lo contraddistingue, il detective Kindaichi Kōsuke riesce a venire a capo del difficile caso, scoprendo –anche grazie a un insospettato aiuto esterno- una verità terribile e inaspettata, oltre che ben lontana da qualunque spiegazione sovrannaturale. Sullo sfondo, a muovere gli eventi, le passioni e le credenze di un Giappone ancora lontano dalla frenesia della vita cittadina.
Tre racconti diversi quindi per ambientazione e per personaggi, tenuti insieme dai temi comuni dell’investigazione, del crimine e del mistero. Oltre a saper intrattenere con maestria il lettore mediante un’articolazione sapiente della narrazione, che permette di mantenere sempre alta la suspense e di catturarne l’attenzione, e attraverso un uso magistrale e coerente dei colpi di scena, l’opera riesce a fornire una descrizione efficace e suggestiva della società giapponese dell’epoca, gettando luce in particolare sui suoi paurosi coni d’ombra, sui suoi spesso dimenticati spazi marginali e sui traumi che hanno contribuito a plasmarla, come la ferita ancora sanguinante della difficile esperienza bellica. Radicata saldamente nel contesto nipponico, la sua analisi lucida delle passioni e delle bassezze umane la rende però pienamente capace di rivolgersi a un pubblico universale.
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