Salve a tutti, amanti della musica giapponese!
Oggi parliamo di un pianista e compositore jazz giapponese, Ryo Fukui, e nello specifico vi presenteremo il suo album di debutto, intitolato “Scenery”.
-Inquadriamo però prima brevemente l’artista: chi è (o meglio, era) Ryo Fukui?
Il compositore giapponese nasce il 1° Giugno dell’anno 1948 a Biratori, Hokkaidou. La sua formazione musicale come pianista è prettamente di natura autodidatta, e comincia a suonare verso l’età dei 22 anni. Si dilettava spesso a suonare nel jazz club “Slowboat” a Sapporo, al quale dedicherà persino un album interamente live dal titolo “A Letter from Slowboat” (di cui consiglio vivamente l’ascolto, nonostante non sia il tema centrale del giorno)* Altri locali famosi in cui suona sono il “Pit Inn” (Shinjuku), il “Sometime” (Kichijouji) ed il “Jazz Inn Lovely” (Nagoya).
*Qui il link per chi fosse interessato all’album sopraccitato->
https://www.youtube.com/watch?v=kVV_z1lBNLo
Ryo Fukui si appassiona, come molti altri giapponesi all’epoca, al mondo del Jazz e alle sue infinite declinazioni grazie all’influenza statunitense del post-guerra, seguendo le orme dei più famosi jazzisti americani, quali Bill Evans, Miles Davis e John Coltrane. A partire dalla seconda metà del Novecento, di fatto, mentre il pubblico nord-americano andava sempre più assottigliandosi, stava gradualmente (e, se vogliamo, anche paradossalmente) aumentando il numero di seguaci di questo stile musicale dalle origini così “umili” in tutto il resto del mondo, ed in particolare nel paese del Sol Levante. Fu così che, mentre gli americani cominciarono ad addentrarsi verso generi apparentemente più creativi, come ad esempio il Rock, il Funk e il Soul, cominciando a mettere da parte la musica Jazz, che veniva considerata oramai superata dai più, vari artisti europei e non iniziarono invece a scoprire ed ampliare tale genere, creando varianti quali lo smooth jazz (assimilabile ad un jazz di taglio mainstream e nominato anche “jazz alleggerito”) e il cosiddetto acid jazz. Ciò che permise al pianista e compositore di Hokkaidou di studiare liberamente questo tipo di musica fu il fatto che, non essendo ostacolato né limitato dalla visione negativa che l’America ormai aveva del jazz, poté creare (o meglio ricreare) un jazz puro, convertendosi così in un vero e proprio pilastro della cultura musicale di stampo jazz nel contesto giapponese. Purtroppo il suo lavoro venne dimenticato per molti anni, e tornerà ad essere ascoltato soltanto agli inizi del 21esimo secolo. Ryo Fukui morirà il 15 Marzo del 2016 a Sapporo, a causa di un linfoma.
-Adesso passiamo finalmente all’album in questione, Scenery**
Tracce:
1-It Could Happen To You (0:00)
2-I Want To Talk About You (4:16)
3-Early Summer (10:49)
4-Willow Weep For Me (21:34)
5-Autumn Leaves (29:17)
6-Scenery (35:49)
**Qui il link per ascoltare l’album completo->
https://www.youtube.com/watch?v=Hrr3dp7zRQY
Scenery, oltre ad essere di fatto l’album di debutto del compositore giapponese, rappresenta anche un’opera di jazz nella sua forma più pura ed incontaminata.
Si presenta come un trio, dove abbiamo ovviamente Ryo Fukui al pianoforte, Satoshi Denpo al basso e Yoshinori Fukui alla batteria. Il primo brano, It Could Happen To You, si ispira ad un brano reso popolare da Frank Sinatra e Bing Crosby (per non menzionare altri nomi noti, quali Chet Baker o Miles Davis) nella metà circa degli anni ’40. Melodia tranquilla ma allegra allo stesso tempo, con molti assoli (o solos in gergo tecnico) che rendono il pezzo ancora più interessante e piacevole da ascoltare. Dopodiché abbiamo la canzone I Want To Talk About You, ispirata invece al grandissimo John Coltrane, si potrebbe definire come un vero e proprio capolavoro di modal jazz (o jazz modale), ovverosia un sottogenere del jazz la cui la caratteristica principale si può ritrovare in una melodia che svincola le regole di compatibilità fra accordi e tonalità e che, dunque, si basa sull’idea di fondo secondo cui gli accordi non devono corrispondere (o comunque, non necessariamente) alle regole dell’armonia tonale del brano. L’album raggiunge poi un crescendo (ossia un aumento dell’intensità del suono) con il terzo pezzo, Early Summer. Qui abbiamo un assaggio degli anni ’60 con quello che viene chiamato blue note, là dove per blue note (detta anche worried note) intendiamo una nota identificabile nella scala del DO con le 3 note MI, SOL e SI, che viene suonata (o cantata) abbassata di un semitono, ovvero in maniera calante. Si parla di nota blu per via dell’associazione meramente linguistica che si ha in lingua inglese tra il colore blu ed il senso di tristezza e nostalgia tipico della musica afro-americana (o black music), e quindi tipico della musica jazz e soul (non dobbiamo però dimenticarci anche altri stili altrettanto significativi come il Reggae, il Funk, ma anche lo Swing, il Gospel, l’R&B, fino ad arrivare al Rap). Verso la metà circa della canzone assistiamo però ad una forte transizione musicale da un ritmo più lento e calmo ad un ritmo più rapido e sostenuto, come si può notare anche dall’ascolto del pezzo, fino ad arrivare ad un assolo finale che dura un paio di minuti. Si tratta di un assolo apparentemente caotico ma non casuale, e soprattutto che non risulta mai pesante o forzato all’ascolto. Il brano, dopo un ulteriore assolo da parte del batterista, si chiude in maniera circolare con un riff (cioè una frase musicale o successione di note generalmente breve e con una propria identità espressiva, che si ripete più volte all’interno di una stessa composizione, per lo più utilizzata come accompagnamento o per conferire più musicalità ad un testo, anche se a volte può costituire il nucleo centrale del brano stesso) molto simile a quello presente anche nella intro. Successivamente, dopo altri due pezzi modali (vedi sopra per definizione) che sono appunto Willow Weep For Me e Autumn Leaves, l’album si conclude con Scenery, da cui prende il nome. In quest’ultimo brano musicale ritroviamo uno stile più ordinato e preciso, che si basa adesso molto meno sul legato usato in precedenza (con il termine legato intendiamo uno stile musicale che prevede che le varie note siano riprodotte “accostate” l’una accanto all’altra senza interruzioni, in modo che il suono sia appunto legato e non “spezzato”), e che rappresenta una sorta di fusione tra i 2 stili principali che compongono l’intera opera, ossia uno più gioioso e allegro, e l’altro più lento e solenne.
Per concludere questa recensione, infine, non mi rimane che consigliarvi l’ascolto di questo fantastico artista e del suo album, capace di far innamorare sia gli appassionati del genere jazz, sia chi ha intenzione di approcciarsi ora al meraviglioso mondo della musica giapponese, sia chi semplicemente si ritiene curioso di voler esplorare nuovi orizzonti e nuove culture. Vi assicuro che non ve ne pentirete affatto!
Detto questo vi ringrazio per l’attenzione e, sperando abbiate gradito la lettura, posso solamente dirvi: alla prossima, minna!
(Recensione di Simone Cozza)
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