IL GIGANTE SEPOLTO- ISHIGURO KAZUO
Bentornati nella nostra rubrica dedicata alle recensioni letterarie! Oggi ci avviciniamo al neo-vincitore del premio Nobel alla letteratura Kazuo Ishiguro. Il romanzo che vi presentiamo è ambientato pochi anni dopo la morte di Re Artù, in Inghilterra in un villaggio non meglio precisato dove vivono due anziani, Axl e Beatrice. I due condividono un profondo amore da ormai decine di anni; amore di cui però non ricordano l’origine. Le cause di questa mancanza sono da addebitare ad una fitta nebbia che pervade il territorio e che intorpidisce la memoria delle persone cancellandone i ricordi in modo quasi definitivo. I due protagonisti, spinti da un lontano ricordo dell’eistenza di un figlio trasferitosi in un villaggio vicino, decidono di mettersi in viaggio per raggiungerlo. Così facendo sperano di ottenere maggiori informazione riguardo la perdita di memoria che affligge tutti gli abitanti della zona. Durante questa avventura i due incontreranno numerosi personaggi che saranno fondamentali per lo sviluppo degli eventi e che costringeranno i due innamorati a cambiare spesso meta del proprio viaggio. Verranno inoltre a contatto con tutte le creature fantastiche che caratterizzano il ciclo arturiano: orchi,folletti,draghi e figure leggendarie. Questi elementi sovrannaturali però non vengono presentati canonicamente come in un romanzo cavalleresco, ma vengono mostrati sotto una luce diversa, che mi ha colpito particolarmente. Il tema principale dell’opera verte però sulla memoria, sul ruolo che essa ricopre nelle nostre vite, sulla fallibilità e l’importanza dei ricordi. Di come ad essi a volte si possa preferire un ingenuo oblio capace di alleggerire il peso del cuore umano. Axl e Beatrice oscillano infatti per tutto il romanzo dalla volontà di recuperare le memorie perdute, alla paura delle conseguenza recate dal loro eventuale riaffiorare; interpretando così le paure radicate nell’animo umano. Ed è proprio per questa grande introspezione psicologica unita ad elementi fantastici del mondo cavalleresco medievale che consigliamo vivamente a tutti la lettura di questo entusiasmante romanzo.
(Recensione di Giacomo Becchi)
UNA STORIA CRUDELE – Natsuo Kirino
Una lettera improvvisa da parte di Kenji.
Un evento che, dopo tanti anni, sconvolge la vita dell’ormai affermata scrittrice giapponese Koumi Narumi, riportando a galla i fantasmi di un trauma subito e mai veramente dimenticato. E poi un dattiloscritto intitolato “Una storia crudele” lasciato nel computer per il marito. Così Koumi fa perdere tracce di sé, lasciando soltanto quel racconto autobiografico in cui svela ciò che successe ad essa stessa molti anni prima quando era ancora una bambina, e il suo nome era Keiko.
Questo è l’espediente che Kirino Natsuo utilizza per rendere originale una storia morbosa e perversa che potremmo definire quasi un “metalibro”, un racconto nel racconto, in cui le voci narranti sono molteplici e si mescolano a creare un senso di sospensione tra finzione e realtà, in un gioco di bilance dove l’ago oscilla tra la verità romanzata di Keiko/Koumi, la verità espressa nella lettera di Kenji, e la verità del marito che, nel consegnare il dattiloscritto all’editore, ne svela l’inverosimilità dei fatti narrati.
Keiko ha soltanto 10 anni quando, finita scioccamente a vagare di notte in un quartiere di provincia ,viene rapita da un aberrante operaio venticinquenne di nome Kenji, che la terrà con sé per più di un anno. Un anno di prigionia raccontato in prima persona dalla scrittrice ancora bambina, Keiko, in cui alla fine dei conti è il gioco d’ombre tra realtà e fantasia a farne da protagonista e da collante per tutto il romanzo. Un anno in cui la ragazzina racconta le oscenità subite a causa dello psicopatico Kenji, il rapporto malsano che col tempo si instaura tra i due, nemici di giorno e amici di notte, e le speranze che aveva riposto in Yatabe, vicino di casa di cui la bambina era a conoscenza e che idealizzava come possibile salvatore. Speranze che vengono totalmente distrutte nel momento in cui scopre la complicità di Yatabe con Kenji, il quale lo lasciava spiare le atrocità commesse su di Keiko da un foro in una parete.
Un mistero che si infittisce pagina dopo pagina, che si intreccia in psicologismi a volte incomprensibili e a volte osceni, e che allo stesso tempo si riempie di buchi, colmati nel romanzo dalla fantasia della bambina, e nella realtà da quella del lettore. Dopo la liberazione, la bambina rifiuterà ogni forma di collaborazione nel rendere noti i fatti avvenuti durante quei tredici mesi, quasi a voler conservare in modo pudico gli ultimi stracci di dignità che sente rimasti. Il trauma e l’impossibilità di superarlo fa sì che la ragazzina veda ogni cosa come doppia, ambivalente: la madre, il padre, i vicini, i compagni. Tutti i personaggi hanno una doppia natura per cui è impossibile fidarsene del tutto. Persino i genitori, il medico, gli investigatori hanno due facce così come l’aguzzino era cattivo di giorno e buono di notte. Ma anche la bambina, io narrante, ha una doppia identità. Odia Kenji ma contemporaneamente lo ama, gli è amica. La vittima diventa anche lei inaffidabile per il lettore: è incapace di dire tutta la verità senza cambiarla. Una lettura dal meccanismo tortuoso, ma ben sviluppato, che vi terrà incollati dalla prima all’ultima pagina!
(Recensione di Gioia Pettinari)
LA NOTTE DIMENTICATA DAGLI ANGELI – NATSUO KIRINO
Autore: Kirino Natsuo
Editore: Neri Pozza
Traduzione: Gianluca Coci
Collana: I Neri
Anno edizione: 2016
Pagine: 442
Natsuo Kirino lascia che ad aprire questa sua opera sia una scena i cui contorni, in un primo momento sfumati e leggeri, non tardano a cambiare tono, a caricarsi d’improvvisa pesantezza ed ad assumere le sembianze di uno stupro di gruppo. La vittima si chiama Isshiki Rina ed ad osservare quanto le accade sono due donne. A filtrare la violenza di cui sono testimoni è uno schermo, quello del televisore posto nel salotto di una delle due: l’investigatrice privata Murano Miro. Il presunto crimine ha un nome, Ultraviolence, e una forma ben precisa, quella rettangolare di una videocassetta. A procurarsela è stata l’altra donna, Watanabe Fusae, e se ora sono lì, insieme, a guardarla è perchè Watanabe intende affidare a Murano l’incarico di rintracciare Isshiki Rina. Ragione alla base di questo suo proposito sembra essere più la possibilità di sfruttare la testimonianza della ragazza per far scoppiare un caso di rilevanza nazionale nei confronti della Create Pictures, casa di produzione di Ultraviolence, che non la volontà di salvare Rina dal baratro nel quale sta affondando. Miro accetta il lavoro, è quasi al verde ed un po’ di soldi certo non le guastano. Il proseguo dell’indagine porta il lettore a contatto con l’essenza più cruda di una realtà che esiste tanto là fuori quanto dentro di ciascuno di noi; essenza conoscibile solo empiricamente e che troppo spesso, prigionieri della nostra supponenza, finiamo prematuramente per essere convinti d’aver compreso. Torniamo però ora sui nostri passi, al momento in cui gli ingranaggi dell’investigazione condotta da Murano Miro sono sul punto d’iniziare a muoversi. Da un lato abbiamo esponenti del mondo dell’intrattenimento per adulti, persone il cui intento è fare in modo che l’esistenza di Isshiki Rina rimanga sospesa in un limbo teso tra il reale ed un mondo, quello della pornografia, altro, estraneo, una sorta di eco lontano, flebile, che si perde nella sfuggevolezza dei suoi confini. Dall’altro lato chi si mobilita alla sua ricerca pur non essendo mosso da un autentico desiderio di trovarla. Nel mezzo, chissà dove, una ragazza completamente abbandonata a sè stessa.
(recensione di Samuele Verona)
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