Titolo: Fragranze di Morte Autore: Yokomizo Seishi Traduttore: Francesco Vitucci Editore: Sellerio Pagine: 192 Genere: Giallo Prezzo: 14€
Quarto libro di Seishi Yokomizo pubblicato in italiano, il terzo da parte di Sellerio. Il titolo del volume corrisponde a quello del secondo racconto, più complesso e misterioso. Il primo invece e intitolato”Orchidea nera”. Yokomizo è uno dei grandi nomi del giallo giapponese e la casa editrice Sellerio sta continuando una meritoria azione di riscoperta di questo scrittore che fu chiamato il “John Dickinson Carr giapponese” per l’ingegnosità delle trame e la continua ricerca del delitto impossibile anche se idue casi risolti in questo volume assomigliano più ai plot congegnati da Ellery Queen. “Fragranze di morte” è una raccolta di due racconti che vedono protagonista sempre Kasuke Kindaichi, investiga- tore privato molto particolare. Il primo, “L’orchidea nera”, è ambientato nei grandi magazzini dove un responsabile del reparto gioielleria viene pugnalato a morte da una taccheggiatrice, che scoperta durante un tentativo di furto, accoltella il funzionario che cerca di bloccarla. Qualche minuto dopo, in un altro primo piano dell’edificio, viene avvelenato un ex funzionario del settore gioielleria ed è facile mettere in rapporto i due omicidi ma ci vorrà la capacità deduttiva e la mente lucida di Kindaichi per esporre in breve tempo una chiara teoria investigativa che lo porterà a risolvere il mistero. Nel secondo racconto che si intitola come la raccolta “Fragranze di morte” l’investigatore viene convocato in un posto di villeggiatura ma poi inspiegabilmente l’invito è annullato. Nel ritorno a Tokyo, poiché vengono scoperti due cadaveri, l’indagine del nostro piccolo investigatore parte. Kindaichi col suo intuito giungerà presto a capire cosa è successo. L’autore diversamente da altri suoi connazionali predilige una struttura del giallo molto vicina ai classici di genere.
Recensione a cura di Maria Laura Labriola, sulla rubrica “Lettipervoi” per CronachediNapoli.
Bentrovati! Questa è Akushon, la rubrica Takamori sui registi giapponesi, e oggi vi parleremo di Imamura Shōhei.
ImamuraShōhei nasce a Tokyo nel 1926 da una famiglia benestante, tuttavia finisce nel mondo del mercato nero per colpa dell’instabilità giapponese durante l’immediato dopoguerra. Si appassiona al cinema grazie all’adattamento cinematografico di Rashōmon di Kurosawa Akira, il che lo porta a partecipare al teatro universitario. Da qui comincerà a partecipare a vari progetti cinematografici assistendo il regista Ozo Yasujirō, arrivando a dirigere dei film interamente suoi.
Imamura fu riconosciuto e apprezzato anche internazionalmente, e vinse due palme d’oro al festival di Cannes: la prima nel 1983 per il film La Ballata di Nakayama, e il secondo nel 1997 grazie alla pellicola L’Anguilla.
Se volete saperne di più su Imamura Shōhei e la sua filmografia, continuate a seguirci! A presto!
‘Shoplifters’ segue le vicende più quotidiane di una famiglia alquanto insolita, ma che nonostante lo stato di povertà in cui riversa, sembra vivere una vita tutto sommato tranquilla e felice, dove è proprio il forte legame familiare che questi condividono a costituirne la loro forza.
Una nonna, un padre, una madre, una sorella, e un figlio, trascorrono le proprie esistenze all’interno delle quattro mura di una stretta casa della periferia di Tokyo, condividendo assieme spazi, cibo e ricordi. Per il proprio sostentamento però, la famiglia è talvolta costretta a ricorrere a qualche atto di taccheggio, che tuttavia nonostante l’illegalità della cosa, non sembra arrecare loro alcun problema morale, dopotutto “ciò che non è stato comprato non appartiene ancora a nessuno”.
È proprio durante uno di questi momenti che la famiglia ci viene presentata, con il padre e il figlio intenti a taccheggiare qualcosa da dentro a un supermercato, che grazie alla discrezione e all’ingegnosa comunicazione a gesti dei due, l’operazione finisce in successo. Sulla via del ritorno però, i due trovano appena fuori da una casa una bambina abbandonata, visibilmente infreddolita e affamata, e vedendo la scena decidono così di portarla a casa e adottarla.
Nonostante la famiglia riesca appena a sostentarsi decidono comunque di offrirle rifugio, non mancando nel fornirle quell’amore e quel calore che non ha mai avuto. Anche in questo caso, adottare illegalmente una bambina non sembra essere per loro un problema, dopotutto “non è rapimento se non chiedi per un risarcimento”.
L’opera ha un ritmo volutamente lento, intenta a mostrarci fin da vicino come questa famiglia trascorra la propria esistenza di tutti i giorni, poiché è proprio nella quotidianità e nelle piccole cose che questa riesce a trovare quella gioia e quella felicità che ne creano un così forte legame condiviso, ma mano a mano che si prosegue nella storia però, sempre più stranezze sembrano circondare la famiglia: perché il figlio non riesce a chiamare il padre ‘papà’? Perché i bambini non vanno a scuola?
Questi e tanti altri misteri verranno svelati nel toccante finale, dove la vita apparentemente tranquilla della famiglia si rivela nelle sue fragilità.
‘Shoplifters’ è una meravigliosa storia che ridefinisce il concetto di amore e legame familiare, e che narra le vicende di una famiglia apparentemente anti-convenzionale, ma che più di tutte è riuscita a imparare ad amarsi.
L’associazione Takamori è lieta di annunciarvi il terzo film della rassegna AFS primaverile, in collaborazione con Asia Institute, martedì 7 marzo.
“The Chaser” narra la storia di Joong-ho, un ex-detective ormai caduto in disgrazia, che per continuare a vivere gestisce un giro di prostitute. Mobilita la sua vecchia forza di polizia dopo che due sue impiegate scompaiono misteriosamente. Per acquistare i biglietti, visitate circuitocinemabologna.it, e se siete interessati alla rassegna, o volete maggiori informazioni, www.takamori.it, oppure sul nostro canale YouTube Associazione Takamori.
Abbiamo già introdotto Yonezu Kenshi come pilastro del J-pop e, più estensivamente, dello scenario coinvolgente la musica giapponese, nella recensione del suo singolo,Lemon, rilasciato nel 2018 (articolo completo nel link a piè di pagina), che lo vede già occupare una posizione importante nella produzione pop del tempo. A testimonianza di ciò, il video musicale brano di più rilievo dell’album – al quale conferisce il nome stesso – Lemon, si trova a oggi vicino agli 800 milioni di visualizzazioni, rendendolo così il video più visto nella storia della musica giapponese.
Il successo di Lemon, però, non è stato determinato da un boom virale che lo ha fatto balzare alle stelle della scena pop, bensì è stato il frutto di un processo graduale che lo ha visto scalare le classifiche ottenendo il primo posto con Bremen nel 2015, e registrare il milione di copie vendute con Bootleg nel 2017. Il successo di Bootleg fu tale che Yonezu limitò la sua attività al rilascio di singoli (tra cui, appunto, Lemon) e alla produzione di sigle per serie televisive e cartoni animati, insieme alla produzione di brani per altri artisti, come Suda Masaki (菅田将暉) nella composizione di Machigaisagashi (まちがいさがし).
La sua esponenziale ascesa lo porta alla posizione di musicista giapponese più popolare nel panorama musicale moderno, e la conferma definitiva la troviamo nella pubblicazione del suo quinto (settimo se consideriamo la produzione con il nome d’arte Hachi) e ultimo album, Stray Sheep, pubblicato nel 2020.
Come si può evincere dal titolo, l’intero album segue le linee principali che hanno caratterizzato la sua produzione – come passo andante, ricercatezze ritmiche e testi di elogio all’amore e al cambiamento – ma non è una progressione naturale, una parabola uniforme: è infatti un album in cui vi sono sia rimandi al passato, con l’inclusione di brani come Lemon, Flamingo, Uma to Shika (馬と鹿) e Umi no Yuurei(海の幽霊), ma anche un affacciarsi a un nuovo sé – il quale ha ancora tanto da comunicare con la sua arte – con distorsioni dissonanti e composizioni sperimentali a livello sia di arrangement che di contenuti.
Il brano che apre il sipario è Campanella, per il cui titolo adotta la traslitterazione カンパネルラ; non è un caso, visto che fa riferimento all’omonimo protagonista di Una notte sul treno della Via Lattea (銀河鉄道の夜), capolavoro della letteratura giapponese scritto da Miyazawa Kenji – autore affermatissimo nella letteratura del periodo Shōwa – di grande influenza folcloristica locale. Troviamo un Yonezu migliorato non solo dal punto di vista composizionale, ma anche tecnico: il suo range vocale va su e giù in finestre brevissime come una molla, gestisce magistralmente falsetti e mostra eccezionale padronanza di tecniche come l’increspatura nella nota più alta della canzone. Il brano è incredibilmente stratificato ritmicamente, con una ricchezza di strumenti e di suoni sia tratti dalla natura – scenario importante del brano con i riferimenti al deserto del Thal in Pakistan, le conifere, il mare e gli uccelli – sia “artificiali”, con sintetizzatori, interferenze elettroniche ed elementi solenni come le campane.
La canzone inoltre sposta il punto di vista da cui viene raccontata la storia di Miyazawa: il protagonista principale non è più il narratore, Giovanni, ma il colpevole, Zanelli, che ha causato la morte di Campanella gettandolo nel fiume, rivoluzionando l’esperienza dell’ascoltatore/lettore e aprendo una finestra che si staglia sul sé più intimo. Yonezu stesso infatti ci dice:
È una canzone incentrata su Campanella, ma il cantante non è Giovanni, semmai Zanelli. Zanelli è un prepotente e la causa diretta della morte di Campanella. Una parte di me prova molta empatia per Zanelli. Quando gli esseri umani commettono errori, direttamente o indirettamente, possono causare la morte di qualcuno. Penso che ogni tipo di scelta sia collegata alla morte altrui. Per riferirmi all’attualità, è possibile che io sia portatore di una malattia senza saperlo e che involontariamente infetti qualcuno, facendolo ammalare gravemente e morire. Ogni tipo di scelta può portare alla potenziale morte di qualcuno. Credo che Zanelli sia uno che ha assistito di persona a tutto questo. È stato direttamente coinvolto nella morte di Campanella e vive trascinandosi dietro questa ferita. Credo che questo si colleghi alla mia natura autopunitiva.
Un altro pezzo che ha riscontrato enorme successo è Flamingo, uscito come singolo nel 2018 e riportato nell’album. È un pezzo bizzarro ed eccentrico, caratterizzato da una trama annebbiata e linguaggio oscuro, con l’inserzione di suoni riecheggianti onomatopee; la linea vocale ondula dall’alto verso il basso come una funzione trigonometrica, e nella composizione vi è una forte componente funk.
Troviamo anche la self-cover di un pezzo scritto per l’emittente televisiva NHK e successivamente diventato tema delle Olimpiadi di Tokyo 2020, Paprika, reinterpretata e ricomposta secondo la componente folk già riscontrata in Flamingo; Kanden (感電), colonna sonora del dorama Netflix MIU404, in cui la pluralità di strumenti, il ritmo agile e un orecchiabile ritornello la rendono uno dei pezzi di stampo pop più interessanti; Yasashii hito (優しい人), la quale interrompe come un fulmine a ciel sereno – con il suo stampo intimistico nella forma di una ballata povera di strumenti ma ricca di spiritualità – l’andamento dell’album.
Sullo stampo della ballata intimistica, infine, troviamo Canary (カナリヤ), pezzo di chiusura che sottolinea l’importanza del cambiamento nella nostra lunga vita in quanto esseri umani ed evidenziando come, anche in amore, è giusto abbandonarci al fiume inarrestabile della naturale evoluzione degli eventi, prendendo consapevolezza di come anche i sentimenti possano cambiare; il cambiamento porta dolore, ma è giusto accettarlo come parte di noi.
Stray Sheep è quindi il ritratto di una profonda sensibilità e il frutto di un’evoluzione sia graduale, ma anche inaspettata dell’anima in quanto essere umano e musicista di Yonezu; l’ascolto lascia quindi un senso di completezza per tutte le aree emotive toccate, lasciando anche la curiosità di assistere al coronamento dell’evoluzione inaugurata dalle componenti dissonanti e sperimentali.
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