“Non sarebbe mai dovuto tornare, pensò amareggiato, ma ormai era troppo tardi”

“La foresta nascosta” è la storia di Kōsuke, uomo giapponese trasferitosi a New York per lavoro. La sua vita tranquilla viene sconvolta dalla notizia della morte del padre, con cui non aveva più contatti da anni; decide di tornare in Giappone e si trova costretto ad ereditare il tempio Shintoista di famiglia. Diviso tra i propri doveri di Kannushi e la sua vita negli Stati Uniti, Kōsuke cerca con grandi difficoltà di trovare una soluzione che possa soddisfare tutti, sé stesso incluso.

La trama è caratterizzata da un misto tra romanzo psicologico ed elementi tipici del giallo. Il dilemma interiore di Kōsuke è reso ancora più complesso dall’entrata in scena di personaggi  quasi surreali come Akemi e Andō, e dall’irruzione della Yakuza che cerca di comprare il tempio di famiglia. L’incontro di questi elementi narrativi è però gestito molto bene, al punto da intensificare i momenti più intimi ed emotivi che coinvolgono gli attori principali: nello specifico, oltre al protagonista, la sua compagna Kirsten e sua sorella Asako sono dei personaggi molto veri, con cui è facile empatizzare, anche quando commettono errori.

Nel corso della storia, Kōsuke cerca di raccattare da qualunque personaggio che incontra le memorie di suo padre, scoprendo che tipo di persona fosse, cosa pensava di lui mentre era all’estero e come ha affrontato la vita e le difficoltà economiche del santuario fino alla sua morte. Nonostante sia un personaggio già morto a inizio storia, ha un’influenza costante e duratura sugli eventi e suo figlio non può permettersi di ignorare la cosa, deve anzi scontrarsi costantemente con le proprie mancanze, la sua assenza da casa, e il rimpianto di non aver mai riallacciato i rapporti con suo padre.

L’occhio di Kōsuke per l’architettura è un ulteriore elemento fondamentale per la storia. Non solo nota con attenzione ogni singolo dettaglio del proprio tempio e degli altri che visita, ma la sua esperienza negli Stati Uniti gli fa riconoscere quanto il Giappone contemporaneo stia cambiando. Molti templi della sua infanzia sono o stati distrutti, o riammodernati in grattacieli all’occidentale e lui si scopre profondamente ferito dalla cosa. Nonostante abbia vissuto per almeno sette anni a New York, un simbolo della “modernità”, appena mette piede in Giappone diventa quasi un conservatore.

Con questo libro, l’autrice riflette su come una parte della nostra terra natia resti sempre con noi, anche inconsciamente. Il Kōsuke in Giappone è completamente diverso da quello in America. Radhika Jha stessa, infatti, ha vissuto per anni in Giappone: ha visto lo scontro tra tradizione e moderno, ha visto i templi Shintoisti venire venduti per profitto, e probabilmente ha vissuto anche il conflitto interiore che coinvolge l’intero romanzo dall’inizio alla fine.

Il conflitto che caratterizza l’intera storia non riceverà mai una risposta definitiva. L’unica persona che può davvero sapere cosa vuole è Kōsuke stesso e nessun altro. 

Recensione di Biagio Furno