Kitano Takeshi parte 2 || Meijin Film Directors

Bentornati a Meijin Film Directors, la nostra rubrica dedicata ai registi giapponesi! Oggi continueremo a parlarvi di Kitano Takeshi.

Sonatine“, film del 1993 è la classica storia Yakuza che si mischia ad una visione disillusa della vita.
Il criminale Murakawa e i suoi scagnozzi, vittime di un’imboscata sull’isola di Okinawa si rifugiano in una casa al mare, dove attendono impotenti il loro destino.
A tratti surreale, il film mostra personaggi che riscoprono la loro innocenza nella realtà deludente in cui vivono, su una spiaggia in cui il tempo sembra scorrere all’indietro.

Quattro anni dopo esce “Hanabi“, la pellicola che rese Kitano famoso a livello internazionale.
Nella trama si intrecciano le vite di due poliziotti, Nishi, alle prese con un debito da saldare e Horibe, paralizzato in un’operazione di polizia.
Solo l’arte e la violenza possono salvare le vite dei due protagonisti, così, tra il sangue e la tempera usata per dipingere, il rosso diventa il colore della purificazione.

Nel 2010, viene rilasciato “Outrage“, primo film dell’omonima trilogia. Qui Kitano non si risparmia con le scene cruente, che rappresentano l’essenza del mondo cinico e spregiudicato della Yakuza.
Non c’è più traccia della visione romantica del mondo criminale; ciò che resta è una lotta selvaggia per mantenere il potere o per spodestare chi già lo possiede.

Continuate a seguirci per altre novità e aggiornamenti sul cinema e sui registi giapponesi!

Sukiyaki Western Django || Recensione

Regia: Miike Takashi

Anno: 2007

Cast: Quentin Tarantino, Itō Hideaki, Kimura Yoshino et al.

Durata: 2 ore

Genere: Spaghetti Western

Colorato, originale e anarchicamente caotico, “Sukiyaki Western Django” rappresenta uno dei capolavori indiscussi dell’ampia produzione cinematografica di Miike Takashi. Con tinte ispirate ai classici Spaghetti Western, il regista ci propone un’inaspettata rivisitazione di un epos centenario saldamente radicato nella tradizione nipponica: lo storico scontro tra i Genji e gli Heike, calato nel film in un piccolo villaggio che pare uscito direttamente dai migliori film di Sergio Leone, fa infatti da sfondo e rappresenta il motore principale della trama. Dopo due secoli di battaglie, l’arrivo di un abile e misterioso pistolero sconvolgerà drasticamente i sottili equilibri del conflitto tra le due fazioni, riportando alla luce misteri dal passato e rancori apparentemente sopiti.

Dopo un inizio relativamente lento, il film è caratterizzato da un ritmo che si fa sempre più incalzante, in un turbinio di eventi contrastanti che si sovrappongono e si intrecciano senza tregua quasi sopraffacendo lo spettatore. Dietro la polvere di truculente battaglie, espressione cruda di un gusto tutto takashiano per uno splatter ai confini con il comico, emergono personaggi bizzarri, titanici nel loro essere ridicoli, veri e propri monumenti alla follia. Alla violenza onnipresente, agli eccidi volontariamente esagerati, alle risse da saloon e alle generose profusioni di litri di sangue delle sparatorie si affiancano senza nessun contrasto le tematiche dell’amore e del sacrificio.

Si tratta di un’opera fortemente autoironica che conosce e gioca con i limiti e con i topos del genere Western, portandoli alle loro estreme conseguenze: elementi tipici come la vendetta sono presenti e hanno un ruolo centrale nella trama ma sono manovrati con sapienza e con consapevolezza comica dal regista, che li svuota della loro valenza tipicamente drammatica e li spinge fino all’estremo, li deforma ben oltre il limite del risibile.

Elemento costante e unico dell’opera evidente già dal titolo è un tentativo costante di nipponizzare il genere, di avvicinare e fondere la tradizione prevalentemente occidentale del Western con l’elemento tipicamente giapponese. In questo modo si spiega una delle scelte stilistiche più evidenti e marcanti dell’intera opera: l’uso di un particolarissimo e sperimentale impasto linguistico, un inglese dall’accento e dalle forme marcatamente giapponesi, incrocio di due mondi che pur rendendo a tratti difficoltosa la comprensione contribuisce a dare ai dialoghi una connotazione particolarissima e rafforzare di volta in volta le possibilità drammatiche o comiche del linguaggio. Così come contribuisce ad avvicinare i due mondi il frequente riferimento alla Guerra delle Due Rose, autentica ossessione del personaggio di Kiyomori, vero esteta che vive (e muore) irriducibilmente fedele all’affinità che sente con il personaggio shakespeariano di Enrico IV.

Elemento d’eccezione è poi la presenza in qualità di attore di un inaspettato Quentin Tarantino, che apre il film e contribuisce in maniera decisiva alla sua conclusione.

“Sukiyaki Western Django” è quindi una pellicola estremamente singolare, movimentatissima, figlia unica e irripetibile dell’incrocio tra la tradizione tutta italica degli Spaghetti Western e il genio cinematografico di Miike, difficilmente dimenticabile nel suo sperimentalismo e sinceramente imperdibile per tutti gli affezionati e gli amanti del genere.

Recensione di Mattia Natali

Takeshi Kitano parte 1 || Meijin Film Directors

Benvenuti! Questa è Meijin Film Directors, la rubrica Takamori sui registi giapponesi, e oggi vi parleremo di Kitano Takeshi.

Kitano nasce ad Adachi, Tokyo nel 1947 ed è il più giovane della famiglia.
Fu cresciuta da una madre molto severa ed esigente, tanto da paragonare la sua vita a vivere nella yakuza, racconta che nel suo vicinato i bambini ammiravano solo giocatori di baseball e yakuza, cosa che poi influenzò i suoi lavori cinematografici.
Guadagnò la sua popolarità in Giappone come comico, ma successivamente cominciò a cimentarsi nella cinematografia, quando il regista di “Violent cop”, nel quale Kitano aveva il ruolo principale, si ritirò dal ruolo affidandogli il film.
Lui riscrisse molto lo script e modellò il film secondo il suo stile e da lì iniziò la sua carriera come regista.
Nel 1998 vinse il Leone d’oro al festival del film di Venezia, grazie al suo film “Hanabi“, diventando il terzo regista a vincere il premio.

Se volete sapere di più su Kitano Takeshi, continuate a seguirci! A presto!

No longer human || Recensione

Regista: Ninagawa Mika

Anno: 2019

Durata: 2 ore

Genere: Drammatico, romantico

Attori principali: Oguri Shun, Nikaidō Fumi, Sawajiri Erika, Miyazawa Rie

No longer human di Ninagawa Mika è un film che, riprendendo il titolo di uno dei più celebri romanzi di Dazai Osamu, mostra la vita dello scrittore stesso e di come è arrivato a scrivere i suoi due romanzi di più grande successo: Shayō (Il sole si spegne) e Ningen shikkaku (Lo squalificato, traduzione italiana di No longer human).

La vita dissoluta, fatta di alcol, droghe e donne che lo distraggono dalla vita da padre di famiglia, porta ad una costante ricerca del malessere, l’unico che gli permette di scrivere i suoi capolavori. Sono le sue esperienze negative che gli permettono di essere l’autore che è.

Fin dai primi minuti si capisce che la sua vita è bloccata in un vortice da cui non riesce ad uscire, sempre lontano dalla famiglia. Nonostante la vita sfrenata fatta di debiti e tradimenti, la moglie Michiko è sempre pronta a riaccoglierlo a casa, pur sapendo delle sue relazioni parallele. Due in particolare sono presentate: quella con Ota Shizuko (interpretata da Sawajiri Erika) e quella con Yamazaki Tomie (interpretata da Nikaidō Fumi).

La prima relazione sarà quella che ispirerà Shayō, grazie al diario di Shizuko, la quale, in cambio del favore di far leggere il suo diario a Dazai, chiede dallo scrittore un figlio. Nonostante la riluttanza, lui acconsente. Dopo aver mantenuto la promessa di mettere incinta la ragazza, scrive il suo romanzo, ottenendo un enorme successo di pubblico. Non mancano le critiche da parte di Mishima Yukio e Kawabata Yasunari.

Nonostante il grande successo, Dazai non riesce a farsi pubblicare facilmente, in quanto si trova in un periodo caratterizzato dalla sfiducia negli intellettuali e dalla disillusione generale in seguito alla seconda guerra mondiale.

In una delle varie serate per locali, incontra Tomie, con la quale inizia una relazione che durerà fino al suicidio dei due, seguendo una promessa che si sono fatti: Dazai deve scrivere il suo ultimo capolavoro e poi possono lasciarsi morire per abbandonare quella vita di malessere e vivere insieme nella morte.

La moglie, per poter pagare i debiti del marito, lo forza a distruggere la famiglia che entrambi hanno creato per poter scrivere l’ultimo capolavoro, anche per potersi liberare dalla grande sofferenza che le comporta vedere il marito con altre donne.

Dopo la stesura di Ningen shikkaku, arriva il momento per i due amanti di suicidarsi, anche se Dazai non sembra convinto della conferma che dà all’amante alla sua rinnovata richiesta di morire insieme. Tuttavia, l’autore mantiene la promessa e i due si buttano nel bacino di Tamagawa.

Con la prima amante, viene presentato in modo esemplare il periodo di transizione in cui si trova il Giappone: Dazai Osamu indossa ancora gli abiti tradizionali, sempre di colore scuro, austeri, mentre Shizuko indossa abiti occidentali dai colori accesi. Ciò sta a rappresentare anche la visione che la ragazza ha della vita: nonostante l’abbandono che subisce da parte dell’autore che lei tanto ama, prosegue la sua vita felicemente con la figlia.

Al contrario, si possono notare dei toni più scuri negli abiti occidentali della seconda amante, infatti sarà con lei che Dazai si toglierà la vita.

Si possono notare alcune somiglianze tra la vita dell’autore rappresentata nel film e Shayō: la moglie Michiko potrebbe essere vista come l’ultima vera donna giapponese, dedita ai figli e alla casa e sempre in abiti tradizionali, anche se non aristocratica, come nel caso invece della madre della protagonista del romanzo; la scena che vede Dazai bere insieme agli altri clienti del locale ignorando la presenza di Shizuko, già incinta e alla quale viene chiesto se vuole mangiare dei noodles nell’attesa, che è molto simile a quella che vede la protagonista di Shayō, Kazuko, aspettare che il suo amato Uehara, anche lui sposato, si allontani dagli intellettuali con cui sta bevendo, sempre mangiando noodles.
Le idee di distruzione e nichilismo necessarie a Dazai per scrivere un capolavoro, che vengono portate avanti dall’inizio alla fine del film, vengono espresse visivamente in una delle ultime scene. Durante la stesura di Ningen shikkaku, la stanza che circonda l’autore di disassembla in uno spazio indefinito, fino a raggiungere la sua essenza, ovvero la struttura in legno che la compone.