Masquerade Night || Recensione

Titolo originale: マスカレード・ナイト
Regista: Suzuki Masayuki
Anno: 2021
Genere: Thriller detective
Durata: 2h 9min

Masquerade Night, film del 2021 di Suzuki Masayuki, è il sequel di Masquerade Hotel del 2019. Il primo film narrava l’infiltrazione sotto copertura di Nitta Kosuke, agente di Polizia, presso l’hotel Cortesia di Tokyo per catturare un serial killer. Qui, verrà aiutato e si scontrerà con la consierge dell’Hotel Yamagishi Naomi, venendo a creare una contrapposizione tra i metodi della Polizia, disposta a usare le maniere forti pur di catturare l’assassino, e gli ideali dell’Hotel stesso, che mette al primo posto il benessere degli ospiti.

Il secondo film riprende sin dal primissimo istante i meccanismi del primo: una donna viene uccisa in un modo piuttosto singolare, ovvero folgorata e vestita in stile Lolita; poco dopo, una lettera anonima viene consegnata alla Polizia, dichiarando che l’assassino colpirà ancora e che il teatro del crimine sarà proprio l’Hotel Cortesia durante il ballo in maschera di fine anno. In un istante, viene deciso di utilizzare la stessa strategia del film precedente, facendo infiltrare nuovamente Nitta tra lo staff dell’Hotel per catturare l’assassino entro la mezzanotte e impedire così il delitto.

Dove la prima pellicola si era presa tempo per caratterizzare i personaggi, costruire l’antitesi fra i caratteri dei protagonisti e generare una reale tensione nella storia creando una situazione al tempo stesso paradossale, drammatica e divertente, Masquerade Night invece liquida il tutto in quattro e quattr’otto, con il capo della Polizia che dice semplicemente a Nitta che dovrà infiltrarsi nuovamente nell’Hotel. In un istante e senza nessuna build up, è come se stessimo assistendo a un prolungamento dello scorso capitolo, con variazioni minime che riescono comunque a salvare il film il tanto che basta per renderlo piacevole, nonostante gran parte del merito vada al carisma degli attori, alla fluidità della sceneggiatura e alla sapiente regia.

Se a livello di trama, infatti, l’unico elemento degno di nota è il pressante countdown alla mezzanotte, inframezzato dalla presentazione dei vari personaggi e sospettati, il film è costruito in modo impeccabile, dai costumi alla fotografia, e ci porta a seguire le vicende con interesse e attenzione.

Assistiamo così all’evolversi della vicenda, con la Polizia che identifica due figure chiave nell’indagine, ovvero l’assassino, pronto a colpire nuovamente, e l’informatore anonimo che ha avvisato le forze dell’ordine e che sarà presente all’Hotel durante il ballo in maschera, con l’intenzione di ricattare l’omicida. Vari ospiti sono sospetti: Urabe, un uomo che sembra avere legami con l’ultima vittima; Sono, un uomo fedifrago accompagnato da moglie e figlio e che è in realtà solito incontrarsi al Cortesia Hotel con la propria amante, presente anch’ella alla serata; Kusakabe, un abbiente e viziato prepotente che potrebbe star utilizzando un nome falso; Nakane, una signora che ha prenotato una stanza per lei e il marito, il quale sembra tuttavia non esistere.

La Polizia lavora febbrilmente per schedare con discrezione tutti e 500 gli ospiti presenti, consci che da quando inizierà la festa tutti indosseranno una maschera e sarà impossibile identificarli. Il difficile equilibrio tra il proseguo delle indagini e il preservare il benessere e la privacy degli ospiti è tutelato dal lavoro di squadra di Nitta e Yamagishi, che non esiteranno a rischiare la vita per arrivare a scoprire la verità e a fermare il colpevole.

— Recensione di Chiara Coffen

Yorushika – Tōsaku || Recensione

Tōsaku (盗作) è il terzo album dell’ensemble giapponese Yorushika, nato nel 2017 e formato dal compositore e chitarrista n-buna unito alla cantante suis.
A oggi, il gruppo è tra i più rilevanti e popolari nella scena pop-rock nipponica odierna, con tre album e due mini-album pubblicati dalla formazione. La particolare commistione tra melodie upbeat e testi tendenti al cupo, insieme all’abilità di creare storie sia all’interno dei loro singoli, sia tra i loro album, hanno garantito il sempre più crescente favore del pubblico.
Infatti, alcuni dei loro brani, come Itte (言って) e Dakara Boku wa Ongaku wo Yameta (だから僕は音楽を辞めた), hanno avuto successo immediato, diventando delle hit da più di 100 milioni di visualizzazioni.
Proprio la loro abilità di creare delle storie non solo all’interno dei singoli pezzi, ma anche distribuite in album interi, è il motivo per cui Tōsaku è tra gli album più validi del suo genere.
Il filo conduttore delle composizioni di Tōsaku affonda le sue radici sul concetto del plagio, fenomeno comune nello scenario musicale di oggigiorno. Le intenzioni comunicative del progetto sono state espresse nella descrizione del video YouTube dell’omonimo singolo, dove n-buna si definisce un “ladro di suoni” – rubando melodie e sequenze da vari artisti sia occidentali, sia giapponesi – instillando al contempo nel pubblico il dubbio vari dubbi sul plagio in musica – come il fatto se sia intenzionale o meno visto l’esaurimento dei modelli melodici e le progressioni di accordi, oppure se un’opera d’arte perde davvero valore perché ha rubato qualcosa da qualcos’altro.
Il pop rock molto forte e appassionato che ha sempre caratterizzato le composizioni del duo trova massima espressione in Tōsaku, con delle sequenze di basso notevoli in Hirutonbi (逃亡) e Toubou (逃亡) e dei riff di chitarra molto grezzi, come in Bakudanma (爆弾魔). Come in Dakara Boku wa Ongaku wo Yameta, sono incluse parti di pianoforte e tastiera, le quali – pur non essendo un focus principale della struttura melodica – sono state incorporate magistralmente, come in Hana ni Bourei (花に亡霊), con un assolo che apre e chiude il pezzo.
La maggior parte dei brani segue la falsariga dell’antitesi composizione upbeat – testo cupo, creando un’atmosfera intensa e caleidoscopica; essa viene infatti spezzata da intermezzi strumentali, i quali calmano il rapido ritmo ma coprono anche un ruolo nella narrazione: infatti, in Ongaku Dorobou no Jihaku (音楽泥棒の自白), il piano suona le note di Moonlight Sonata intrecciata a suoni riecheggianti composizioni passate dell’ensemble.
L’ordine della lista dei brani, la quantità di canzoni campionate e la capacità di raccontare fluidamente una storia attraverso la musica, rendono questo album un must-listen per gli appassionati di musica giapponese.

Recensione di Giovanni Varia

Nashiki Kaho – Le bugie del mare || Recensione

Autore: Nashiki Kaho
Titolo originale: 海うそ
Editore: Feltrinelli
Collana: I narratori
Traduzione: Gianluca Coci
Edizione: 2021
Pagine: 224

L’AUTRICE

Nashiki Kaho, nata nel 1959 nella prefettura di Kagoshima, è autrice di molti romanzi, libri illustrati e saggi per adulti e bambini. Nel 1994 vince i premi JAWC New Talent Award, Nankichi Niimi e Shōgakukan grazie al suo romanzo Un’estate con la Strega dell’Ovest. Da allora non ha mai smesso di scrivere, spesso ispirata dal personale interesse per la mitologia nazionale, la natura e i viaggi. Oggi vive a Ōtsu, nel Giappone centrale.

IL ROMANZO

Sono gli anni trenta. Akino è un giovane studioso di geografia antropica che per motivi di studio si reca nella piccola isola di Osojima. Il viaggio di studi si rivela ben presto un vero e proprio pellegrinaggio spirituale e a posteriori di una serie di gravi perdite (fidanzata, genitori e mentore) Akino attua una profonda riflessione esistenziale, circondato dalla natura florida dell’isola, la sua storia locale e i suoi emblematici abitanti.

Il giovane infatti sbarca sull’isola da solo, in questa rinasce e grazie alle amicizie che stringe cresce. Cinquant’anni dopo ha ottant’anni, è sposato e con figli. Torna a Osojima in un Giappone postbellico solo per trovarvi un’isola cui sacralità è stata distrutta, fagocitata dalla frenesia del moderno, l’aggressiva urbanizzazione e il turismo di massa. Akino conclude così il suo percorso esistenziale, traendo da Osojima il significato agrodolce della vita.

Le bugie del mare è un’opera decisamente rinfrescante, una perla del panorama letterario nipponico odierno. Intenso e complesso, il racconto è ricco di storia e mitologia locale, temi che divengono espedienti tramite i quali domandarsi sul senso della vita e dei suoi valori fondamentali.

Il titolo di ogni capitolo è composto dal nome di un luogo fittizio a cui viene associato un elemento della flora e fauna locale e la leggenda annessa. Formulata in prima persona, è una lettura suggestiva che sa come avvolgere il proprio lettore e lasciare impresse le immagini di un luogo sapientemente costruito, frutto della fusione tra le tradizioni del Giappone antico e quelle immaginate dall’autrice. Le bugie del mare è una bellissima scoperta. Da leggere.

—Recensione di Claudia Ciccacci

The Yellow Handkerchief || Recensione

Regia: Yamada Yōji
Durata: 109 min
Anno di uscita: 1977
Attori principali: Takeda Tetsuya, Takakura Ken, Baishō Chieko, Momoi Kaori

Kinya non riesce ad accettare la rottura con la fidanzata e per questo lascia il lavoro, compra una nuova macchina e si mette in viaggio diretto in Hokkaido. L’uomo cerca disperatamente un compagno con cui condividere l’esperienza, preferibilmente una donna, e offre quindi un passaggio ad Akemi, una ragazza solitaria che sta cercando di dimenticare il tradimento del proprio ragazzo e che accetta controvoglia la proposta del giovane. La tensione tra i due è evidente ma sfumerà con il procedere del viaggio e con l’aggiunta di un nuovo personaggio.

Quando i due raggiungono finalmente il mare infatti, incontrano sulla strada per Sapporo Yusaku, un minatore di carbone sui trent’anni dalla personalità riservata, e gli offrono un passaggio. La storia passerà quindi dalle interazioni comiche tra Kinya e Akemi ai drammi mentali di Yusaku, che sta cercando di nascondere qualcosa riguardo al suo passato, senza far capire se ciò che vuole fare è ricordarlo o dimenticare.

All’inizio la pellicola può sembrare un semplice “slice-of-life” con qualche scena comica per intrattenimento ma con l’ingresso di Yusaku nella scena affiorano interessanti riflessioni introspettive attraverso flashback sul passato dell’uomo.

Yusaku diventa nel corso della storia il personaggio più interessante, con il quale ci si trova simpatizzare maggiormente provando il genuino desiderio di rivederlo felice dopo aver scoperto la sua tragica storia. Kinya e Akemi fungono quindi da tramite per lo spettatore, in quanto sono allo stesso modo ignari ma curiosi quanto il pubblico stesso di scoprire la verità.

Come sfondo a gran parte delle vicende vi è la regione dell’Hokkaido (nel nord del Giappone), che viene esplorata in tutta la sua bellezza con i numerosi scorci sempre presenti nella durata del film.

— Recensione di Emma Dal Degan

Hashimoto Hideyuki || Recensione

Hashimoto Hideyuki, nato ad Osaka nel 1986, è un pianista giapponese tra gli artisti emergenti più interessanti all’interno del panorama nipponico indipendente.

La grande particolarità che discosta Hashimoto dai i suoi “altri” colleghi è la capacità di dare al pianoforte un sound unico capace di creare uno stupendo spazio vuoto ma denso al tempo stesso grazie al “rumoroso” feedback dei tasti.
Hashimoto dichiara che i suoi brani sono per la gran parte improvvisati e che si ispira principalmente ai suoni della natura.

Un grosso esempio di tale tecnica è il brano Kagamino ripreso dal suo primo album:

Le sonorità peculiari si uniscono a video, girati per la maggior parte da Watanabe Satoshi, che ne alimentano l’aspetto puramente onirico riuscendo così a catturare entrambi i sensi dell’ascoltatore.

Hashimoto nel 2012 ha rilasciato i suoi due primi lavori, Earth e Air, nei quali utilizza principalmente un suono d’ambiente come background delle sue improvvisazioni.

Nel 2013 alla Triennale di Setouchi ha partecipato all’evento Sea’s Terrace a Takamijima e, con un pianoforte dell’isola, ha rappresentato l’atmosfera della regione con la musica.

Da allora Hashimoto ha rilasciato numerosi album che continuano a portare avanti lo stile iconico che ormai l’artista ha fatto proprio.

— Recensione di Stefano Andronico