6 Luglio 2022 | Registi
Bentrovati! Questa è Akushon!, la rubrica di associazione Takamori sui registi giapponesi. Oggi torniamo a parlare di Kitano Takeshi.
Riprendiamo il filo parlando di 4 pellicole della variegata produzione di Kitano Takeshi!
Nel 1995 viene pubblicato “Minna~yatteruka!”, conosciuto maggiormente con il suo titolo inglese “Getting Any?”, una bizzarra commedia che vede come protagonista Asao, un uomo di mezza età il cui unico scopo nella vita è avere un rapporto sessuale con una donna. Asao sognerà più volte a occhi aperti su quali strategie usare per arrivare al suo obiettivo, cercando di metterle in pratica.
La sua prima tattica prevede l’acquisto di un’automobile, per far colpo sulle donne e poterci così fare sesso dentro. Purtroppo, come succederà per altri piani da lui ideati la mancanza di denaro sarà il primo grande ostacolo per attuarli, uno tra questi per esempio, il viaggiare in prima classe in aereo immaginando che le hostess stesse si concedano ai passeggeri paganti.
Si ritroverà, pertanto, in una serie di situazioni assurde, tra le quali rapine, scontri fra yakuza ed esperimenti scientifici.
Purtroppo, “Getting Any?” non riceve il successo sperato e, anzi, si rivela un fiasco di pubblico e di critica.
Nonostante il film sia talmente delirante da straniare lo spettatore, non risulta difficile immaginare Kitano divertirsi dietro la macchina da presa.
Ora due parole su Kids return (Kizzu Ritān), un film del 1996 che rappresenta il primo progetto di Kitano dopo il duro incidente del 1994. Protagonisti della pellicola sono Masaru e Shinji, due amici e compagni di classe, sfaticati e dediti a fare scherzi sgradevoli a compagni e professori. Decidono di buttarsi nella boxe, e mentre Masaru rinuncia poco dopo, per cercare di fare carriera in una banda della yakuza, Shinji prosegue, mostrando anche del talento.
Le strade dei due amici sembrano separarsi definitivamente, ma ben presto però, a causa della loro indole trasgressiva e indisciplinata falliscono nei loro percorsi e finiscono infine per ritrovarsi. Entrambi disillusi e considerati dei falliti sono di nuovo insieme, quasi a testimoniare che in una società caotica e spietata l’unica cosa che conta davvero è la vera amicizia. Nella pellicola è evidente l’elemento autobiografico, può essere infatti considerata la rielaborazione di esperienze di vita di Kitano, e i due protagonisti un alter ego dello stesso, scapestrati ma con un forte desiderio di emergere. La realtà viene descritta in modo crudo e freddo forse anche eccessivamente, non c’è spazio per alcun valore perché il profitto è lo scopo di tutto, da qui la povertà umana dei personaggi sia adulti che giovani.
Continuiamo con Hana-bi (Fiori di fuoco), un film del 1997 con protagonista Nishi, un ex detective taciturno e dai modi spesso bruschi. Dietro il suo modo di agire violento però si nasconde una difficile situazione personale, la moglie infatti è affetta da leucemia senza speranze di cura, e a peggiorare la situazione è la notizia che Horibe, suo amico e collega, a causa di un’operazione di polizia andata male è rimasto paralizzato a vita. Quindi profondamente addolorato Nishi decide di fare il possibile per rallegrare almeno in parte i suoi cari, e per farlo finisce per indebitarsi con una banda della yakuza. Pur di restituire la somma di denaro presa in prestito compie una rapina in banca, per poi fuggire con la moglie sia dagli strozzini che dai suoi ex colleghi poliziotti. Hana-bi è un film pieno di contrasti, inizia come un poliziesco d’azione per poi finire nel melodramma, un continuo alternarsi di spargimenti di sangue a immagini meravigliose e delicate. Questo contrasto lo vediamo nello stesso protagonista Nishi, che passa dall’essere il poliziotto violento al marito tenero e premuroso verso la moglie malata.
Anche in questo film inoltre è possibile riscontrare l’elemento autobiografico, nella vicenda di Horibe che dopo l’incidente decide di avvicinarsi alla pittura proprio come successe nella realtà a Kitano, infatti tutti i quadri che vengono mostrati sono sue opere originali risalenti al periodo della convalescenza.
Rispettivamente nel 2010, 2012 e 2017 escono Outrage, Outrage: Beyond e Outrage: Coda, una trilogia che, a uno spettatore qualsiasi, parrebbe sicuramente una banale storia di scontri violenti tra yakuza.
Come per altri suoi film, la violenza permea ogni scena, è perennemente dietro l’angolo, e quando non è fisica è comunque concettuale. I personaggi si scambiano battute come cani rabbiosi, in un continuo gioco di prevaricazione e ribaltamenti delle gerarchie, evidenziando i paradossi della cultura giapponese e del suo culto per l’etichetta.
Gli scontri non sono esaltanti come in un tipico film d’azione, ma realistici e terrificanti, giocando e decostruendo i cliché dei gangster movie e togliendo ogni romanticismo alla figura dello yakuza. Parlare della trama di Outrage è quasi superfluo, poiché a dominare sono piuttosto i personaggi e i temi che incarnano.
Kitano, infatti, riflette su cosa siano l’onore e la lealtà, e nessun atto di vendetta è appagante perché, in fondo, non porta mai a nulla. Il terzo film sembrerebbe chiudersi in maniera inconcludente: il protagonista Otomo, interpretato da Kitano, ha sicuramente portato a termine la sua vendetta e compiuto il suo dovere, ma il fatto che coloro che lo hanno manovrato da dietro le quinte, siano riusciti nel loro intento impuniti, lascia un senso di insoddisfazione. La chiave di lettura è forse nelle ultime parole di Otomo, che diventano quelle di Kitano stesso: “So quando è il momento di farmi da parte”. Con questa battuta, infatti, si conclude l’ultimo film, a oggi, con Kitano come attore.
E anche per questo regista siamo giunti alla fine! Se volete approfondire le vite e le opere di altri registi giapponesi non vi resta che continuare a seguirci con Akushon!
Vi invitiamo inoltre a dare un’occhiata al nostro video riguardante la filmografia di Kitano Takeshi e ad esplorare al meglio il regista, cliccate qui per vedere il nostro video approfondimento al riguardo oppure visitate il nostro canale YouTube… A presto!
29 Giugno 2022 | Film e Serie TV
L’Associazione Takamori è lieta di presentarvi The Snow White Murder Case, thriller giapponese del 2014 diretto da Nakamura Yoshihiro.
The Snow White Murder Case, in giapponese Shirayuki Hime Satsujin Jiken, tratto dall’opera di Minato Kanae, è un film thriller diretto da Nakamura Yoshihiro ed uscito nelle sale giapponesi nel 2014.
Il corpo carbonizzato e violentemente accoltellato di una giovane donna viene ritrovato nascosto tra gli alberi di un parco. Si tratta della bellissima Miki Noriko, interpretata da Arai Nanao, una donna impiegata in nella ditta di cosmetici Hinode. La polizia interroga la collega Kana Risako, intrepretata da Renbutsu Misako, sua partner all’interno dell’azienda.
Risako, dopo essere stata interrogata dalla polizia, chiama il suo amico di vecchia data Akahoshi Yuji, interpretato da Ayano Go, il quale lavora come giornalista part-time per un programma TV.
Durante la conversazione, Yuji scrive le informazioni che ottiene da Risako su twitter e capisce che il caso in questione può essere un ottimo slancio per la sua carriera.
Decide quindi di interrogare gli altri colleghi di Noriko.
I sospetti cadono sulla timida quanto graziosa Miki, interpretata da Inoue Mao, la quale secondo quanto raccontato da un’altra collega provava forti sentimenti verso il manager della compagnia Shinoyama Satoshi il quale però non ricambia le attenzioni della donna e la respinge dicendo di avere una relazione con Noriko. La possibile gelosia di Miki verrà presa come possibile movente dell’omicidio di Noriko.
La pellicola si configura come un esperimento che unisce una componente social come Twitter ad una storia investigativa nella quale Yuji si trova a condividere ogni sospetto e informazione che si ritrova in mano.
L’opera di Nakamura esce dai paletti imposti dai canoni dei generi cinematografici in quanto non intende rimanere solo una storia investigativa ma, a più strati, esplora tematiche profonde come le problematiche di tipo personale che possono nascere sul posto di lavoro e quanto, oggigiorno, i media abbiano il potere di influenzare un caso di omicidio.
L’opera è stata presentata al Far East Film Festival 2014 e nominata al 38esimo Japan Academy Prize nel 2015 per il titolo di Miglior Attrice Protagonista grazie all’attrice Inoue Mao.
Per maggiori informazioni riguardo all’opera, vi invitiamo a visitare il nostro canale YouTube dove potrete visionare il nostro nuovo video (disponibile premendo qui), insieme a tanti altri contenuti interessanti sul mondo della cinematografia giapponese e non solo!
Vi ricordiamo inoltre che il database di tutti i sottotitoli dei nostri film è a vostra disposizione qualora siate interessati a proiettarli all’interno delle vs manifestazioni. Oppure potete richiederci anche una nuova sottotitolazione scrivendo a info@takamori.it!
26 Giugno 2022 | Film e Serie TV
Titolo originale: モリのいる場所
Regista: Okita Shūichi
Uscita al cinema: 7 aprile 2018
Durata: 99 Minuti
RECENSIONE:
Tra i massimi esponenti della pittura giapponese del XX secolo, Morikazu Kumagai (1880- 1997) fu un personaggio altrettanto noto per il suo stile di vita; passò infatti trent’anni della sua vita senza mai lasciare l’abitazione, deliziandosi quotidianamente con delle lunghe escursioni nei rigogliosi giardini circostanti in piena contemplazione della flora e fauna.
Il film di Okita Shūichi, Mori, TheArtist’s Habitat, ambientato nel 1974 durante gli ultimi anni di vita dell’artista, desidera essere ben più che una semplice biografia.
Senza mai davvero concentrarsi sull’impegno di Morikazu nella pittura, il film vuole iniziarci piuttosto all’etica che precede l’operato artistico del pittore, che ogni giorno esplora il suo giardino incolto, osservando gli insetti, le trame delle pietre e il mutare della luce tra gli arbusti.
Scevro di conflitti e colpi di scena, il film si concentra sullo sguardo di un’artista che ha fatto della semplicità (ma non per questo invariabilità) la sua musa ispiratrice e che, liberato da ogni idea preconcetta sul mondo, è in grado di vederlo sempre diverso, trovando la gioia più grande sotto le rocce più piccole.
Okita fa del suo ritratto d’artista l’espediente per un’analisi ben più universale del tempo e dello spazio. La casa-giardino di Morikazu non può negare né frenare le forze motrici del mondo fuori, più vasto, difficoltoso e contraddittorio. Il giardino diventa un rifugio, allegoria di un mondo ideale, in cui l’artista (e quindi l’umano) cercano costantemente di rifugiarsi.
Come il pittore osserva gli insetti e il delicato universo che li circonda, così il registra osserva i propri protagonisti muoversi e relazionarsi. Nella casa-giardino Okita stesso si perde, trascinato dallo spirito contemplativo di Morikazu, e come lui si fa recipiente degli stessi concetti artistici, donandoci un’opera contemplativa, dai toni delicati, minimalisti, attenta alla natura multiforme della semplicità e che indaga la sottile linea che accomuna e separa il mondo naturale a quello umano.
Recensione di Claudia Ciccacci
22 Giugno 2022 | Registi
Bentrovati! Questa è Akushon!, la rubrica di associazione Takamori sui registi giapponesi. Oggi a parliamo di Kitano Takeshi.
Kitano Takeshi nasce il 18 gennaio 1947 a Tokyo. Celebre in Giappone già dagli anni 80, Kitano nasce come comico, usando lo pseudonimo “Beat Takeshi”. Durante lo stesso decennio assume il ruolo di presentatore del programma, trasmesso poi internazionalmente, Takeshi’s Castle, nel quale i concorrenti si sfidavano in circuiti di vario genere. In quel periodo, però, Kitano si stava dedicando anche alla recitazione, prendendo parte a serie tv e a film, tra cui Furyo di Ōshima Nagisa (del quale, se vi siete persi il video su di lui, potete cliccare qui per recuperarlo).
Nonostante sulle prime Kitano fatichi a scrollarsi addosso il ruolo del comico agli occhi del pubblico, nel 1989 dà una svolta alla propria carriera con il film Violent Cop. A causa di un rifiuto del regista a cui era stato offerto il lavoro, Kitano ha l’occasione non solo di interpretare il protagonista, ma anche di esordire alla regia, incontrando il favore della critica addirittura proprio come migliore regista. Dai film successivi Kitano si cimenterà più volte con violente storie di gangster e poliziotti, sviluppando uno stile inconfondibile caratterizzato da telecamere per lo più statiche, sequenze lunghe e una personalissima ironia.
Kitano amerà interpretare violenti protagonisti perpetratori di violenza, come lo si può vedere in Boiling Point del 1991 e Sonatine del 1993.
Il 1994 è un anno particolarmente duro, dopo essersi nuovamente cimentato in contesti comici con Getting Any? del 1995, considerato da lui stesso un “suicidio professionale”, il regista è vittima di un incidente motociclistico, che gli causa una paralisi facciale parziale, conferendogli un’espressività ancora più inusuale.
Dopo la lunga convalescenza, Kitano riprende in mano la sua carriera che compie una svolta significativa nel 1997 con il film Hana bi grazie al quale vince il Leone d’Oro alla Mostra internazionale di Venezia. Anche le opere successive, tra loro molto diverse vengono accolte positivamente, ed è proprio l’acclamazione unanime da parte della critica che spinge Kitano nel 2000 a realizzare il suo primo film negli Stati Uniti, Brother, che tratta la storia di uno yakuza a Los Angeles, ma non vi sarà l’apprezzamento del pubblico. Lo riceverà, invece, con la sua versione della storia di Zatoichi, uno spadaccino cieco vagabondo, un suo grande successo internazionale soprattutto dal punto di vista economico.
Kitano decide di dare una svolta alla sua carriera con la “trilogia del suicidio artistico”, composto da tre pellicole: Takeshi’s, Glory to the Filmmaker! e Achille e la tartaruga. Qui abbandona il suo stile classico per compiere una riflessione sulle diverse facce del personaggio- Kitano e una auto-analisi della sua creazione artistica. A partire dal 2010 Kitano decide di tornare sul genere yakuza a lui caro con Outrage, che successivamente si trasformerà nel primo capitolo di un’ulteriore trilogia, i cui capitoli successivi sono: Outrage beyond e Outrage Coda
E con questo si conclude la prima parte del nostro approfondimento su Kitano Takeshi. Se vi abbiamo incuriosito con la vita e la carriera di questo regista, ci vediamo mercoledì 6 luglio con la seconda parte!
Vi invitiamo inoltre a dare un’occhiata al nostro video riguardante la filmografia di Kitano Takeshi e ad esplorare al meglio il regista, cliccate qui per vedere il nostro video approfondimento al riguardo oppure visitate il nostro canale YouTube… A presto!
1 Maggio 2022 | FEFF
Come già accennato, ci troviamo a Udine per il Far East Film Festival e abbiamo deciso di portarvi con noi parlandovi delle proiezioni alle quali assisteremo. Essendo il festival un importante trampolino di lancio per cineasti riconosciuti ed emergenti dell’estremo Oriente, vi parleremo anche di pellicole esterne al panorama cinematografico giapponese. Le proiezioni della nostra quarta e ultima giornata vi porteranno tra le montagne della Corea del Sud e sul luogo del terremoto e dello tsunami che hanno colpito il Giappone nel 2011.
ONE DAY YOU WILL REACH THE SEA, Nakagawa Ryūtarō – Giappone, 2022
Il triplice disastro dell’11 marzo 2011 ha portato con sé molte vittime tra cui Utsuki Sumire. In One day you will reach the sea, Kotani Mana racconta questa storia al pubblico con grande dolcezza e malinconia, dando la possibilità ad altri sopravvissuti di testimoniare dei loro cari persi durante la tragedia. Il regista Nakagawa Ryūtarō dà sfogo in questo modo anche alla sua esperienza personale. Colpito da una perdita connessa al disastro nei suoi anni universitari, mostra una profonda empatia nella pellicola che usa come strumento per dare nuova vita alle vittime e una voce ai sopravvissuti.
Inserendo una vicenda personale, sebbene di fiction, Nakagawa riesce a processare il dolore condiviso, e a mostrare i lati più fragili dei personaggi, rappresentando dopo quasi 7 anni quello che negli anni immediatamente successivi al disastro, è stato troppo difficile da raccontare.
Kotani Mana e Utsuki Sumire, sono due personaggi nettamente diversi, così come lo sono le attrici. Già al tempo del casting, è stata prestata molta attenzione alle loro diverse caratteristiche: una forte vitalità e un fascino dolce ed espressivo che insieme non possono che funzionare. Nel film vediamo come dal primo giorno di college in cui si sono conosciute, il rapporto delle ragazze si approfondisce, fino a raggiungere sentimenti che superano una semplice amicizia. Tali sentimenti tuttavia non sono mai espressi nella loro interezza, e questa amarezza accompagna gli spettatori e Mana , in un commovente percorso in nome di Sumire per trovare finalmente chiusura.
In questa pellicola dalle triplici componenti di fiction, animazione e vita reale, il regista cerca una reazione nello spettatore, che viene a contatto con la storia e con il ricordo doloroso in modo più diretto di quanto sia possibile in Giappone. Nakagawa infatti riflette anche sulla presenza di luoghi ed elementi storici concreti che circondano la realtà italiana , spesso assenti invece in un contesto giapponese. Cerca quindi di analizzare la diversa risposta che una pellicola forte come questa può essere data da pubblici ben diversi, augurandosi allo stesso tempo una distribuzione sempre più capillare, probabilmente non lontana grazie ad un buonissimo feedback iniziale
CONFESSION, Yoon Jong-seok – Corea del Sud, 2022
Come film di chiusura della ventiquattresima edizione è stato scelto Confession, di Yoon Jong-seok.
Un giovane businessman viene condannato per l’omicidio della sua amante. Dopo essersi visto ritirato il mandato di arresto per ritornare a processo, un’avvocata di successo decide di sentire che cosa ha da dire, svelando l’oscurità che si cela dietro il presunto killer. Yoon Jong-seok in questa prima italiana ci mostra un labirinto di specchi costruito sulla base di flashback e ricostruzioni ipotetiche, senza mai abbandonare l’affascinante grammatica del thriller-noir che molto bene si adatta alla rappresentazione di questo intricato caso di omicidio a porte chiuse.
Le riprese e la produzione della pellicola, seconda opera del regista sudcoreano, sono terminate due anni fa ma, per lo svuotamento delle sale dovuto alla pandemia ne è stato posticipato il rilascio. Confession, infatti, entra per la prima volta in sala al Teatro Nuovo di Udine, mentre, rimane inedito in patria.
Il film è una rivisitazione del mystery thriller spagnolo Contratiempo distribuito in Italia da Netflix nel 2017. Nonostante lo snobismo col quale i remake vengono visti dalla critica cinematografica, in Corea del Sud questo genere sta raggiungendo livelli sempre più alti e questo film ne è la conferma. Nell’adattamento, racconta Yoon, fra le difficoltà incontrate c’è stata la perfezione e l’attenzione ai dettagli dell’opera originale ma per il regista non era importante arrivare a un prodotto in linea con la versione spagnola ma presentare angolature e punti di vista assenti in quest’ultima. Fra le altre difficoltà, come trovare il giusto rapporto fra lo spazio e il tempo della narrazione, la più bizzarra è stata che, nonostante il film si dipani in un’unica nevosa notte invernale, la stagione delle riprese è la stata forse la meno nevosa dell’esperienza del regista.
Presente all’incontro era anche Won Dong-yeon, produttore acclamato al botteghino sudcoreano, che con grande sagacia ha presentato il regista di cui va molto fiero. È stato proprio Won a entrare in contatto con l’originale spagnolo durante un viaggio aereo Bruxelles-Seoul e, tornato in patria, consapevole del potenziale della sceneggiatura ne ha comprato i diritti. Il suo ironicamente millantato fiuto per i soldi gli ha anche permesso di mettere insieme un cast d’eccezione: So Ji-seob e Kim Yunjin, il presunto colpevole e la presunta avvocata sono una coppia in grado di creare una potente tensione che tiene lo spettatore incollato allo schermo. Fra gli attori presente anche Nana attrice e cantante, ex-componente del gruppo After School, che nel film ha modo di mostrare un’ampio spettro di emozioni grazie alle varie versioni della scena del delitto create dal potere performativo delle parole degli altri due.
L’incontro, poi, si è spostato sul cinema sudcoreano in generale e soprattutto sul suo futuro. Sia il regista che il produttore riconoscono l’impatto dei premi dati a Parasite, prima a Cannes nel 2019 e poi da parte dall’Academy nel 2020, e a Squid Game ai SAG Awards di quest’anno, ma anche quanto la fama in realtà non sia volta a raggiungere una conoscenza veritiera della cultura coreana ma a dare un’immagine distorta dal Paese. Il successo di questi prodotti ha comunque cambiato il punto di vista del pubblico che volge sempre di più l’attenzione al panorama sudcoreano. Il produttore Won si è anche espresso sul futuro della distribuzione di prodotti cinematografici che, a suo parere, si dividerà in due: i film blockbuster ricchi di effetti visivi e sonori manterranno le regolari uscite sui grandi schermi mentre prodotti più artistici e studiati preferiranno la distribuzione via streaming.
Entrambi hanno salutato la stampa annunciando lavori in corso di produzione, Won continuerà con adattamenti, soprattutto da Webtoon, mentre Yoon si rimetterà all’opera per tornare al più presto a Udine.
Così si conclude la nostra esperienza al Far East Film Festival di Udine, vi ringraziamo per averci seguiti. A presto!
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