Flying Colors (2015)

Flying Colors (ビリギャル)

Durata: 117 minuti
Regia: Doi Nobuhiro
Attori principali: Arimura Kasumi, Itō Atsushi
Musica: Segawa Eishi
Anno: 2015

In Flying Colors, in giapponese Biri Gyaru (ビリギャル), Doi Nobuhiro ci fornisce una prova per certi versi semplice e prevedibile, che tuttavia ci colpisce per la fluidità della narrazione e la sincerità dei momenti drammatici, senza scadere in un lirismo o un’affettazione facilmente riscontrabili in prove su temi simili (come può essere la biografia su uno spezzone di vita tratto da una storia vera e con un finale felice). Sayaka, interpretata dalla nota Arimura Kasumi, è un’adolescente con difficili rapporti sociali e una passione per le minigonne e le tinte per capelli. Visibilmente indifferente ai suoi risultati scolastici, per motivi superficiali decide di tentare l’esame d’ingresso a una delle più prestigiose università della capitale, l’ateneo Keio. L’impresa appare disperata, ma la madre, impersonata da Yoshida Yō, cerca sinceramente il bene della figlia e la iscrive a un doposcuola di preparazione agli esami d’ingresso all’Università. Chiave di volta del suo cambiamento è il mentore che prende a cuore la situazione di Sayaka, il dedito e creativo Yoshitaka. Grazie alle idee mirabolanti dell’insegnante e all’impegno indefesso della neo-studentessa, il traguardo viene raggiunto e il finale felice è garantito, così come nella storia reale da cui è tratta la sceneggiatura.

La prova degli attori alza il livello qualitativo della pellicola e in essa si distinguono tanto la studentessa e l’insegnante, quanto i genitori della ragazza. Questi ultimi in particolare riescono a conferire un taglio davvero umano alla relazione adolescente-genitore, specialmente nell’ambito della lite familiare occasionata dal padre nel suo pervicace sostegno a un’improbabile carriera da giocatore di baseball professionista dell’altro figlio, Ryūta. Nel corso del film si tocca inoltre uno dei temi portanti vissuti dall’adolescenza giapponese, ossia la questione degli esami d’ingresso all’Università, grande croce del sistema educativo nipponico (e, più in generale, asiatico). L’approccio traumatico a questo sistema viene ammorbidito dalla figura del maestro, che trasmette un’immagine totalmente positiva e ricca di speranze per la protagonista (e, in generale, per il mondo studentesco). In conclusione, il film trasmette in maniera efficace e diretta le emozioni di cui si imbevono i suoi protagonisti, dei quali risalta l’ottima capacità attoriale e che di fatto rendono l’opera un intrattenimento leggero e piacevole.

—Recensione di Antongiorgio Tognoli.

I’m a cyborg but that’s ok || AFS Spring 2022

Ciao a tutti e bentornati sul nostro canale. Oggi vi presentiamo la terza pellicola della nostra rassegna in collaborazione con Asia Institute, I’m a cyborg but that’s ok, un film coreano del 2006 diretto da Pak Chan-wook.

Cha Young-goon passa la sua infanzia con la nonna materna affetta da una malattia mentale che le fa credere di essere una mamma topo. Quando quest’ultima viene fatta internare in un ospedale psichiatrico dai figli, verrà privata della sua dentiera per evitare che continui a mangiare i suoi adorati rafani che mettono a rischio la sua salute. Young-goon, traumatizzata dal brusco distacco, si convince di essere un cyborg in grado di parlare, grazie alla dentiera della nonna, con gli apparecchi elettronici rimasti i suoi unici amici.

Un giorno, nel tentativo di ricaricare le proprie batterie, inserisce cavi elettrici nel suo polso. Verrà ricoverata in un ospedale dove, dopo un’iniziale solitudine, riuscirà a stringere un legame con Pak Il-sun, un paziente schizofrenico e asociale, convinto di poter rubare l’essenza altrui. È a lui che Young-goon chiederà aiuto per portare a termine la sua missione: uccidere tutti i ‘camici bianchi’ e riportare la dentiera alla nonna.

Fra i numerosi premi ricordiamo quelli al regista Pak Chan-wook al Festival internazionale del Cinema di Berlino e al Festival du Nouveau Cinéma di Montrèal e anche il premio per miglior sceneggiatura al Festival Internazionale del Cinema Fantastico della Catalogna.

Il film è un delicato e attento racconto delle malattie mentali e dalla solitudine del diverso che esse stesse causano. Ma non è su questo che è incentrata la pellicola: il regista abbandona l’approccio razionalista per dare vita a una commedia surreale nella quale i giochi e i sogni dei personaggi, spinti da un’iniziale anarchia, trovano il modo di unirsi e completarsi per dare vita a uno stadio di pace simile alla guarigione.

Vi aspettiamo il 22 febbraio alle 21 al Cinema Rialto con I’m a cyborg but that’s ok. Biglietti in vendita qui, trailer disponibile qui

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Hiroki Ryūichi parte 2 || Akushon! – I registi di JFS

Eccoci ritornati con il secondo atto dell’opera di Hiroki Ryūichi! Questa è Akushon!, la rubrica dei registi di JFS, si parte!

Adattamento del romanzo omonimo firmato da Akasaka Mari, Vibrator ritrae l’incontro tra una scrittrice freelance segnata da accompagnata da “voci interiori” con un camionista sicuro di sé e che la aiuterà a scoprire la propria sessualità e autoconsapevolezza. Rei e Takatoshi intraprendono perciò una sorta di road trip insieme, viaggiando sul camion di lui fino all’Hokkaido e ritorno. I due cominciano un percorso di reciproca apertura, marcato da pochi ma significativi dialoghi e da una sorta di intesa a pelle che gli consente di costruire un legame fuori dal comune. Terajima Shinobu ha meritatamente conquistato il premio come miglior attrice al Tokyo Film Festival del 2003 per la propria interpretazione, superando la comunque valida prova del co-protagonista, il noto Ōmori Nao che appare anche nelle scene di Ichi the Killer.

Conosciuto anche come Tokyo Love Hotel, il film Sayonara Kabukichō è un curioso spaccato del 2014 su diversi nodi della società nipponica. Il fulcro della pellicola è un hotel a ore, uno dei tanti nidi dove si rifugiano individui emarginati, tra lavori squallidi e insoddisfazioni personali. Nel contesto di questo edificio, una serie di coppie vivono vicissitudini che daranno esiti differenti: chi si lascia, chi si ritrova dopo essersi perso, il tutto in una cornice dove l’amor carnale è spiacevole e ridicolo e l’affetto si annida nelle crepe della realtà quotidiana, insinuandosi dove può, spesso con piccole attenzioni e gesti misurati. Danno un’ottima prova della propria capacità attoriale la squillo Iria, interpretata dall’attrice coreana Lee Eun-woo, e il giovane Toru, uno dei dipendenti del love hotel, portato in scena dall’attore Sometani Shōta. In questa opera del regista, in tono quasi spensierato si narrano le difficoltà delle fasce al margine: prostitute e ragazze a domicilio, la xenofobia e i problemi a integrarsi in una società monolitica, la povertà e la frustrazione di non poter guadagnare con un lavoro dignitoso, e sullo sfondo l’indimenticabile disastro del Tōhoku che popola ancora l’immaginario dei giapponesi.

Il terzo Film di cui vi parleremo è Raiō, uscito nelle sale giapponesi nel 2010. Il lungometraggio racconta la storia di Narimichi, nobile appartenente alla famiglia Tokugawa, che incuriosito da una storia su un Tengu che vive fra le montagne decide di partire alla ricerca del demone. Qui conoscerà Rai, una donna dal passato controverso che cerca in tutti i modi di proteggere la montagna dove vive. I due si innamorano, ed è proprio su questo rapporto, impossibile per l’epoca, che il regista cerca di indagare ed esprimere tutta la sua filosofia cinematografica; sia attraverso scene che visivamente rappresentano la distanza sociale tra i due protagonisti, sia con scene da vero e proprio melodramma storico.

L’ultimo lungometraggio di oggi è Daijōbu san kumi del 2013. I legami interpersonali sono al centro della visione del regista; in questo film però egli non si concentrerà più sull’amore tra uomo e donna ma estenderà questa sua visione al rapporto professore-alunni. Come soggetto però non sceglierà un professore qualsiasi, infatti Akao Shinosuke nasce senza arti ma decide comunque di proseguire con la sua carriera. Il regista però sceglie di raccontare la storia dal punto di vista di Shiraishi Yusaku, un membro del consiglio studentesco con una visione un po’ antiquata dell’ambiente scolastico. La visione che si ottiene quindi è una visione oggettiva e cruda di quelli che possono essere i problemi dia fisici che psicologici di una classe particolare e stravagante come questa.

E con oggi concludiamo il nostro approfondimento su Hiroki Ryūichi! Potete guardare il nostro video qui. Se siete curiosi di conoscere le storie di altri registi giapponesi continuate a seguire Akushon!

Unforgiven || AFS Spring 2022

Ciao a tutti e bentornati sul nostro canale. Oggi vi presentiamo il secondo film della nostra rassegna in collaborazione con Asia Institute, Unforgiven, di Lee Sang-il.

Poco dopo l’inizio del periodo Meiji, un ex samurai, Kamata Jūbei, dopo aver combattuto contro il governo imperiale, uccide i suoi inseguitori e si rifugia a nord, nell’isola dell’Hokkaidō. 11 anni dopo, in un villaggio di frontiera, una coppia di fratelli, dopo essere stati derisi da una prostituta, decidono di sfregiarla ma ricevono dallo sceriffo una punizione minima che fa indignare le donne.

La tranquilla vita che Jūbei conduce coi suoi due figli viene sconvolta dalla visita di Kingo, un suo ex compagno d’armi. Assoldato dalle prostitute del bordello desiderose di giustizia, chiede al vecchio amico di aiutarlo nel suo compito. Nonostante l’incertezza, Jūbei accetta e lascia i due figli in custodia alla vicina comunità di Ainu. I due sicari saranno presto affiancati da uno strambo giovane che li accompagnerà fino al villaggio 

La pellicola è un remake de Gli spietati, del 1992, diretto e interpretato da Clint Eastwood la cui trama è però adattata alla realtà del Giappone di tardo 19esimo secolo.

Il film è stato proiettato in anteprima mondiale, fuori concorso, durante la 70esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Diversamente dagli altri film a tema samuraico, Unforgiven non parla solo della rovina della figura del samurai, ma tratta anche degli abusi perpetrati dal governo giapponese contro gli Ainu, il gruppo etnico nativo dell’isola più a nord dell’arcipelago. Questi furono brutalmente costretti a sottomettersi al governo centrale e ad abbandonare le loro tradizioni e i loro costumi a favore della cultura dominante del Paese.

Guardate il nostro trailer qui!

Vi aspettiamo quindi l’8 febbraio alle 21 al Cinema Rialto con Unforgiven. I biglietti sono acquistabili cliccando qui.

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I have to buy new shoes (2012)

Titolo originale: 新しい靴を買わなくちゃ
Regista: Kitagawa Eriko
Uscita al cinema: 6 ottobre 2012
Durata: 115 Minuti

Sinossi
Il giovane fotografo Yagami Sen (Mukai Osamu) parte insieme a sua sorella Suzume (Kiritani Mirei ) per una vacanza a Parigi. All’arrivo, viene però abbandonato da quest’ultima, che scappa per fare una visita a sorpresa al suo ragazzo, Kango (Vai Ayano), artista giapponese ora residente nella città.
Quello che sembra un’infelice circostanza, si rivela ben presto un incontro fortunato per Sen che, nei pressi del fiume Senna, si imbatte in Teshigawara Aoi (Nakayama Miho), affascinante quanto malinconica editrice di riviste, quando, inciampando sul passaporto di lui, spezza il tacco della sua scarpa.
Obbligata nei confronti di Sen, che a seguito dell’incidente le ripara momentaneamente la scarpa, prima di fuggire a lavoro Aoi lascia il suo biglietto da visita al fotografo che ora deve recarsi all’ambasciata.

Quella che nasce come una gentilezza tra due sfortunati sconosciuti, si trasforma ben presto una premurosa affinità e tra il timido imbarazzo di entrambi, ma nell’audacia che solo il breve tempo di un viaggio può incoraggiare, Sen finisce per spendere il tempo a disposizione nella suggestiva città dell’amore in compagnia della solitaria ed esperta Aoi.

Con I have to buy new shoes, la sceneggiatrice e regista, Kitagawa Eriko, lascia ancora una volta la sua impronta nel cinema nipponico, affascinando con il suo aggraziato sguardo sull’amore.
La Kitagawa, senza mai cadere in banali cliché, fa della sua pellicola un tributo al romanticismo in tutte le sue dimensioni, celebrato dalla differenza tra Aoi e Sen, lei di una decina di anni più grande di lui. Una differenza che non diviene mai semplice ostacolo narrativo ma che arricchisce e caratterizza la reciproca attrazione.
I have to buy new shoes è una pellicola delicata, squisitamente montata che vanta di una sapiente fotografia, semplice e pulita, che riesce a evocare la più classica atmosfera parigina senza cadere in nessuna stucchevolezza. Accompagnata dalle melodie di compositori del calibro di Sakamoto Ryuuichi, la Nakayama affascina nel suo ruolo di Aoi tanto quanto la Parigi che passeggia sui suoi tacchi eleganti, gradevolmente equilibrata dal più giovane Mukai, nei panni dello spigliato ma affidabile Sen.
I have to buy new shoes è una commedia romantica dal gusto agrodolce, un film permeato di speranza e malinconia, che delicatamente avvolgono lo spettatore e lo accompagnano fino ai titoli di coda.

 

—Recensione di Claudia Ciccacci