Radiance (2017)

Titolo: Radiance

Titolo originale: 光

Regista: Kawase Naomi

Uscita al cinema: 27 maggio 2017

Durata: 102 minuti

 

La Trama

Il cinema è un mezzo di comunicazione molto potente, che permette di vivere esperienze di altre persone, entrando in contatto con queste e creando un legame tramite un fascio di luce proiettato. Misako, la protagonista, con il suo lavoro di narratrice di film per non vedenti cerca di rendere accessibile questo scambio di emozioni a chi questa luce purtroppo non lo vede. Tuttavia tra il suo pubblico incontrerà una figura molto schietta di nome Nakamori, un fotografo che ha dovuto interrompere la sua carriera a causa di una progressiva cecità. Egli la accusa con modi scortesi di imporre le emozioni trasmesse nel lungometraggio non lasciando spazio all’immaginazione. Nasce quindi un confronto tra i due che li porterà a relazionarsi per lungo tempo. Un confronto tra un uomo che ha perso la speranza e una donna che nel minimo raggio di luce trova emozioni e voglia di continuare per la propria strada.

 

Luci e prospettiva

Già dai primi momenti il film mostra come le sensazioni provate da una persona tramite i propri sensi non siano banali. Nakamori comprende bene questa visione poiché ha sempre dato un’importanza speciale alla sensazione che la luce gli ha donato nel corso della sua carriera. Per questo non riesce ad accettare la sua condizione e trova fastidiosi gli eccessi di Misako nel rappresentare ciò che appare su schermo. Questo scontro tra due prospettive diametralmente opposte crea un interessante legame tra i due personaggi che scopriranno di essere accomunati da molte più cose di quanto potessero immaginare.

 

L’occhio cinematografico

Un elemento peculiare dell’opera è che la regista da una estrema importanza all’elemento visivo, che avvolge gli eventi e i dialoghi tra i personaggi. Questa forte componente visiva aiuta nella comprensione delle vicende e accompagna lo spettatore facendogli comprendere al meglio i sentimenti e le sensazioni dei protagonisti.

 

— recensione di Massimo Magnoni

 

Ima ai ni yukimasu (2004)

Ima, ai ni yukimasu, conosciuto anche con il titolo internazionale Be with You, è un film drammatico del 2004 diretto da Doi Nobuhiro e basato sull’omonimo romanzo di Ichikawa Takuji.

La storia si apre con la prematura morte di Mio, una giovane donna, che lascia suo marito Takumi e suo figlio di sei anni, Yuji. Prima di morire, fa al suo amato una promessa apparentemente impossibile da mantenere: un anno dopo, durante la stagione delle piogge, ritornerà da loro.

Al di là di ogni aspettativa, Mio tiene fede al suo impegno: si ripresenta davvero dinanzi a Takumi e Yuji, ma senza nessun ricordo della sua vita precedente. Così, l’uomo cerca di svelare l’inspiegabile mistero relativo al ritorno di sua moglie. Ma alla fine della stagione delle piogge, dovranno separarsi per sempre e dirsi addio definitivamente.

La pellicola ha vinto il premio per il Miglior Attore non Protagonista ai Nikkan Sports Film Awards del 2004, ed è stata nominata ai Japan Academy Awards del 2005 e agli Hong Kong Film Awards del 2006.

Quando due anime si trovano, niente può separarle, neanche la morte. Ecco il messaggio che Ima ai ni yukimasu vuole trasmetterci attraverso una storia così profonda e commovente. Se volete emozionarvi e scoprire il mistero della ricomparsa di Mio, non potete perdere questa occasione!

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Into the White Night (2011)

Into the White Night è un film del 2011 diretto da Fukagawa Yoshihiro, basato sul romanzo thriller di Higashino Keigo. Segue la storia già raccontata nell’omonimo drama del 2006, costellata di misteri e colpi di scena.

Il proprietario di un banco dei pegni a Osaka viene trovato brutalmente assassinato, ma a causa della mancanza di prove decisive, la polizia è costretta ad archiviare la morte dell’uomo, liquidandola come suicidio. Però, Sasagaki, uno dei detective assegnati al caso, non riesce a dimenticare il fatto che il sospettato principale, fin dall’inizio, era stato il figlio della vittima, Ryōji, assieme ad una bambina sua coetanea, Yukiho.

Con il passare del tempo, i due, ormai adulti, sembrano essere circondati da morti sempre più inspiegabili: così, il detective decide finalmente di seguire la propria pista. In questa fase, saranno scoperti dettagli scioccanti su di loro.

La pellicola è stata proiettata a numerose manifestazioni cinematografiche, tra cui ricordiamo il Tokyo International Film Festival del 2010, il Berlin International Film Festival del 2011 e lo Shanghai International Film Festival dello stesso anno.

Into the White Night vi terrà sulle spine con i suoi momenti di suspense, e incollati allo schermo nella speranza di scoprire la verità al più presto.

Akushon! – I registi di JFS: Miike Takashi parte 2

Ben ritrovati con il consueto appuntamento con Akushon, la rubrica dei registi di JFS! Riprendiamo il filo parlando di 4 pellicole della variegata produzione di… Miike Takashi!

In Big Bang Love, Juvenile A, opera del 2006, si mette in luce la capacità di Miike di costruire il set cinematografico e di renderlo iconico. Il giallo e il nero dominano, la prigione in cui si svolge la trama è scarna, dura e rude come chi tra quelle sbarre è condannato a risiedervi per un tempo indefinito. Per motivi diversi giungono in quel luogo due giovani, Jun e Shiro, accomunati dall’accusa di omicidio. I due instaureranno un legame stretto e ambiguo, che li renderà apparentemente distanti ma inseparabili nel difficile ambiente del carcere. Nel racconto di Miike lo spazio e il tempo corrono intrecciati, confondendosi, ripetendosi, in una circolarità esasperata che porta lo spettatore nel mondo interiore dei personaggi. Esso infatti assume concrete immagini esteriori: navicelle spaziali, piramidi e arcobaleni, che tratteggiano le tensioni, le aspirazioni e i destini dei due protagonisti. 

Nonostante il periodo di splendore dello “spaghetti western” sia ormai terminato, Miike realizza un film che è sostanzialmente un tributo a Sergio Leone con una fortissima impronta autoriale: Sukiyaki Western Django. La storia che racconta è un forte richiamo a Per un pugno di dollari del regista italiano e a Yojinbo di Akira Kurosawa: uno straniero, interpretato da Hideaki Itō, arriva nelle terre del west e si ritrova nel bel mezzo di uno scontro tra due famiglie che si contendono un tesoro probabilmente sepolto nel villaggio. Le due famiglie sono però il clan Heike e il clan Genji, si viene quindi a creare una sorta di seguito della rinomata guerra Genpei del tardo periodo Heian, sebbene in stile western. Il fatto che il film sia recitato in inglese mette poi in evidenza come il regista riesca a spaziare e mescolare i generi con cui è cresciuto, con un risultato veramente particolare. 

Samurai, clan nobiliari, seppuku. In altre parole, passato: con esso si confronta Miike nel film Ichimei, ripresa del passato storico e cinematografico giapponese. Difatti, il film si rifà ad una pellicola del 1962 di Kobayashi Masaki che trattava il medesimo intreccio: il rōnin Hanshiro, un samurai decaduto, vuole commettere il suicidio rituale, come vuole la rigida tradizione del bushidō. Interpella per questo gli esponenti del casato nobiliare degli Iyi, affinché, secondo il rituale del codice samuraico, possa compiere il gesto estremo nel giardino della loro dimora. Similmente, con alcune variazioni sul tema, si snoda la trama del remake di Miike: si aggiungono un’attenzione quasi maniacale alla fotografia; l’egregia interpretazione di Ichikawa Ebizō, attore di kabuki che impersona il protagonista; e la vividezza delle musiche del compositore Sakamoto Ryūichi. Il risultato è un film dove il melodramma raggiunge notevoli picchi di umanità, conservando il messaggio sociale e politico sull’anacronismo del codice samuraico che il predecessore Kobayashi aveva ben impresso alla sua opera.

Tra film d’autore e western, il cineasta ci propone anche As the Gods will, che è l’adattamento cinematografico dell’omonimo manga scritto e illustrato dalla coppia Fujimura – Kaneshiro. Miike, con la peculiare esagerazione della violenza tipica del suo stile, mette su pellicola la storia di Shun Takahata, interpretato da Sōta Fukushi, studente delle superiori che vorrebbe una vita alla larga dalla noia, la quale invece lo travolge nella monotonia della quotidianità. Un giorno Shun verrà accontentato in una maniera molto particolare, ritrovandosi in un gioco mortale architettato da una divinità sconosciuta con altri studenti, che da ora in poi verranno considerati “神の子” (kami no ko), ovvero figli di dio. Il povero Shun sarà costretto a veder morire molti suoi compagni e cercherà di sfuggire alla sua stessa morte, pagando però un prezzo molto alto. 

Qui vi abbiamo presentato alcuni lungometraggi di Miike Takashi, ma la sua carriera cinematografica composta da più di 100 opere è molto più vasta e varia, difficilmente riassumibile in una manciata di film. Per guardare il nostro video cliccate qui. Vi invitiamo quindi ad approfondire la produzione di questo regista a tutto tondo, inoltre potete continuare a seguirci qui su YouTube e sui nostri profili social per approfondire la carriera di molti altri registi giapponesi!
Alla prossima!

Yoshino’s Barber Shop (2004)

L’insostenibile fardello della tradizione – Yoshino’s Barber Shop

Nella campagna giapponese, la tradizione è ancora fortemente radicata. Un ragazzino venuto dalla città riuscirà tuttavia a scuotere la torpida realtà del villaggio, disegnando nuovi equilibri.

(Japan, 2004)

Titolo: Yoshino’s Barber Shop

Titolo originale: バーバー吉野

Regista: Ogigami Naoko

Uscita al cinema: 10 aprile 2004

Durata: 96 Min.

Dalle prime immagini del film ci ritroviamo immersi nel Giappone rurale, quello di un piccolo villaggio che risponde al nome di Kaminoe. In questo luogo le tradizioni sono sacre e la cittadina trae linfa vitale per la propria identità da esse: il Giorno della Montagna è una di queste celebrazioni in cui la popolazione riunita prega la divinità che abita le alture limitrofe. Questa tradizione ha tuttavia bisogno di un guardiano, impersonato da Yoshiko, l’acconciatrice del luogo, alle cui forbici nessun maschio si può sottrarre. Difatti, l’altra grande tradizione in paese riguarda un certo taglio di capelli: a scodella, omologante, ridicolo. D’altronde, pare che questo stesso stile affondi le proprie radici nel mito locale, ove una perfida figura del folklore, il tengu dal naso rosso e dalle fattezze di metà uomo e metà volatile, minaccia i maschi stessi del villaggio, che possono confonderlo unicamente assumendo lo stesso taglio di capelli. Yoshiko, madre di due ragazzini del villaggio, è fiera conservatrice di questi usi e si batte strenuamente perché vengano rispettati.

Il presupposto equilibrio di questo luogo si rompe quando giunge in città un ragazzino, coetaneo dei suoi figli, dalla lontana capitale. La metropoli è un luogo distante, fisicamente e mentalmente, e ciò è dimostrato dall’atteggiamento del nuovo arrivato Yosuke, a cui stanno senza dubbio stretti i costumi locali. Il suo taglio di capelli assurge a simbolo di ribellione, di anticonformismo, persino di un’altra realtà possibile oltre all’unica nota agli abitanti, in particolari a quelli piccoli: pur faticando a trovarsi degli amici, egli mostrerà loro ciò che esiste al di fuori della tradizione, dalle capigliature in controtendenza alle riviste pornografiche. I coetanei-amici che lo seguono sono in cerca di una loro identità, che non sia stata confezionata su misura per loro da qualcun altro (o da qualcosa d’altro, come la tradizione) e trovano in lui una sorta di pragmatica guida per rompere con le abitudini del luogo.

Lo scontro tra vecchie e nuove ideologie raggiunge un’acme che, come spesso la narrazione vuole, delinea un nuovo, differente equilibrio. In esso, non necessariamente le une prevalgono sulle altre o viceversa, ma si comprende invece come le nuove generazioni possano convivere con un piede dentro e uno fuori dal solco della tradizione.

 

—- recensione di Antongiorgio Tognoli