Attori principali: Takayuki Hamatsu, Harumi Syuhama, Mao Higurashi
“Zombie contro zombie”, il cui titolo originale è “One cut of the dead”, è un film che parla della realizzazione di un film ambientato durante le riprese di un film.
Proviamo a spiegarci meglio, la storia è divisa in tre parti: nella prima vediamo una troupe intenta a realizzare un film horror all’interno di un impianto di filtraggio d’acqua abbandonato. La leggenda vuole che l’edificio sia infestato dagli zombie perché è stato usato anni prima dall’esercito giapponese per sperimentazioni sugli esseri umani. Il regista è molto esigente, quasi manesco nei confronti degli attori e pretende che la recitazione sia il più credibile possibile. Ad un certo punto due membri della troupe vengono morsi da uno zombie, diventando zombie a loro volta, ma il regista, entusiasta che la realtà diventi essa stessa il racconto, continua a girare con la sua macchina da presa. Dopo una serie di risvolti rocamboleschi l’unica a rimanere in vita è la giovane attrice Chinatsu.
Appena dopo i titoli di coda sentiamo “ok, stop!” che ci porta fuori dalla diegesi e ci fa capire che tutto quello che è successo era le riprese di un altro film. Nel secondo atto, ambientato un mese prima, al regista Higurashi viene commissionato, da parte di un’emittente televisiva, un mediometraggio horror in diretta girandolo con un unico piano sequenza. Higurashi accetta questa proposta al limite dell’impossibile e si dedica al casting e alle prove, coinvolgendo la figlia come aiuto alla regia e la moglie come attrice. La terza e ultima parte consiste nella messa in atto del telefilm, visto stavolta dalla parte della vera troupe, mostrandoci tutti gli imprevisti che hanno portato a cambiamenti repentini rispetto alla sceneggiatura di partenza come caviglie slogate e attacchi di diarrea. Questa parte giustifica alcune soluzioni di regia che sembrano il frutto di una negligenza registica.
L’incipit si presenta come un zombie-movie indipendente al limite del trash, nonostante un magistrale piano sequenza di quasi quaranta minuti che ricorda il linguaggio dei videogiochi. Ma i toni in seguito si fanno leggeri e divertenti e il film ci svela il dietro le quinte di una produzione low budget dove l’errore e il tentativo di risolverlo costituiscono l’espediente comico principale.
Quando si tratta di film metanarrativi o ambientati su un set cinematografico la dialettica tra realtà e finzione emerge spontaneamente e “Zombie contro zombie” non fa eccezione: Harumi, la moglie di Higurashi, in passato ha dovuto rinunciare alla recitazione perché si immedesimava troppo nei personaggi e questo eccessivo coinvolgimento emerge durante le riprese, mettendo in difficoltà gli altri attori. Un altro esempio è Hosoda, l’attore che interpreta il direttore della fotografia, il quale prima di entrare in scena si beve un’intera bottiglia di sakè stordendosi completamente. Una volta che il suo personaggio diventa zombie, Hosoda non sta recitando ma il suo barcollare deriva dalla sua condizione psicofisica.
Un film a dir poco geniale che si sviluppa su tre livelli di narrazione, come una matrioska di racconti, però creato in modo tale che lo spettatore possa orientarsi senza confondersi.
Oggi parleremo di Kigeki Aisai Monogatari, anche noto come “A beloved wife”, una commedia del 2019 diretta da Adachi Shin. Il film tratta di Gota, un uomo sposato con sua moglie Chika da ormai dieci anni, che tuttavia sta passando assieme a lei un periodo molto duro e privo di affetto nella loro vita matrimoniale. Nonostante i tentativi di Gota di migliorare la situazione, Chika rimane fredda, in quanto lei non ritiene che il lavoro da sceneggiatore di Gota porti a casa abbastanza soldi.
Tuttavia, la situazione comincia a cambiare quando a Gota viene offerto di scrivere una sceneggiatura che lo porta a viaggiare nella prefettura di Kanagawa. Lui riesce a convincere Chika e la figlia Aki a seguirlo e durante questo viaggio di famiglia tenteranno di ricostruire i rapporti. Kigeki Aisai Monogatari è una pellicola tratta da un libro scritto dal regista stesso, che vi ha inserito abbastanza elementi della propria vita da rendere il film un lavoro semi-autobiografico.
Se volete saperne di più sui film giapponesi, continuate a seguirci sui nostri canali social!
Regia: Otomo Keishi Durata: 168 min Anno di uscita: 2023 Attori principali: Kimura Takuya, Ayase Haruka, Nakatani Miki Genere: Dramma, Storico, Romance, Comedy
In onore del 70° anniversario dello studio Toei, il film The Legend & Butterfly è stato prodotto dai migliori cast e staff del cinema giapponese. Con un costo totale di produzione di 2 miliardi di yen, questo grande successo emozionante è stato proiettato durante il Far East Film Festival 25 in anteprima nazionale, raccontando la storia sconosciuta del noto e leggendario Nobunaga Oda e della misteriosa Lady Nō (Nōhime) conosciuta anche come Kichō, la moglie legale di Nobunaga. Il suo nome completo era Kichō, ma poiché proveniva dalla provincia di Mino, è più comunemente nota come Nōhime (“Signora di Mino”). Era famosa per la sua bellezza e astuzia, perfettamente trasmessa dall’attrice Ayase Haruka all’interno del film. “The Legend & Butterfly” trova senza dubbio il suo centro nella fiction ma si distingue per la sua accurata ricostruzione storica e per la riuscita rappresentazione dei personaggi principali. La storia si concentra sulla figura di Nobunaga, interpretato da Takuya Kimura, che offre una performance multiforme e convincente. Nobunaga è ritratto come un personaggio sfaccettato, spesso crudele, ma anche intelligente, razionale, divertente, emotivo e persino commovente. Oltre alla figura di Nobunaga, il film propone un personaggio altrettanto interessante: Lady Nō, interpretata da Haruka Ayase. Nonostante la scarsa documentazione storica sulla vera personalità di Lady Nō, i registi hanno creato una figura affascinante e determinata, in linea con la tradizione delle onna-musha, le donne guerriere. La loro relazione è al centro della narrazione e il loro evolversi, da sconosciuti scontrosi ad alleati riluttanti, fino ad amanti appassionati, è raccontato con grande sensibilità e maestria. Il film non è solo una ricostruzione storica, ma anche una romantica storia d’amore tra i due. Le scene d’azione non appaiono spesso ma la loro mancanza non rappresenta un difetto, poiché consente di concentrarsi sulla presentazione dei personaggi e sulla relazione che cresce e si sviluppa nel corso del film. Ciò che emerge è una rappresentazione emotivamente coinvolgente e convincente della storia d’amore tra Nobunaga e Lady Nō.
La performance impeccabile degli attori e la regia attenta e sensibile rendono The Legend & Butterfly un film imperdibile per gli appassionati di storia giapponese e di storie d’amore. La storia inizia con il matrimonio politico nel 1549 tra il figlio del signore della provincia di Owari, Nobunaga, e Nōhime, figlia del signore della provincia di Mino soprannominato “La Vipera”. Nobunaga è erede del dominio di Owari e si dimostra fiero e arrogante, ma anche eccentrico, divertendosi con i suoi servitori e vestendo in modo sgargiante ma trasandato. Nōhime lo considera in un primo momento un uomo infantile e testardo. La svolta avviene nel 1560 quando Nobunaga, ormai signore di Owari, si trova di fronte a un’armata assai più grande della sua. I suoi servitori non hanno fiducia in lui e la situazione sta per aggravarsi ma Nōhime propone un geniale piano di battaglia e aiuta a mettere insieme Nobunaga un discorso per motivare le truppe. Le sue idee si rivelano brillanti e Nobunaga si rende conto che la sua moglie, anche se difficile da gestire, ha le sue utilità. Il film poi passa alla lunga e sanguinosa lotta di Nobunaga per distruggere i suoi nemici e unificare il Giappone, dove gli anni scorrono rapidamente. Lungo il cammino, Nobunaga e Nōhime finalmente si connettono romanticamente durante una giornata in città dopo essersi travestiti da campagnoli e riversati nella folla. Da qui in poi la loro storia segue un percorso romantico convenzionale, con i suoi alti e bassi nel corso degli anni.
Titolo originale: 男はつらいよ (Otoko wa tsurai yo) Regia:Yamada Yōji Durata: 91 minuti Attori principali: Atsumi Kiyoshi, Baishō Chieko, Mitsumoto Sachiko, Ryū Chishū, Shimura Takashi, Maeda Gin Anno: 1969
Proiettato in occasione del tributo a Baishō Chieko durante il Far East Festival 25, Tora-san, Our Lovable Tramp – primo film di una delle lunghe e iconiche serie dirette da Yamada Yōji – è stato selezionato personalmente dalla sopra citata leggendaria attrice, fresca di Palmo d’Oro alla carriera, grazie al quale il ruolo di Sakura, da lei interpretato, sorella minore del protagonista della pellicola, ha consolidato la sua posizione nell’albo d’oro della storia del cinema giapponese e le ha garantito fama mondiale.
Viene introdotto per la prima volta un personaggio destinato a diventare un simbolo nazionale; il suo nome è Kuruma Torajirō, detto Tora, venditore ambulante che gira per tutto il Giappone, interpretato dallo splendido e impeccabile Atsumi Kiyoshi. Il portamento pesante e goffo, il modo di rivolgersi agli altri eccessivamente diretto e grossolano, il carattere rozzo e la sua immaturità, dietro cui si cela un grande cuore, hanno contribuito alla creazione di una vera e propria icona – come Totò in Italia o Charlie Chaplin in Inghilterra – destinata a entrare indelebilmente nell’immaginario giapponese, accompagnando gli spettatori dal 1969 al 1995 nelle sue avventure proiettate in ben 48 episodi.
La caratterizzazione caricaturale e leggera di Tora trova subito spazio nella primissima scena, dove si presenta rivolgendosi allo spettatore con un voiceover eccentrico, in cui racconta di essere nato e cresciuto nel quartiere di Shibamata, nello shitamachi di Tokyo. Dopo un litigio con il padre, lasciò improvvisamente famiglia e città e girò tutto il Giappone diventando, come anticipato prima, un venditore ambulante. Dopo vent’anni di assenza, durante i quali tutti gli abitanti del quartiere pensavano che fosse morto, guidato dalla nostalgia torna nel suo luogo di nascita, dove viene accolto dagli zii e dalla sorella minore, Sakura. Quest’ultima, dopo la morte dei genitori, lavorava in un’azienda di elettronica; il suo datore di lavoro aveva organizzato per lei un matrimonio con un collega. In occasione dell’omiai, l’incontro formale dei promessi sposi insieme alle famiglie e a un intermediario, Tora prende il posto dello zio, ancora alle prese con i postumi della sbornia del giorno precedente, e manda all’aria ogni speranza di successo dell’incontro, conseguenza del suo fare bambinesco e scurrile, a cui si accompagnano battute squallide e uno stato di ubriachezza che sortiscono un effetto comico arricchito anche dal linguaggio del corpo e dal tono di voce. Tornati a casa dopo l’infausta brutta figura, Tora litiga con gli zii e decide di partire di nuovo, dirigendosi a Nara, dove incontra Fuyuko, figlia del sacerdote del tempio. Il suo aspetto esteriore elegante e le maniere aggraziate – tipiche dell’ojōsan – affascinano e fanno innamorare Tora, il quale torna a Shibamata accompagnando la giovane ragazza e il padre in occasione della visita al negozio di dango, gestito dai suoi zii. Da questo momento la vita di Tora sarà contraddistinta da momenti significativi, con le prospettive matrimoniali della sorella e il corteggiamento di Fuyuko, che lo metteranno davanti a delle decisioni delicate in cui vengono fuori la sua empatia e gentilezza, finora celate dai suoi modi zotici.
Il mondo di Tora fluttua tra un Giappone in via di modernizzazione e richiami nostalgici al passato; in un contesto storico dove il paese si trovava impoverito di stimoli e ideali, Yamada Yōji riporta sullo schermo i valori cardine della tradizione e della cultura giapponese, come la famiglia e gli affetti, che mirano a far riscoprire allo spettatore quella semplicità andata perduta nel secondo dopoguerra. La volontà di attingere alla tradizione non è però un mero e disperato tentativo, fine a se stesso, di recuperare uno spirito ormai perduto; il contrasto con l’approccio alla modernità è inevitabile, e in questo ambito il ruolo di Sakura tratteggia un delicato e graduale mutamento del ruolo della donna, membro attivo della società con un lavoro e una propria indipendenza. La giovane, infatti, si oppone ai matrimoni combinati, pur mantenendo una dedizione e una cura encomiabili verso la famiglia, accogliendo e accettando Tora nei suoi pregi e difetti e proteggendolo da un contesto dove il suo desiderio di integrarsi nella società non può avverarsi.
Cinema popolare e autorialità si armonizzano, così come modernità e tradizione; Yamada attinge alla classicità nella squisita successione di sequenze comiche, e cura molto lo stile nelle inquadrature e nella fedelissima ed elegante ricostruzione dello shitamachi,; d’altra parte, la dinamicità della narrazione e la sentimentalità dei personaggi aderiscono all’inquietudine del periodo, conferendo all’opera un rilevante realismo.
In conclusione, le diverse ispirazioni di Yamada nell’ambito cinematografico, storico, sociale e culturale confluiscono in un classico che trascende tempo e luogo, che risuona nel cuore di tutti coloro che accompagnano Tora nel suo lungo viaggio.
Baishō Chieko continua a regalare momenti di grande eccitazione agli spettatori del Far East Film Festival 25. Dopo aver ricevuto il Gelso D’Oro alla carriera durante l’introduzione di Plan 75 di HayakawaChie, introduce la visione ad uno dei più grandi capolavori della cinematografia giapponese di cui essa stessa fa parte, Kazoku. Pellicola scelta personalmente dalla Baishō stessa insieme a Tora-San che la lega indissolubilmente al regista YamadaYōji.
Kazoku (1970) racconta la storia di una famiglia che, a causa della perdita del lavoro nella miniera di carbone da parte del capofamiglia, dal Kyūshū decide di partire verso l’Hokkaidō, attraversando interamente il Giappone, per iniziare una nuova vita come allevatori in una latteria. ll viaggio è costellato di difficoltà, tra interminabili viaggi in treno ed episodi drammatici dai quali la famiglia ne uscirà terribilmente provata ed esausta. Le tragedie familiari fanno da cardine nel racconto e vengono utilizzate dal regista proprio come transizione tra un capitolo del racconto ad un altro ed è proprio una volta arrivati alla stazione di Tokyo che l’intera famiglia riflette sulle scelte prese e se il viaggio sia stato davvero così indispensabile.
Il modus operandi nel raccontare la trama è semplice quanto geniale; ogni episodio è scandito dalla stazione nella quale i protagonisti decidono di scendere per effettuare cambi o cercare riposo. Kazoku non ha l’intenzione di essere un film che critica il Giappone della propria epoca eppure la critica la si ritrova intrinseca dentro il racconto stesso. Vediamo un Giappone in una spasmodica ascesa economica che lascia indietro le comunità che non fanno parte dei centri di maggior sviluppo; la critica la si ritrova proprio nella realtà e nell’ambiente che viene vissuto dai protagonisti in viaggio.
La pellicola termina con l’arrivo della famiglia a destinazione, con l’annuncio di gravidanza da parte di Baisho e la nascita di un vitello che segna l’inizio di una nuova vita in Hokkaidō. Kazoku fa sicuramente parte dell’Olimpo d’oro della cinematografia giapponese grazie alla grande capacità di raccontare drammi familiare da parte di Yamada Yōji.
Commenti recenti