Sasabe Kiyoshi parte 1 || Akushon! – I registi di JFS

Ciao a tutti! Questa è Akushon!, la rubrica dell’associazione Takamori sui registi giapponesi. La puntata di oggi è la prima che ci parlerà di Sasabe Kiyoshi. Vediamolo insieme!

Sasabe Kiyoshi nasce nel 1958 a Shimonoseki, città nota per il trattato del 1895 che concluse la prima guerra sino-giapponese. Dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo nella città natale, si sposta nella capitale Tokyo per la formazione universitaria. Qui frequenta i corsi del dipartimento di letteratura dell’Università Meiji, dedicandosi principalmente al teatro, per poi seguire la propria formazione presso la scuola di specializzazione ora denominata Japan Institute of Moving Image, fondata dal noto regista Imamura Shōhei. Chiamato come assistente regista per dorama della tv giapponese, continua a formarsi sotto la supervisione dei registi Furuhata Yasuo e Izumi Seiji. Il suo debutto si ha all’inizio degli anni ’80 con Sparuta no Umi, un dorama che tratta le vicende per cui divenne tristemente nota al pubblico giapponese la Totsuka Yacht School di Mihama, nella prefettura di Aichi. La prima esperienza sul grande schermo risale invece al 2002, con il film Hi wa Mata Noboru, che dà il via a una serie di pellicole di cui sarà regista e spesso anche sceneggiatore.

Nonostante il suo tardivo debutto sul grande schermo, la carriera di Sasabe Kiyoshi, forzatamente interrota a causa della sua prematura scomparsa nel 2020, è costellata da opere degne di un regista della scuola moderna giapponese. La sua visione del cinema era molto cruda e semplice, il suo modo di comunicare al mondo la visione che aveva di questo era diretto, senza giri di parole e senza cercare di addolcire la pillola. Una delle tematiche più a cuore al regista era quella del rapporto che hanno particolari individui con la società, una società che non guarda in faccia a nessuno. Questa tematica molto rappresentativa del cineasta la ritroviamo nei quattro lungometraggi che andremo a prendere in considerazione, ovvero: Deguchi no nai umi, del 2006; Tōkyō Nanmin, del 2014; Yaeko no Hamingu, del 2016 e Tsure ga utsui ni narimashite, film del 2011 premiato come come miglior film internazionale ai Golden Roster Awards del 2013.

E con questo si conclude la prima parte del nostro approfondimento su Sasabe Kiyoshi. Potete guardare il nostro video qui. Se vi abbiamo incuriosito con la vita e la carriera di questo regista, ci vediamo mercoledì 30 marzo con la seconda parte!

True Mothers (2020)

True Mothers (朝が来る)

Regia: Kawase Naomi
Durata: 139 minuti
Attori principali: Hiromi Nagasaku, Arata Iura, Aju Makita
Anno: 2020

True mothers è un film basato sul romanzo “Asa ga kuru” di Tsujimura Mizuki, tratta le vicende di Satoko e Kiyokazu Kurihara, una coppia felicemente sposata che però non riesce ad avere figli. Questo li fa cadere progressivamente in uno stato di tristezza, tentano di cambiare questa situazione in ogni modo ma invano, finché non si rivolgono ad un ente no profit che accoglie madri che non possono prendersi cura dei propri figli, dando così la possibilità a delle coppie di adottarli. Ed è così che ai due viene affidato Asato, un bambino nato da una ragazza delle scuole medie di nome Hikari, che impossibilitata a tenerlo è costretta a separarsene. La coppia può quindi iniziare finalmente la loro vita familiare tanto desiderata, mentre Kiyokazu si dedica al lavoro, Satoko decide di lasciare tutto per dedicare il suo tempo alla crescita del figlio. Passano così cinque anni tranquilli fino a quando Hikari, madre biologica di Asato, decide di ripresentarsi nella vita dei Kurihara, rivendicando la maternità sul bambino e mettendo in crisi l’equilibrio familiare costruito negli ultimi anni.

True mothers è un film che parla di vite inizialmente separate, ma che poi per delle vicissitudini non del tutto piacevoli sono costrette a incontrarsi e ad intrecciarsi. Questo è reso con una narrazione che non è mai lineare, che avanza e indietreggia, il passato s’intreccia con il presente tramite dei flashback che ci permettono di capire cosa ha portato i personaggi a vivere determinate situazioni. Il regista Kawase inoltre conduce abilmente lo spettatore, nonostante all’inizio del film può sembrare di avere ben chiare le dinamiche che intercorrono tra i personaggi, e dove sia quindi il torto e la ragione, man mano che si va avanti con la visione il giudizio cambia, sostituendo magari il sentimento di disprezzo iniziale con comprensione.

Il tema della maternità e il forte impatto che ha nella vita di una donna, è ovviamente il centro di tutte le vicende, e viene presentato tramite le figure di Satoko e di Hikari: la prima che vorrebbe con tutta sé stessa un figlio non lo può avere, e ciò provoca in lei un senso di inadeguatezza, la seconda invece è costretta a rinunciarvi a causa dell’età e della situazione familiare, generando in lei nel tempo un forte senso di colpa.

—Recensione di Delia Pompili.

Bushi no kondate – Tale of Samurai Cooking || AFS Spring 2022

Ciao a tutt* e bentornat* sul nostro canale. Oggi vi presentiamo la quarta pellicola della rassegna AFS Spring 2022 in collaborazione con Asia Institute, Bushi no kondate di Asahara Yūzō.

I Funaki, un tempo una famiglia samuraica, si trovano relegati in cucina. A soffrirne più di tutti è Yasunobu, giovane erede dei Funaki, che ama tutto ciò che riguarda l’essere un samurai ma è costretto a rinunciarvi dopo l’improvvisa morte del fratello maggiore. Volendo partecipare a lotte e rivolte, non sopporta di dover stare ai fornelli ma è qui che interviene Haru, cameriera della moglie del damyō. Il padre di Yasunobu, infatti, nota la sua abilità culinaria e si convince che potrebbe aiutare il figlio. Così incentiva un matrimonio fra i due.

In questa pellicola è molto interessante il ruolo che assume il cibo: durante l’addestramento culinario di Yasunobu, ci vengono svelati alcuni dei segreti dei piatti e alcune delle attenzioni da riservare loro durante la preparazione. Durante una sfida fra Yasunobu e Haru capiamo che la bontà del pesce crudo, ad esempio, dipende dal taglio del cuoco. Un cattivo taglio lo porterebbe ad assorbire troppa salsa di soia, mentre un buon taglio ne conserverebbe tutte le qualità per poterlo gustare al meglio. Vi lasciamo immaginare di chi sarà il taglio migliore.

Bushi no kondate è stato presentato ai Film Festival di San Sebastian, delle Hawaii, di Tokyo e di Berlino. Ha ricevuto due nomination nel 2014 per migliore attrice e per migliore attrice non protagonista alla 37esima edizione del Japan Academy Film Prize. Inoltre, alcune delle ricette sono state prese davvero dalla tradizione della famiglia Funaki. Questo piccolo scorcio che ci offre  sulla cucina giapponese è sicuramente un motivo in più per guardarlo.

Vi aspettiamo quindi il 15 marzo alle 21 al Cinema Rialto con Bushi no kondate. Potete guardare il trailer cliccando qui, i biglietti invece sono acquistabili qui. A presto!

Doi Nobuhiro parte 2 || Akushon! – I registi di JFS

Eccoci all’appuntamento n°2 su Doi Nobuhiro e la sua filmografia! Questa è Akushon, la rubrica dei registi di JFS. Seguiteci!

Hanamizuki è un film del 2010 che ci narra la storia d’amore appassionata e allo stesso tempo tormentata dei due protagonisti. Sae e Kōhei sono rispettivamente una ragazza molto dedita agli studi e un apprendista pescatore, che vivono in un paesino sperduto dell’Hokkaido e che, in maniera molto casuale, si conoscono e innamorano. La loro storia funziona alla perfezione, ma comincia a deteriorarsi dal momento in cui Sae entra in una prestigiosa università della capitale e si allontana dalla propria terra. Il sentimento tra i due soffre diversi colpi ma resiste, mentre la relazione si dimostra fragile e suscettibile all’ingresso di nuove figure nel corso della storia. L’interpretazione di Aragaki Yui e di Ikuta Tōma è apprezzabile e in generale il film descrive bene l’altalenare delle emozioni dei due, che rimangono sempre legati da un sentimento importante, simile al filo rosso del destino (akai ito) che unisce le coppie di amanti nell’immaginario giapponese. 

Ora due parole su The voice of sin, Tsumi no koe. Uscita nel 2020, questa pellicola di suspense si basa sul romanzo omonimo di Shiota Takeshi, ispirato alle vicende del cold case Glico Morinaga risalente agli anni ’80. Un reporter di nome Eiji indaga su un caso insoluto da più di 30 anni, dove un gruppo di persone estorceva denaro a grandi compagnie. Pare che nella dinamica del crimine siano coinvolte delle audiocassette da cui emergono le voci di tre bambini. Apparentemente, una di queste cassette viene ritrovata da un sarto di Kyoto, Sone, che la rinviene rovistando tra vecchi scatoloni del padre. La voce incisa è la sua e questo lo spinge a cominciare un percorso di ricerca della soluzione del caso, parallelo a quello del giornalista, ma con finalità totalmente diverse. Con un buon quantitativo di dorama che tuttavia non indulge in scene scontate o melense, il ritmo del film si mantiene elevato per più di due ore e propone una possibile riflessione su questo caso tuttora irrisolto della cronaca giapponese.

Continuiamo con Birigyaru, localizzato come Flying Colors, uscito nelle sale nel 2015. Con una brillante commedia drammatica Doi ci racconta la storia di Sayaka kudo, una vera e propria gyaru che trova a scontrarsi con il sistema scolastico giapponese. Dopo una sospensione da scuola per farla pagare al suo professore decide di entrare alla Keio University; per farlo però dovrà frequentare una scuola preparatoria dove incontrerà Tsubota Yoshitaka, un insegnante eccentrico che basa il suo insegnamento sugli interessi dei suoi alunni. Il regista rappresenta con un cast giovane e talentuoso una storia di redenzione molto classica ma con un taglio registico diverso, simi le ad una serie tv che la rende più apprezzabile e unica nel suo genere. Inoltre, alcuni personaggi con le loro assurde motivazioni rendono ancora più peculiare la pellicola.

Concludiamo con Ima ai ni yukimasu, noto con il titolo internazionale di Be with you, del 2004. La pellicola da voce alla storia di Takumi e Yūji, una coppia padre e figlio che l’anno prima dell’inizio del film hanno visto morire Mio, madre di Yūji nonché moglie di Takumi. Tuttavia, Mio prima di morire fa una promessa dicendo che nella prossima stagione delle piogge ella sarebbe ritornata. Ai protagonisti sembra impossibile mantenere una promessa del genere, ma durante la predetta stagione delle piogge ritroveranno Mio che purtroppo però ha perso tutti i ricordi della sua vita precedente. Una storia drammatica questa volta con un taglio molto più classico rispetto ad altre pellicole posteriori ma che comunque riesce a comunicare tutti i suoi messaggi grazie alla delicatezza dell’occhio registico di Doi Nobuhiro.

E anche per questo regista siamo giunti alla fine! Potete guardare il nostro video qui. Se volete approfondire le vite e le opere di altri registi giapponesi non vi resta che continuare a seguirci con Akushon!

 

Doi Nobuhiro parte 1 || Akushon! – I registi di JFS

Ben ritrovati! Questa è Akushon!, la rubrica dei registi giapponesi di JFS e oggi vi parliamo di Doi Nobuhiro!

Nato a metà degli anni ’60 nella prefettura di Hiroshima, Doi cresce con una passione per il cinema trasmessagli anche dall’opera del concittadino Hasegawa Kazuhiko, specialmente tramite la pellicola Taiyō wo Nusunda Otoko, resa in inglese col titolo The man who stole the sun. All’università, Doi frequenta l’ateneo Waseda della capitale e si laurea nell’ambito delle scienze politiche ed economiche. È in questo periodo che prende i primi contatti anche col palcoscenico, facendo parte di un gruppo di ricerca sulle arti drammatiche nell’ambiente universitario stesso. Una volta laureato, entra a far parte della nota emittente TBS di cui dirige diverse serie tv molto viste e presenti nel dibattito di pubblico e critica, a tal punto da essere ribattezzato come “regista-asso” del canale TBS. Tra i dorama più rilevanti della sua carriera troviamo Ai shite iru to itte kure, in inglese Tell me that you love me, insieme a Beautiful Life e Good Luck. Tra i film da lui girati spiccano titoli come Ima, ai ni yukimasu e Nada Sōsō, noto anche col titolo di Tears for you.

Come abbiamo detto, la carriera di Doi Nobuhiro inizia nel piccolo schermo e tutt’ora le sue principali opere sono destinate per questo medium, infatti contiamo soltanto 8 lungometraggi. Questa sua attività sulle serie tv, soprattutto dorama, si rifletterà nella sua produzione cinematografica regalandoci delle opere con un taglio registico tipico di una serie tv ma che comunque riesce a rimanere godevole nel lungometraggio. Tra le sue opere possiamo menzionare Ima, ai ni yukimasu del 2004 nonché opera prima, Hanamizuki del 2010 dove troviamo rappresentata una storia a distanza tra una giovane ragazza e un aspirante pescatore, Birigyaru del 2015, lungometraggio sul riscatto di una ragazza del liceo considerata senza speranze e, infine, The voice of Sin, uno degli ultimi apprezzati lavori del regista.

Se vi abbiamo incuriosito con la vita di Doi Nobuhiro, continuate a seguirci per scoprire di più sulle opere menzionate nel video di oggi. A mercoledì prossimo con Akushon!