L’autrice, Giorgia Sallusti, nasce a Roma all’inizio degli anni Ottanta. È Yamatologa, femminista, libraia e titolare di Bookish, una libreria indipendente. È autrice e voce del podcast “Yamato. Un viaggio in Giappone che non vi hanno mai raccontato.”
Immaginate di visitare Tōkyō con gli occhi di Murakami Haruki, immersi tra ristoranti, vicoli e passaggi sotterranei di una metropoli in continua evoluzione. Così, “A Tōkyō con Murakami”, offre uno sguardo estremamente dettagliato e realistico della città, fornendovi un itinerario ispirato alle opere che lo scrittore ha intessuto nel corso della sua carriera.
Murakami Haruki è uno degli autori contemporanei più conosciuti e apprezzati a livello mondiale. Ha ottenuto il successo internazionale con opere come “Norwegian Wood”, “Kafka sulla spiaggia” e “1Q84” assieme ad altri testi che vengono menzionati e usati come guida nel nostro libro. L’autrice Giorgia Sallusti, non a caso sceglie di fornirsi delle opere di Murakami per tracciare le fondamenta del suo libro; egli, infatti, è forse il più grande cronista della Tōkyōdella fine del ventesimo secolo, descrivendo la città con uno stile narrativo unico che mescola realismo magico, elementi fantastici e influenze della cultura pop. “A Tōkyō con Murakami” pertanto, si adegua egregiamente allo stile di Murakami, creando una dimensione immersiva e coinvolgente, ma allo stesso tempo leale e pertinente dellarealtà. Fitto di riferimenti socioculturali, il testo è coerente a quello che è stato lo sviluppo progressivo della società giapponese oltre che alla Tōkyō stessa, e assume le sembianze di un vero e proprio documento storico per la spiccata precisione degli eventi narrati. L’opera di Sallusti agisce come in osmosi con le opere di Murakami citate nel testo, fornendo così una sorprendente lettura con funzione ambivalente; attraverso questo libro possiamo imparare a conoscere Murakami, e tramite Murakami possiamo imparare a conoscere questo libro.
Per coloro che vogliono addentrarsi nella cultura giapponese, questo testo si presenta come un’autentica e affidabile risorsa, in quanto si discosta pienamente dalla visione stereotipata del Giappone di matrice occidentale, fornendo una prospettiva meno idilliaca è più veritiera della vita di tutti i giorni nel cuore pulsante dell’arcipelago.
Il 210º giorno, è un’opera scritta da Natsume Sōseki, che narra le vicissitudini di due amici, Kei e Roku, che decidono di intraprendere l’ascesa al monte Aso, dove si trova il vulcano più grande di tutto il Giappone. Sebbene i due giovani siano diversi, sono comunque legati da una profonda amicizia: durante le loro conversazioni finiranno per scontrarsi e discutere più volte, ma allo stesso tempo saranno in grado di vivere diverse esperienze che influenzeranno il loro rapporto. Kei è un ragazzo di estrazione sociale bassa, un rivoluzionario insofferente verso le ingiustizie sociali e la società tradizionale, mentre Roku è un giovane che proviene da una famiglia benestante, minuto e dal carattere arrendevole, incapace di prendere decisioni.
Kei e Roku sono due ragazzi nati dopo la Restaurazione Meiji: questo è un periodo di forte cambiamento sociale poiché il Giappone stava iniziando ad accogliere le influenze provenienti dell’Occidente e della modernità dei tempi, ma temeva di perdere i propri valori tradizionali. Il periodo Meiji fu quindi lo spartiacque che separò per sempre il vecchio regime dal nuovo e rappresentò il disorientamento dell’individuo di fronte alla consapevolezza che nulla sarebbe stato più come una volta.
L’autore si sofferma particolarmente sulla descrizione dei luoghi in cui si muovono i due personaggi, e tutto ciò funge da sfondo ai loro dialoghi, in cui emergono incertezze ma anche desideri. Gli eventi narrati sono descritti quasi per intero in forma dialogica e si svolgono nell’arco di un paio di giorni: non solo sono presenti le riflessioni dei due giovani ma vi è anche una minuziosa descrizione degli scenari naturali dei luoghi, con un particolare riferimento alle condizioni climatiche. Molto probabilmente l’eruzione esplosiva del vulcano indica simbolicamente il termine di un’epoca e segna l’inizio di un nuovo periodo. La forza distruttiva e la potente intensità di tale eruzione simboleggia la violenza della natura che si contrappone alla tranquillità e alla bellezza della montagna. Durante la loro spedizione i due ragazzi incontreranno anche altri personaggi, marginali e spesso appenadelineati, che però saranno di fondamentale importanza per comprendere meglio alcune vicende.
Il 210º giorno fu pubblicato nel 1906 nella rivista ‘Chūōkōron’ e trae ispirazione da un’escursione che proprio l’autore stesso fece nel 1899 in compagnia dell’amico e collega, Yamakawa Shinjirō.Sebbene quest’opera non ebbe inizialmente grande successo, Sōseki è stato in grado di illustrare uno dei momenti più difficili e traumatici del Giappone: emerge una forte e innovativa capacità di raccontare e di coniugare l’estrema sensibilità della tradizione giapponese con alcune tecniche della narrativa occidentale.
I cuori delle persone vengono uniti ancora più intimamente dalle ferite. Sofferenza con sofferenza. Fragilità con fragilità. Non c’è pace esente da grida di dolore, non c’è perdono senza sangue sparso sul terreno, non c’è accettazione che non nasca da una perdita. Perché alla radice della vera armonia ci sono dolore, sangue e perdite.
“L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio” vede come protagonista un ragazzo qualsiasi. Tsukuru non è speciale, non ha niente di più rispetto agli altri, se non che è arrivato sull’orlo del baratro e ne è uscito.
Alle superiori faceva parte di un gruppo molto affiatato formatosi durante un’attività di volontariato e composto da cinque persone. Ognuno di loro possiede la particolarità di avere all’interno del loro nome un colore: Ao (blu), è l’atleta bravo a incoraggiare gli altri; Aka (rosso), il ragazzo dal bell’aspetto; Kuro (nero), la musicista con la passione per l’insegnamento; Shiro (bianco), la studiosa che ama la scrittura. Tutti hanno dei colori, tranne Tazaki Tsukuru. “Tsukuru”, però, significa “fare, creare” ed è proprio ciò che si addice a lui; è, infatti, affascinato dalle stazioni, dal capire come si intersecano tra di loro, come delle reti così fitte riescano a lavorare in modo così preciso, tanto che da adulto diventerà ingegnere. Questa felice combriccola riesce per molto tempo a mantenere un equilibrio tramite delle regole che in realtà non vengono mai espresse, ma che tutti sentono di dover in qualche modo rispettare. Principalmente, si cerca di incontrarsi sempre tutti insieme senza escludere nessuno, ma ancora più importante: niente relazioni all’interno del gruppo. La stabilità viene interrotta improvvisamente quando durante i primi anni di università Tsukuru riceve una chiamata che gli cambierà completamente la vita: i suoi amici non vogliono più avere niente a che fare con lui. Senza ricevere spiegazioni e senza neppure chiederle, egli accetta silenziosamente questa sorte. Questo è l’evento scatenante della depressione di Tsukuru, che non tenta di togliersi la vita, ma piuttosto aspetta che la vita termini da sola.
Con il passare degli anni la ferita comincia a rimarginarsi, Tsukuru riprende a mangiare e trova sfogo nel nuoto. Si innesca, però, un circolo vizioso in cui la paura di essere abbandonato nuovamente non gli permette di instaurare rapporti veri con qualcuno. Sara è la prima donna che gli fa venire il desiderio di aprirsi, di rendere un altro essere vivente partecipe della sua vita, ed è proprio lei che gli consiglia di parlare con quei suoi vecchi amici per venire a capo della faccenda e scoprire qual è il motivo del loro improvviso abbandono. Tsukuru si imbarca così in questa esperienza che lo porterà addirittura in Finlandia, da cui vengono fuori notizie sconvolgenti, se non addirittura agghiaccianti, sulla vita di un membro del gruppo in particolare.
Nonostante il dolore provato, Tsukuru non prova odio verso questi ragazzi che per tanto tempo sono stati al suo fianco e cerca di mettersi nei loro panni, di capire quali sono state le condizioni che li hanno portati a tale decisione. Dopotutto, non si possono cancellare anni di amicizia e di affetto in modo così semplice. Risolvere questo trauma, a detta di Sara, è l’unico modo per stare insieme senza che l’ombra di altre quattro persone si metta tra di loro. Per tutto il libro Tsukuru, che ha una mente molto analitica, effettua delle auto-indagini psicologiche, analizzando sogni, pensieri e situazioni in modo lineare, molto spesso distaccato. Si riesce a percepire una sorta di impedimento all’emotività, come se non fosse pienamente capace di abbracciare le sue emozioni e i suoi stati d’animo. Anche quando ha pensieri pesanti, quando non fa altro che aspettare la morte, tutto è asettico. Benché la trama sia intrigante e la struttura scorrevole e chiara, il modo che Murakami ha di parlare delle donne appare talvolta fastidioso. Sono personaggi femminili che, seppur avendo un loro spessore psicologico, vengono di frequente ridotte alla mera dimensione del corpo e della sessualità, anche in momenti che alcuni lettori potrebbero considerare del tutto inadatti.
Nei frenetici quartieri della moda di Tokyo si alzano squillanti le voci delle giovani ragazze che affollano i caffè e i negozi più in per discutere i nuovi trend e i gossip più succulenti con cui restare categoricamente al passo. Ovunque echeggia il nome di Ririko. Lei è la regina di questo mondo. È su ogni copertina, su ogni schermo, tutte vorrebbero essere come lei e tutti vorrebbero averla.
Tuttavia, la fama di una modella non può durare per sempre. Ririko non sa recitare, non sa cantare, non è adatta alla televisione. Tutto ciò che possiede è il suo corpo, frutto però di numerosi interventi estetici, e appena si manifesta il primo effetto collaterale della chirurgia, il castello di carte crolla e Ririko precipita vertiginosamente in una spirale senza via di fuga.
“L’esterno era magnifico, ma l’interno era come un frutto divorato dai vermi.”
Basta un passo falso e la favola finisce, la carrozza torna a essere una zucca, i cavalli tornano a essere topolini, e non si riesce più a trovare il principe azzurro. Ririko però non ha intenzione di arrendersi, non rinuncerà al suo posto, e per restare sulla vetta arriverà ad atti sempre più estremi, trascinando con sé in un baratro di manipolazione, violenza, sesso e droghe chi la circonda.
Il tratto pulito, spesso minimalista, che caratterizza lo stile di Okazaki, rende ancor più brutali le espressioni di Ririko e i suoi repentini scatti di rabbia, ancor più sinuose le pose plastiche delle modelle e i petali dei fiori che Ririko riceve in regalo dai suoi ammiratori.
La nostra protagonista si perde nel divario tra due dimensioni: non appartiene a nessuno perché si è costruita da sola ed è lei a raccontare la propria storia. Al contempo però la sua immagine è proprietà pubblica, Ririko non è nessuno senza un pubblico che la guardi e che parli di lei. Per questo la narrazione adotta più voci; seguiamo la trama dal punto di vista di Ririko, ma non manca mai l’opinione di chi veramente è giudice finale della sorte delle donne nello showbiz: le fan.
Okazaki lascia parlare l’opinione pubblica in forma di trafiletti di giornali e titoli scandalistici, ma soprattutto tramite le voci delle giovani studentesse sempre in cerca di un nuovo idolo da seguire, una nuova incarnazione della moda più fresca e appariscente, e che trattano le proprie icone come fossero bambole, con cui a un certo punto si stancano di giocare e le dimenticandole in un angolo.
Ogni giorno nasce una nuova piccola Ririko, pronta a prendere il posto della precedente, in un ripetersi nichilistico di sostituzione e crudele consumismo della figura femminile.
Se si parla di racconto breve, in ambito giapponese è imprescindibile il nome di Akutagawa Ryūnosuke. A lui è intitolato il premio per gli scrittori esordienti, a lui che è morto suicida e così giovane, convinto di non aver lasciato alcun segno utile nel panorama letterario giapponese. I critici e la storia hanno smentito questa sua paura, riconfermando a gran voce le parole di encomio che il suo maestro Natsume Sōseki, altro grande della letteratura del Sol Levante, ha speso per lui.
È per l’immortalità della sua scrittura, quella “nicchia tutta [sua] nel mondo delle lettere”, come la chiamava Sōseki, che le ritraduzioni dei racconti più famosi di Akutagawa sono continue e sempre ben accette. In questa edizione si sono selezionati dieci testi della produzione di tema cristiano di Akutagawa, la metà dei quali sono traduzioni inedite.
Per Akutagawa Ryunosuke la finzione è lo strumento più diretto e al contempo più sottile per parlare del presente, e raramente ambienta i suoi racconti nella sua contemporaneità. Lavora per riferimenti, ricostruzioni, retelling di racconti popolari, usando fatti realmente accaduti o situazioni verosimili parte della conoscenza comune giapponese come strumenti per raccontare il presente. Ne risulta una prosa sagace e tagliente che usa l’ironia come dissimulazione, in una narrazione che lascia sempre l’ultima parola all’interpretazione del lettore, chiamato a interrogarsi sulle discrepanze e le contraddizioni dei personaggi di cui ha appena letto.
I racconti proposti in questa antologia hanno luogo nel periodo a cavallo tra XVI e XVII secolo, dopo l’arrivo dei missionari Gesuiti in Giappone, e si aprono in un ventaglio di ambientazioni e stili di narrazione differenti per mostrare le diverse ricezioni del cristianesimo nell’arcipelago.
“Lucifero e altri racconti” offre il contesto perfetto per riflettere sul rapporto di Akutagawa con il cristianesimo, inizialmente nato da un interesse di tipo intellettuale e poi approfondito nelle sue contraddizioni e insensatezze se paragonato allo shintoismo (la religione autoctona giapponese) e il buddhismo. Dunque nei suoi racconti Akutagawa non offre mai una visione completamente positiva della religione venuta da Occidente, ma ne parla ora con diffidenza, ora con fascinazione, lasciando ai suoi personaggi l’arduo compito di incarnare l’incontro-scontro tra culture e le conseguenze che questo ha portato sull’epoca contemporanea ad Akutagawa.
La raccolta si chiude con “L’Uomo da Occidente” e “L’Uomo da Occidente – II parte”, libere riflessioni sul Nuovo Testamento e in particolare la figura di Gesù Cristo, visto nel suo ruolo di messia ma anche, e questo è l’aspetto più importante e personale dell’analisi di Akutagawa, nella sua umanità. Nei personaggi su cui si sofferma a parlare l’autore si analizza il loro significato più immediato per l’uomo, cosa rappresentino veramente per il credente nella loro umanità, che cosa li avvicina all’uomo comune.
In particolare Akutagawa sovrappone la figura di Cristo a quella dello scrittore (da lui indicato con il termine “giornalista”) e del poeta, a partire dalla dialettica che entrambi utilizzano per rivolgersi al proprio pubblico, per poi allargare il discorso alla condizione umana che li accomuna. Anche lo scrittore, come Cristo, è condannato a una vita breve e fatta di sofferenza, che brucia e si spegne troppo in fretta come una candela.
Non abbiamo gli strumenti per definire in maniera chiara quale fosse la relazione di Akutagawa con il cristianesimo, ma i suoi testi mostrano indubbiamente il suo crescente interesse per la religione, il testo sacro, l’iconografia “barbara”, le pratiche magiche.
“L’Uomo venuto da Occidente” viene pubblicato lo stesso anno del suicidio di Akutagawa, e quando il suo corpo viene trovato, nel 24 luglio 1927, lo scrittore aveva con sé una traduzione integrale della Bibbia.
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