Takagi Masakatsu – Kagayaki || Recensione


L’album di cui vi parleremo oggi non è in alcun modo riassumibile in poche semplici parole. Kagayaki (2014) è un viaggio sensoriale e come tale deve essere considerato. Non è un classico album puramente musicale, è un portale che concede all’ascoltatore di immergersi totalmente nei suoni, nella natura e nella cultura della più profonda tradizione rurale giapponese.

Takagi Masakatsu, l’autore dell’album, all’epoca della suarealizzazione era già conosciuto come un artista e compositoreaffermato, avendo realizzato nel corso della sua carriera ben 16 album, tra cui la colonna sonora del film d’animazione “Wolf Children” (2012) e del film documentario dello Studio Ghibli “Ilregno dei sogni e della follia” (2013).

Fino ad allora Takagi Masakatsu aveva sempre vissuto nella suacittà natale di Kyoto, tuttavia nel 2013, un anno prima dellarealizzazione di Kagayaki, si trasferisce per la prima volta in un paese rurale delle montagne giapponesi, nella prefettura di Hyōgo. Qui l’artista decide di vivere la vera vita tradizionalegiapponese, in comunione con l’intera comunità del villaggionel quale si ritrova immerso. Come è forse intuibile, l’albumKagayaki è il diretto figlio di questo nuovo trascorso emotivo e spirituale dell’artista. 

È un ascolto musicale che racchiude in sé questo rinnovato senso di comunione con la tradizionalità giapponese e la natura, includendo all’interno dell’album registrazioni di quotidianità, canti tradizionali, bambini che giocano, il frinire delle cicale giapponesi, l’acqua dei fiumiciattoli che scorre indisturbata, il rumore delle piante mosse dal vento, il tutto unito ad una musicalità festiva e celebrativa tipica, fatta di strumenti tradizionali in commistione a strumenti più classici come il pianoforte, strumento principale di Takagi Masakatsu e pertanto ricorrente all’interno di tutto l’ascolto.

L’unione peculiare di questi tratti fanno sì che chiunque ascolti Kagayaki ne sia in qualche modo trasportato all’interno dellavita tradizionale e festiva di quella piccola comunità giapponeseluminosa e vibrante. 

È un album che racchiude momenti di vita quotidiana e che come tale è fatta di momenti più lenti, e di momenti più vivaci. L’album infatti non presenta un ritmo costante, apparendo più come una raccolta di registrazioni di vita comune che come un vero e proprio album musicale, ma ciò non deve trarre ininganno, poiché è proprio questa caratteristica a rendere tale opera così unica nel suo genere.

Tra le canzoni più memorabili dell’album segnaliamo Ooharu, dove il timido inizio di pianoforte viene a mano a mano  accompagnato da canti e persone in festa, in un climax che va sempre in un crescendo. Troviamo poi la serie delle canzonidelle feste utagaki, dove in particolare la seconda traccia, Utagaki #2, risalta più di tutte con la sua forza, presentando una commistione peculiare tra strumenti tradizionali e più classici come il pianoforte e il violoncello. 

Kagayaki racchiude dentro di sé una intera comunità, fatta di persone, canti, celebrazioni, dialoghi, ed è proprio per questoche l’ascolto di tale opera è capace di essere così immersiva nelsuo ascolto. Fatevi quindi un favore e immergetevi per 1h e 15min in questo mondo che pare essere uscito da una vera e propria favola giapponese. 

– Recensione di Giuliano Defronzo

Samurai’s Promise || AFS Spring 2023


L’associazione Takamori è lieta di annunciarvi il ritorno al Cinema Rialto con il primo appuntamento della rassegna primaverile Asian Film Selection Martedì 7 febbraio alle ore 21:00, in collaborazione con Asia Institute e circuito cinema Bologna.

Il film che vi proponiamo per cominciare la rassegna è Samurai’s Promise, in originale Chiritsubaki, un dramma storico del 2018, diretto da Kimura Daisaku. Il film è basato su un romanzo di Hamuro Rin dallo stesso nome, pubblicato nel 2012 da Kadokawa.

Il film parla di Uryu Shinbei, un samurai esiliato dopo aver denunciato la corruzione di un suo superiore. Sua moglie, ormai in fin di vita, gli chiede di ritornare nel loro paese per vedere lo sfiorire delle camelie al posto suo. Tuttavia, al suo ritorno, Uryu Shinbei scopre che i tumulti politici che ha lasciato dopo il suo esilio non sono ancora risolti, e vi rimarrà coinvolto nuovamente.

La pellicola è stata molto ben ricevuto dalla critica e dal pubblico, e ha vinto il gran premio speciale della giuria al festival mondiale del cinema a Montreal. 

Per acquistare i biglietti cliccate qui o visitate il sito di CircuitoCinemaBologna.it

Vi aspettiamo in numerosi al cinema il 7 Febbraio alle ore 21:00 e, come di consueto, vi aspettiamo prossimamente sui nostri canali social e sulla nostra homepage takamori.it.

Nel Paese delle Donne Selvagge || Recensione


Autore: Matsuda Aoko
Editore: Edizioni e/o
Traduzione: Gianluca Coci
Edizione: 2022

Matsuda Aoko esordisce nel 2013, inizialmente traduttrice, e in questa serie di racconti “Nel paese delle donne selvagge” (in originale Obachan tachi no irutokoro) ci porta all’interno del folklore giapponese riscritto in chiave moderna. L’autrice infatti reinterpreta leggende, storie della tradizione e commedie del teatro kabuki con protagoniste femminili stigmatizzate, traslandole nel mondo di oggi e dandone una visione femminista. I 17 racconti che inizialmente ci sembrano slegati tra loro rivelano con il proseguire della lettura una cornice che li collega. Matsuda Aoko afferma: 

Quando sono diventata adulta, mi sono anche resa conto di come queste vecchie storie riflettessero e incoraggiassero le persone a interiorizzare visioni misogine nei confronti delle donne, dato che la maggior parte delle volte queste storie erano scritte e raccontate da uomini. Quindi, pur amandole molto, ho sempre avuto sentimenti contrastanti nei loro confronti e, scrivendo Nel paese delle donne selvagge, ho voluto creare uno spazio in cui tutti i fantasmi femminili potessero divertirsi e trovare nuove vite.”

Ci racconta infatti una società ancora maschilista dove però le protagoniste riescono a liberarsi e ad esprimere il loro io più profondo abbracciando la propria natura attraverso i personaggi della tradizione. Inoltre, i racconti si delineano in stili diversi tra cui possiamo trovare la lettera, ma anche la narrazione in prima persona, possono avere un tono comico e nello stesso tempo drammatico senza risultare confusionari. I veri fantasmi raccontati in questa raccolta sono quelli in realtà creati dalla società capitalista e patriarcale come: i luoghi di lavoro dove le donne vengono continuamente sottovalutate, le critiche rivolte ad una madre single e il mondo industriale della bellezza che cresce grazie all’odio delle donne verso se stesse. 

Recensione di Chiara Girometti

Takayan || Recensione


Controverso, Colorato, Kawaii, Takayan, classe ‘98, sta gradualmente ma costantemente ritagliandosi sempre di più uno spazio di merito all’interno del panorama J-pop e Japanese Hip Hop. 

Takayan comincia la sua carriera musicale, come lui stesso ammette, per “puro divertimento” con la pubblicazione sul suo canale Youtube della prima canzone “Mada Wakaranai” まだわかんない, ormai 8 anni fa, all’età di 17 anni. 

Nelle prime video canzoni è evidente come il suo atteggiamento rispecchia il suo stesso modo di vedere la musica come un iniziale svago. Canta spavaldamente a petto nudo, con indosso occhiali da sole, ostentando e “flexando” I suoi muscoli, mettendo indubbiamente in mostra un lato di sè tronfio e sfacciato, intento solo a divertirsi con la sua musica. 

Negli anni seguenti, Takayan continuerà la sua carriera artistica pubblicando congiuntamente a produzioni originali, video cover di artisti più famosi, contribuendo in questo modo a farsi lentamente conoscere agli occhi dei più. Lentamente quello che era cominciato come un semplice passatempo, sta diventando la sua principale occupazione.

È il suo canale Youtube il principale mezzo con cui si farà conoscere al grande pubblico, tra singoli, canzoni cover, e live tramite le quali continua a sfoggiare il suo carattere sicuro di sè mostrandosi sempre a petto nudo, pronto a sfoggiare I propri muscoli. Rispetto agli esordi però, il suo atteggiamento spavaldo sfuma per amalgamarsi con un rinnovato interesse verso il “kawaii”, modello di bellezza tipico giapponese, caratterizzato da atteggiamenti e lineamenti “cute”, che mirano a richiamare un tipo di bellezza delicato e “infantile”. Il contrasto salta quindi subito all’occhio: Un uomo pieno di muscoli che si atteggia da ragazza carina, infantile e solare, e che si veste anche come tale.

L’apparenza non deve ingannare però, poiché dietro a una musica così gioiosa e colorata, si nascondono temi cupi e delicati.

Pubblica per la prima volta un album verso fine 2018, “Slave” どれい, che tuttavia a causa dei temi trattati, è stato vittima anni più tardi di un taglio da tutte le piattaforme, insieme a diverse altre canzoni rilasciate nello stesso periodo.

Takayan tratta infatti temi come la depressione, l’autolesionismo, Break-up amorosi, tradimento, suicidio, e tanti altri, nella speranza di raggiungere e aiutare, attraverso la sua musica, chiunque stia attraversando un momento difficoltà e abbia bisogno di un conforto. 

Tra le sue canzoni più famose vari esempi sono “Toy”, dal tono che ricorda il genere lo-fi, dove il tema centrale è il fallimento di un amore che si rivela in realtà essere unilaterale e dove la controparte ha sfruttato i sentimenti del partner al mero scopo di soddisfare i propri desideri sessuali, appunto come un “giocattolo”. Troviamo poi canzoni come “Cheating is a Crime” 浮気は犯罪行為, dove si approfondisce il tema del tradimento in una canzone dai tono più cupi, taglienti e rabbiosi, oppure canzoni più simili al puro genere J-Pop come “Just Disappear” dove la protagonista della canzone nonostante tutte le difficoltà, i lutti passati e le conseguenti azioni atte a sopperire quel dolore incolmabile, accetta il proprio passato e riesce a ritrovare la forza e la speranza necessaria per poi un giorno, superare definitivamente quel dolore. 

L’atteggiamento kawaii di Takayan non è dunque meramente casuale. Sebbene sia vero infatti che si traspone in tale modo, come lui stesso afferma in una delle sue tante live, semplicemente perché gli piace, è anche vero che tale atteggiamento è un modo di porsi finalizzato a farsi sentire più vicino al suo pubblico e poterlo così confortare, apparendo come una figura di supporto, sempre pronto a sostenere il proprio ascoltatore con il suo modo di fare gioioso, nonostante le apparenze da uomo grosso e muscoloso che potrebbero far pensare il contrario. 

Dietro ad ogni momento di difficoltà infatti, è sempre possibile trovare la luce ed è unicamente possibile farlo partendo da se stessi. Ognuno di noi è capace di ritrovare la felicità e la via del conforto da una situazione buia, e Takayan vuole insegnare proprio questo.

Con il suo atteggiamento kawaii e solare, Takayan è quindi un esempio di come anche nei momenti più bui della vita, o presunti tali, si possa affrontare il tutto, con un atteggiamento più che positivo, affrontando ogni ostacolo a testa alta e con un pieno sorriso in volto.

Recensione di Giuliano Defronzo 

Lo Squalificato – Dazai Osamu || Recensione

Autore: Dazai Osamu
Editore: Feltrinelli
Collana: Universale Economica Feltrinelli
Traduzione: Marcella Bonsanti
Edizione: 2019

Dazai Osamu è spesso definito tra i più grandi autori giapponesi, grazie ai suoi personaggi straordinariamente umani e uno stile di scrittura schietto ma che rimane sempre molto attuale. In particolare, Lo squalificato (in originale Ningen Shikkaku) in particolare è considerato il romanzo più emblematico della sua produzione. Il protagonista Yozo è un uomo che si sente profondamente alienato dalla società, pur facendo del suo meglio per adattarsi agli standard che essa impone, tuttavia sempre incapace di adattarsi. Questo fallimento lo rende “squalificato” come essere umano, e lo porta a rifugiarsi in una vita di dissolutezza, facendo abuso di sostanze e passando da una donna all’altra. Il racconto ha come cornice narrativa un uomo che ritrova i taccuini di Yozo assieme a delle fotografie, e quindi riporta la storia dopo esserne rimasto profondamente colpito. Questo romanzo è ricco di elementi autobiografici, nonostante Dazai rifiuti ogni etichetta e preferisca invece staccarsi dalla convenzione letteraria definendosi invece un libertino. Il personaggio di Yozo è profondamente introspettivo, l’autore si concentra soprattutto sull’interiorità del personaggio, contrastandolo con il mondo esterno e su come Yozo si senta isolato rispetto a ciò che lo circonda. 

Lo stile di Dazai è semplice ma molto efficace, tenendosi molto collegato alla realtà e al contempo esplorando Yozo e i suoi pensieri, che spesso divagano anche su temi molto inquietanti sulla natura umana, che, nonostante gli sembri incredibilmente distant,e egli rappresenta con la sua disperazione e il suo desiderio di connessione umana. Con questo romanzo, Dazai si fa carico del pensiero di chi non riesce ad adattarsi alla rigida società giapponese, nonché di tutti coloro che dopo la Seconda Guerra mondiale si sono ritrovati spaesati e estraniati rispetto alla propria situazione. 

Recensione di Camilla Ciresa