House of the Hummingbird || AFS Spring 2023

L’Associazione Takamori è lieta di presentare House of the Hummingbird, la prossima pellicola in proiezione per Martedì 18 Aprile al cinema Rialto di Bologna!

House of Hummingbird è un dramma del 2018 diretto da Bora Kim.
Nel 1994 Eun-Hee, ragazza di quattordici anni che ama disegnare, si sta preparando per entrare al liceo. Viene abusata dai genitori, insieme alla sorella, però trova conforto nella nuova insegnate Ms. Kim, che la aiuterà e la guiderà in questo periodo difficile della sua vita.

Per acquistare i biglietti cliccate qui o visitate il sito web di circuitocinemabologna.it

Vi aspettiamo!

Tsukamoto Shin’ya Parte 1 || Akushon! – I Registi di JFS

Bentrovati! Questa è Akushon! La rubrica di Associazione Takamori sui registi giapponesi. Oggi vi parliamo di Tsukamoto Shinya.

Se volete approfondire meglio la filmografia di Tsukamoto Shinya continuate a seguirci per scoprire di più sulle opere menzionate nel video di oggi.
A presto!

Kore’eda, cinema della memoria || Articolo de Il Manifesto

Frame di Nobody Know (誰も知らない) (2004)

Articolo di Matteo Boscarol pubblicato l’1 Aprile 2023

Nei più di trent’anni di carriera e specialmente nell’ultimo decennio, dopo cioè la conquista della Palma d’Oro con Un affare di famiglia nel 2018, Hirokazu Kore’eda si è affermato come una delle voci più importanti e seguite nel panorama cinematografico internazionale.

Il suo ultimo lavoro, Monster, il primo tratto da un soggetto non suo, sarà con ogni probabilità presentato a Cannes, dove il regista è oramai diventato un habitué.

Non è una sorpresa quindi che la sua produzione cinematografica, che comprende in realtà anche molti lavori per la televisione e piattaforme streaming, sia oggetto di nuova attenzione, anche da parte del mondo dell’editoria italiana, attraverso l’uscita di due volumi.

Con Il cinema di Koreeda Hirokazu. Memoria, assenza, famiglie (edizioni Cue Press, Imola 2022) Claudia Bertolé rivisita e amplia la sua stessa monografia sul regista uscita circa un decennio fa, anche in risposta all’evoluzione che, in questi ultimi anni, la filmografia del regista ha subito, arricchendosi di esperienze fatte al di fuori del Giappone, come La verità, in Francia, e Le buone stelle – Broker, nella Corea del Sud, ma anche dopo il già citato successo e la conseguente visibilità ottenuta dal riconoscimento ricevuto a Cannes.

Bertolé struttura il suo volume, che è impreziosito da una prefazione di Dario Tomasi, in una prima parte formata da capitoli che affrontano alcune delle tematiche ricorrenti nella produzione del regista giapponese, stile documentario, memoria, famiglia, mondo dell’infanzia, personaggi femminili e richiami al cinema classico giapponese, ed in una seconda, dove vengono analizzati i singoli lavori, compresi quelli seriali.

Come è noto, Kore’eda comincia la sua esperienza dietro alla macchina da presa nel mondo del documentario televisivo, quando venticinquenne entra nella tv Man Union. Le tecniche documentarie qui sviluppate, come viene ben evidenziato dall’autrice, continueranno ad essere impiegate dal regista durante tutta la sua carriera, da After Life a Distance, da Nobody Knows a Un affare di famiglia.

La memoria è uno dei grandi temi che caratterizza gran parte della produzione di Kore’eda, come scrive Bertolé, si tratta di «memoria, intesa sia come identità, come ciò che definisce chi siamo e il nostro percorso nella vita, sia come strumento di confronto con il passato e allo stesso tempo supporto per affrontare il dolore dovuto alla perdita di coloro che amiamo». È questa una tematica che era già presente negli inizi documentaristici del regista, si pensi ad esempio a Without Memory del 1996, ma, come fa notare l’autrice, deriva anche all’esperienza personale di Kore’eda che da bambino ha assistito alla perdita di memoria del nonno, affetto dal morbo di Alzheimer.

L’altro grande tema che innerva la filmografia del giapponese è quello della famiglia, in molti dei suoi lavori assistiamo infatti allo sfaldarsi e al ricomporsi del gruppo familiare, tenendo presente che, come fa notare Bertolè, «Le famiglie di Kore’eda sono spesso nuclei allargati ovvero strutture che possono crollare e ricomporsi in altre forme». In lavori quali I Wish, Father and Son, Little Sister, Un affare di famiglia e Nobody Knows «la famiglia» continua ancora l’autrice «è una questione di scelte, è una comunità che si autodetermina, in un contesto sociale vissuto ai margini e del quale si percepisce il disinteresse, di certo non l’inclusione».

In Pensieri dal set (a cura di Francesco Vitucci, Cue Press, Imola 2022), traduzione di un volume originariamente pubblicato la prima volta in Giappone nel 2016, Kore’eda raccoglie invece, quasi in forma diaristica, le osservazioni e le riflessioni riguardo le varie fasi della sua carriera, dall’esordio nel mondo della televisione al successo internazionale degli ultimi decenni.

È un volume illuminante per varie ragioni, ma soprattutto in quanto offre uno sguardo su tutto ciò che circonda la produzione dei suoi film e su come si sia sviluppata l’avventura della sua carriera cinematografica.

Dalle parole del regista infatti, si evince come il singolo film sia il prodotto finale, o talvolta la traccia, di un processo e di una trama più vasta e complessa che comprende partecipazioni a festival internazionali, i rapporti con le case di produzione, i fattori e le contingenze economiche, il dialogo con gli spettatori e le influenze artistiche inaspettate. Per quel che riguarda questo ultimo punto, alcune delle pagine più belle del volume sono quelle in cui il regista rivela l’importanza della televisione per la sua crescita, fin da quando, ragazzino, ogni settimana rimaneva incollato davanti al piccolo schermo a guardare i vari programmi fra cui specialmente Ultraman e, più tardi i lavori di Shoichiro Sasaki. Kore’eda rimane folgorato dai lavori per la televisione di Sasaki, telefilm o film che ibridavano spesso fiction con elementi del documentario e che usavano attori non professionisti nei ruoli principali. Kore’eda ha tratto evidente ispirazione da Sasaki, un autore praticamente sconosciuto in Occidente, ma la cui produzione è tanto eclettica quanto affascinante, a partire dal capolavoro del 1974 Yume no shima shojo (Dream Island Girl).

Altra figura fondamentale per la carriera di Kore’eda è stato il suo collaboratore e produttore televisivo Yoshihiko Muraki che Kore’eda definisce «il mio padre spirituale» e «la persona che mi ha permesso di trasformare la mia passione per la televisione in un lavoro».

Non mancano poi, nel volume, accenni alla situazione cinematografica e politica del suo paese. «Nelle aree rurali del paese» scrive Kore’eda «non sono rimaste che le multisale, e i cinema di piccole dimensioni che proiettavano film dall’alto valore contenutistico sono pressoché scomparsi». Questa sua preoccupazione per il destino dell’offerta cinematografica del Giappone, va di pari passo con il suo impegno per cambiare l’industria del settore, negli ultimissimi anni martoriata dalla pandemia e da un sistemico emergere di scandali sessuali e di abusi di potere. «La sensazione – continua il cineasta – è che bisogna agire con urgenza se non si intende disperdere la ricchezza e la varietà della cultura cinematografica che abbiamo ereditato dal passato».

It’s a Summer Film! || Recensione

Regia: Matsumoto Sōshi
Durata: 97 minuti
Attori principali: Itō Marika, Kawai Yūmi, Inori Kirara, Kaneko Daichi
Anno: 2020

Film di debutto del giovane regista Matsumoto Sōshi, It’s a Summer film! È una palese dichiarazione d’amore versotutto il mondo cinematografico, e rappresenta al contempo un film di formazione e di crescita emotiva, che spiccagrazie al suo stile incredibilmente dolce e innocente. 

Nella pellicola, seguiamo le vicende di Hadashi (lett. “Piedi scalzi”), una liceale membro del club di cinema, che dopo aver visto rifiutato il finanziamento per l’avvio del suo film samuraico in favore della rom-com di un’altra collega, decide comunque di provare a portare avanti il suo progetto nel tempo libero.

Radunerà un gruppo di altre sette persone tra cui le sue compagne “Tavoletta” e “Blue Hawaii”. Ognuno di questi personaggi è a suo modo stereotipato ed esagerato, come si può evincere dai nomi, quasi a far sembrare il film come uscito da un manga, eppure nonostantel’eccentricità dei personaggi il film non snatura, ma anzi, ne viene ancora più arricchito grazie al mood scanzonato e quasi comico che si viene a creare: Blue Hawaii è la campionessa di kendō della scuola, eppure nonostante la severa arte marziale possa far sembrare il contrario, è in realtà una dolce e innocente ragazza la cui passione principale sono ironicamente le rom-com. “Daddy Boy”, il co-protagonista nel film di samurai, è un liceale che sembra tutto tranne che un liceale: ha un volto adulto e rude, perfetto per un film samuraico. Abbiamo poi Oguri, ragazzo sfrontato e sfacciato, caratterizzato da una folta chioma bionda e dalla sua fidata bicicletta con infissi su tutta la parte anteriore una eccessiva squadra di lampadine e luci, con le quali aiuterà alla creazione del film propriocome addetto alle luci. 

Lo script del film era già pronto prima ancora di metterlo in scena, ma è durante le riprese che Hadashi matura la sua visione del fare cinema. La condivisione, lacollaborazione e la sintonia che si crea con i vari membri del casti infatti, mutano lo spirito creativo della protagonista, che si evolve in un processo congiunto conle emozioni e la propria maturità emotiva, conducendo inevitabilmente a un processo di formazione che solo il cinema sarebbe stato in grado di regalare. Fare e guardare cinema è un’opera di condivisione, di crescita e di maturazione, nonché un grande atto d’amore, capace inoltre di unire presente, passato e futuro.

It’s a Summer Film! è un omaggio incredibilmente aperto e dolce nei confronti di tutto il mondo cinema e di ciò che lo circonda, non mancando certo di citazioni e riferimenti ai grandi classici, in particolare al cinema samuraico. 

Certamente è un primo debutto che colpisce, da cui trasuda l’amore che il regista Matsumoto Sōshi nutre nei confronti del suo lavoro, ed è per questo che non vediamo l’ora di vedere come il regista stesso maturerà, propriocome fatto dai protagonisti di questo suo primo film.

Recensione di Giuliano Defronzo

Imamura Shōhei Parte 2 || Akushon! – I Registi di JFS

Siamo di nuovo con voi alla puntata di Akushon!, la rubrica di associazione Takamori che vi racconta in pochi minuti i lavori dei cineasti giapponesi, questa volta con la seconda parte di Imamura Shōhei.

Vi invitiamo a continuare a seguirci sul sito web e sui social per rimanere aggiornati sulle prossime pubblicazioni!