Autore: Oyamada Hiroko
Anno di pubblicazione: 2021
Traduzione: Gianluca Coci
Editore: Neri Pozza
Yoshiko è una giovane neolaureata in ambito umanistico che, seppur con un certo timore, accetta di lavorare per una fabbrica in città, nonostante il contratto a tempo determinato e le tante domande senza risposta circa quel luogo oscuro. La sua mansione? Distruggere documenti inserendoli in un macchinario, per tutto il giorno, dalle 9 alle 17:30. La stessa Yoshiko si chiede se una mansione del genere meriti addirittura uno stipendio.
Anche Yoshio inizia a lavorare per la fabbrica, come biologo esperto di muschi. La sua mansione? Dirigere l’ambiguo ufficio “sviluppo tetti verdi” totalmente da solo, dal momento che prima del suo arrivo tale ufficio nemmeno esisteva. È davvero questo lavoro ciò per cui dovrebbe gioire un giovane brillante come lui, secondo il professore universitario che lo aveva incoraggiato ad accettare l’offerta? Non vede come ciò sia meglio di fare ricerca nella sua piccola e poco rinomata università.
Ushiyama, invece, aveva già un lavoro stabile, circondato dai computer, oggetti per cui aveva dedicato praticamente tutto se stesso, ma un licenziamento in tronco senza alcuna spiegazione lo ha condotto alla fabbrica. La sua mansione? Correggere bozze al reparto “dati e documenti” della fabbrica. Da circuiti, schede madri e schermi a tradizionali carta e matite, tutto il giorno, anche quando errori nelle bozze non ce ne sono. Dovrebbe ritenersi fortunato? Non sa bene cosa pensare.
La fabbrica è lo specchio della condizione lavorativa del Giappone contemporaneo, la rappresentazione di come dedicarsi solo ed esclusivamente al lavoro sia a dir poco alienante e controproducente. Nonostante la fabbrica sia grande e rifornita come una città, nonostante goda di un apparato di risorse umane a dir poco eccellente, nonostante i servizi che offre. I tre protagonisti, infatti, si sentono a dir poco dei pesci fuor d’acqua in mezzo ai colleghi che paiono perfettamente integrati – e sottomessi – alla mole e alle condizioni di lavoro di quel luogo così strano, inquietante e ricoperto quasi da un velo mistico. Si troveranno spesso a riflettere sulla loro condizione, osservando la natura che circonda quegli edifici, e il ponte a due corsie così grande da creare un senso di vertigine, specialmente in Yoshiko, alla sola vista. Chissà cosa si cela al di là di quel ponte, e cosa sono questi uccelli strani…e perché mai dovrebbero esserci le nutrie? In Giappone, poi. Oh, e qualcuno ha mai capito di che cosa si occupi la fabbrica? – l’immaginazione è tutto ciò che resta ai tre giovani.
La scrittura di Oyamada rende questo libro una lettura a dir poco innovativa e accattivante, volutamente lenta e “monotona”, raccontando anche fatti all’apparenza poco importanti, e rendendoci partecipi dei pensieri di ogni personaggio. Il fine è quello di suscitare nel lettore lo stesso senso di alienazione provato dai tre protagonisti, il ritrovarsi totalmente spaesati e vedere le proprie certezze crollare di fronte a una realtà ben diversa da quella a cui si è abituati secondo le tipiche narrazioni. Si è, di conseguenza, invogliati a voltare pagina, con la curiosità e l’impegno di voler sapere di più circa quella strana fabbrica.
Il finale, come spesso accade nella letteratura giapponese, è aperto, ma l’idea di fondo della denuncia sociale è assolutamente tangibile: l’autrice illustra le condizioni che moltissimi giovani sono costretti ad accettare, senza alternative, a fronte di una società che basa il valore degli esseri umani sul possedere un contratto a tempo indeterminato in una grande azienda, possibilmente una multinazionale. Oyamada provoca il lettore, lo invita ad aprire gli occhi davanti al problema che, come comunità umana, si ha e si deve affrontare, e lo fa con un racconto breve, da leggere in un fine settimana, ma che aleggerà nei vostri pensieri per ben più tempo.
Una lettura totalmente consigliata per esplorare gli aspetti più sociologici del Giappone odierno.
Recensione di Alessandra Bertonazzi
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