La torre spettrale || Recensione

Autore: Edogawa Ranpo 江戸川 乱歩

Anno: 1937-1938

Editore: Luni Editrice

Edizione: 2022

A cura di: Stefano Lo Cigno

Titolo originale: 幽霊塔

Pagine: 286

Un piccolo paesino nei pressi di Nagasaki noto, cripticamente, come K. ; una vecchia magione abbandonata su cui aleggiano, minacciosi, i fantasmi di un passato neanche troppo remoto; una giovane donna, di nome Akiko, bellissima ma circondata da un indecifrabile alone di mistero; un giovane ed energico protagonista, Kodama Mitsuo, figlio adottivo del nuovo acquirente della magione; un recente orribile delitto e soprattutto la grande torre dell’orologio, vero cuore pulsante dell’intera narrazione.

Questi sono gli elementi fondamentali de “La torre spettrale”; in questo lavoro Edogawa Ranpo dimostra ancora una volta di essere un maestro del genere, forgiando un’opera completamente unica e sui generis. Costantemente in bilico sulla sottile linea tra paranormale e razionalità, tra eventi apparentemente inspiegabili e orrori lucidamente escogitati, l’opera trascina con il suo ritmo incalzante e intriga con i suoi contorni sfumati e mutevoli; in questo mondo di maschere, di specchi e di labirinti, tutte le apparenze risultano essere ingannevoli, frutto di infiniti giochi di prestigio. Il lettore viene avvolto dall’atmosfera oscura, spesso inquietante, dell’opera e si trova a brancolare nel buio tanto quanto il protagonista, tentando difficoltosamente di comporre i tasselli incoerenti di una storia che appare sempre più intricata.  

Come ombre inquietanti si stagliano, sullo sfondo della narrazione ma sempre cupamente centrali nel dipanarsi delle vicende, le strane leggende riguardanti la casa. A partire dalla misteriosa scomparsa avvenuta decenni prima del ricco ed avido Tokaiya, mercante appassionato di meccanismi che aveva ordinato la costruzione dell’edificio, il luogo è temuto e circondato da una pesante aura di mistero. Non solo si vocifera che sia infestato dagli spettri e che vi aleggino terribili rancori, vecchi e nuovi; le voci affermano anche che vi si trovi un favoloso tesoro, perduto da tempo nei dedali ormai dimenticati di un labirinto. L’apparizione continua di soggetti sinistri e “malvagi” turba la vita degli abitanti della casa, obbligando il protagonista a scavare a fondo nell’inquietante passato della dimora e dei suoi nuovi abitanti, scoprendo verità molto al di là di ogni sua aspettativa.

Con i suoi continui colpi di scena, l’opera raramente risulta prevedibile, riuscendo sempre a stupire il lettore e a fondere perfettamente la sua vena “soprannaturale” con una natura più investigativa e poliziesca. In un susseguirsi di tigri, daghe nel buio, esseri “divini” e nuovi nemici, l’autore riesce a mantenere viva la suspense durante tutto il corso dell’opera; lungi però dall’appiattirsi sui soli temi del mistero e dell’investigazione, “La torre spettrale” mette in scena anche l’amore, vera e propria forza motrice delle azioni del protagonista ma anche ragione di conflitto, rendendo la trama ancora più appassionante e riuscendo a generare un forte coinvolgimento emotivo nel lettore.

Pubblicata a puntate tra il 1937 e il ’38, l’opera costituisce un libero riadattamento dell’omonimo racconto a puntate dello scrittore Kuroiwa Ruikō. “La torre spettrale” ha lasciato un segno forte e duraturo nel mondo culturale giapponese; nonostante la distanza cronologica e di contesti culturali, l’opera appare assolutamente in grado di parlare anche al lettore occidentale e contemporaneo, catturandolo nel complesso intreccio delle vicende e facendogli vivere emozioni forti, scandite dal movimento arrugginito dei suoi vecchi meccanismi e dal rintocco sordo delle sue campane.

Recensione di Mattia Natali

King Gnu – Ceremony || Recensione

Parlando di J-pop e J-rock non si possono non citare i King Gnu, una tra le band giapponesi emergenti più di successo dell’ultimo decennio. Nascono nel 2013 dalla mente del chitarrista e voce principale del gruppo Tsuneda Daiki, che battezzò la band dapprima con il nome “Mrs.Vinci”, salvo poi nel 2017, con il graduale inserimento degli attuali altri tre membri del gruppo, cambiarne il nome in King Gnu.

Il gruppo aveva già acquisito un certo successo con I precedenti album Tokyo Rendez-Vous (2017) e Sympa (2019) ma è con il loro ultimo album Ceremony uscito nel 2020, che il gruppo compie il vero salto qualitativo, arrivando in quell’anno a piazzarsi sesti nella classifica degli album più venduti in Giappone, e decimi a livello di vendite mondiali.

L’album, così come la loro musica, è un misto eclettico di vari generi musicali tra cui J-rock, J-pop, Pop rock, elettronica, che permettono al gruppo di spiccare per la loro creatività e originalità nel creare arrangiamenti musicali unici e sperimentali che emanano una forte energia e vivacità.

Ceremony nello specifico è composto da 12 tracce, di cui una intro e una outro. Tra queste spiccano diversi brani tra cui:

  • Teenager Forever, dal tono vibrante, energico, scanzonato, analizza temi legati all’adolescenza e alla transizione verso l’età adulta, caratterizzati da numerose incertezze verso il futuro e verso le proprie capacità di affrontarlo. La canzone però invita, con il suo tono leggero e scanzonato, a soppesare meno tali preoccupazioni e a focalizzarsi invece sul presente e sulle piccole cose, che dopotutto, sono ciò che veramente ci possono rendere felici.
  • Hakujitsu (白日), in assoluto la hit per eccellenza del gruppo con oltre 162.300.00 ascolti su Spotify, e non a caso, visto che è probabilmente il vero fiore all’occhiello di Ceremony, che mescola un sound emotivo, ma allo stesso tempo coinvolgente, energico e incredibilmente catchy, e che rappresenta un’ode all’ottimismo invitando l’ascoltatore a guardare al futuro con speranza e positività, nonostante gli ostacoli che inevitabilmente ci saranno e i rimpianti passati.
  • Hikōtei (飛行艇), dal sound più potente e ambizioso dei brani precedentemente citati, invita l’ascoltatore ad alzarsi metaforicamente in volo, come un idrovolante, lasciandosi trasportare dal vento e dal vasto cielo, metaforicamente rappresentati come un’opportunità di libertà e realizzazione personale che si può attuare solo esplorando l’ignoto e abbracciando le incertezze del futuro. L’invito è quello di “Rock your life” ovvero di vivere la propria vita con passione ed entusiasmo, abbracciando la vita e ciò che comporta senza timore delle proprie imperfezioni e di godere sia dei successi che dei fallimenti.

In generale i King Gnu rappresentano una pietra miliare del panorama J-rock e J-pop contemporaneo, rientrando sicuramente di pieno merito tra le band giapponesi emergenti più interessanti degli ultimi anni. Per tale ragione invitiamo i nostri lettori a farsi un favore e a fiondarsi subito all’ascolto, nonché invitiamo a “Rock your life”! In pieno stile King Gnu.

Recensione di Giuliano Defronzo

Radio Imagination || Associazione Takamori

Autore: Seikō Itō
Traduzione: Gianluca Coci
Editore: Neri Pozza
Edizione: 2015

Akutagawa Fuyusuke è rimasto impigliato per cause misteriose su una cryptomeria a testa in giù (in seguito si scoprirà esser stato travolto dallo tsunami che nel 2011 ha colpito l’intera regione di Tōhoku). In bilico tra la vita e la morte decide di creare nella sua mente un proprio programma radiofonico in grado di arrivare alle persone attraverso il potere dell’immaginazione. Lui si fa chiamare “Dj Ark” e il suo programma, appunto, “Radio Imagination”. Ben scandito da un’accurata selezione musicale, il nostro protagonista racconta a ruota libera i trentott’anni della sua vita: dal suo lavoro come manager di una piccola casa discografica al suo rapporto con la famiglia, in particolare con il figlio Sosuke e la moglie Misato.

Alcuni capitoli sono dedicati a un personaggio chiamato “S”: un giovane scrittore partito da Tokyo in direzione di Fukushima assieme a un gruppo di volontari per aiutare le vittime del disastro. S, l’unico della compagnia in grado di sentire la voce di Dj Ark, intreccerà sul finale le sue vicende con quelle di quest’ultimo.

“La tua trasmissione mi ha ridato speranza, sembra essere fatta per tutti noi che siamo sul punto di frantumarci. Sei una piccola voce che ci parla di persona, un sussurro venuto in nostro soccorso”

Il romanzo colpisce fin da subito per la sua singolare struttura, presa a piene mani dal mondo della radio: il lettore, infatti, è immerso nel lungo flusso di coscienza di Dj Ark, caratterizzato da continui flashback e repentini cambi di discorso. Non a caso Seiko Itō, oltre alla carriera da scrittore e professore, è un affermato MC e questo imprinting emerge nella sua scrittura incalzante e piacevolmente caotica, come un freestyle.

Altro aspetto molto curioso è la possibilità di mettersi in contatto direttamente con Dj Ark: attraverso una sorta di e-mail telepatiche gli ascoltatori commentano e condividono le loro esperienze. Fuyusuke è riuscito così non solo a dar sfogo alla sua amabile logorrea, bensì a proporre uno spazio di condivisione, che va oltre la semplice community, di cui anche noi lettori ci sentiamo parte.

“Non dipende tutto dai vivi. Se i morti non esistessero, la memoria e i ricordi dei vivi non avrebbero senso compiuto”.

Il tema attorno al quale ruota tutta la narrazione è la morte, più specificatamente il rapporto con i defunti: secondo Itō le persone morte in circostanze tragiche rimangono ancora in questo mondo sottoforma di spiriti, come se non riuscissero lasciare serenamente tutto alle spalle. All’interno della sua opera l’autore critica la società nipponica, intenta ad andare avanti sotto la bandiera di un falso ottimismo e incapace allo stesso tempo di fare i conti con le proprie vittime. È necessario, pertanto, che i vivi e i morti collaborino per costruire assieme un futuro migliore.

Nonostante l’atmosfera onirica e a tratti ironica, “Radio Imagination” riesce a raccontare una tragedia, che ha toccato profondamente il Giappone, in modo moderno e a prendere di petto il tema complicato della morte.

Recensione di Martino Ronchi

The Legend & Butterfly || Far East Film Festival 25

Regia: Otomo Keishi
Durata: 168 min
Anno di uscita: 2023
Attori principali: Kimura Takuya, Ayase Haruka, Nakatani Miki
Genere: Dramma, Storico, Romance, Comedy

In onore del 70° anniversario dello studio Toei, il film The Legend & Butterfly è stato prodotto dai migliori cast e staff del cinema giapponese. Con un costo totale di produzione di 2 miliardi di yen, questo grande successo emozionante è stato proiettato durante il Far East Film Festival 25 in anteprima nazionale, raccontando la storia sconosciuta del noto e leggendario Nobunaga Oda e della misteriosa Lady Nō (Nōhime) conosciuta anche come Kichō, la moglie legale di Nobunaga. Il suo nome completo era Kichō, ma poiché proveniva dalla provincia di Mino, è più comunemente nota come Nōhime (“Signora di Mino”). Era famosa per la sua bellezza e astuzia, perfettamente trasmessa dall’attrice Ayase Haruka all’interno del film.
“The Legend & Butterfly” trova senza dubbio il suo centro nella fiction ma si distingue per la sua accurata ricostruzione storica e per la riuscita rappresentazione dei personaggi principali. La storia si concentra sulla figura di Nobunaga, interpretato da Takuya Kimura, che offre una performance multiforme e convincente. Nobunaga è ritratto come un personaggio sfaccettato, spesso crudele, ma anche intelligente, razionale, divertente, emotivo e persino commovente.
Oltre alla figura di Nobunaga, il film propone un personaggio altrettanto interessante: Lady Nō, interpretata da Haruka Ayase. Nonostante la scarsa documentazione storica sulla vera personalità di Lady Nō, i registi hanno creato una figura affascinante e determinata, in linea con la tradizione delle onna-musha, le donne guerriere. La loro relazione è al centro della narrazione e il loro evolversi, da sconosciuti scontrosi ad alleati riluttanti, fino ad amanti appassionati, è raccontato con grande sensibilità e maestria.
Il film non è solo una ricostruzione storica, ma anche una romantica storia d’amore tra i due. Le scene d’azione non appaiono spesso ma la loro mancanza non rappresenta un difetto, poiché consente di concentrarsi sulla presentazione dei personaggi e sulla relazione che cresce e si sviluppa nel corso del film. Ciò che emerge è una rappresentazione emotivamente coinvolgente e convincente della storia d’amore tra Nobunaga e Lady Nō.

La performance impeccabile degli attori e la regia attenta e sensibile rendono The Legend & Butterfly un film imperdibile per gli appassionati di storia giapponese e di storie d’amore.
La storia inizia con il matrimonio politico nel 1549 tra il figlio del signore della provincia di Owari, Nobunaga, e Nōhime, figlia del signore della provincia di Mino soprannominato “La Vipera”. Nobunaga è erede del dominio di Owari e si dimostra fiero e arrogante, ma anche eccentrico, divertendosi con i suoi servitori e vestendo in modo sgargiante ma trasandato. Nōhime lo considera in un primo momento un uomo infantile e testardo.
La svolta avviene nel 1560 quando Nobunaga, ormai signore di Owari, si trova di fronte a un’armata assai più grande della sua. I suoi servitori non hanno fiducia in lui e la situazione sta per aggravarsi ma Nōhime propone un geniale piano di battaglia e aiuta a mettere insieme Nobunaga un discorso per motivare le truppe. Le sue idee si rivelano brillanti e Nobunaga si rende conto che la sua moglie, anche se difficile da gestire, ha le sue utilità.
Il film poi passa alla lunga e sanguinosa lotta di Nobunaga per distruggere i suoi nemici e unificare il Giappone, dove gli anni scorrono rapidamente. Lungo il cammino, Nobunaga e Nōhime finalmente si connettono romanticamente durante una giornata in città dopo essersi travestiti da campagnoli e riversati nella folla. Da qui in poi la loro storia segue un percorso romantico convenzionale, con i suoi alti e bassi nel corso degli anni.

Tora-san, Our Lovable Tramp || Far East Festival 25

Titolo originale: 男はつらいよ (Otoko wa tsurai yo)
Regia: Yamada Yōji
Durata: 91 minuti
Attori principali: Atsumi Kiyoshi, Baishō Chieko, Mitsumoto Sachiko, Ryū Chishū, Shimura Takashi, Maeda Gin
Anno: 1969

Proiettato in occasione del tributo a Baishō Chieko durante il Far East Festival 25, Tora-san, Our Lovable Tramp – primo film di una delle lunghe e iconiche serie dirette da Yamada Yōji – è stato selezionato personalmente dalla sopra citata leggendaria attrice, fresca di Palmo d’Oro alla carriera, grazie al quale il ruolo di Sakura, da lei interpretato, sorella minore del protagonista della pellicola, ha consolidato la sua posizione nell’albo d’oro della storia del cinema giapponese e le ha garantito fama mondiale.

Viene introdotto per la prima volta un personaggio destinato a diventare un simbolo nazionale; il suo nome è Kuruma Torajirō, detto Tora, venditore ambulante che gira per tutto il Giappone, interpretato dallo splendido e impeccabile Atsumi Kiyoshi. Il portamento pesante e goffo, il modo di rivolgersi agli altri eccessivamente diretto e grossolano, il carattere rozzo e la sua immaturità, dietro cui si cela un grande cuore, hanno contribuito alla creazione di una vera e propria icona – come Totò in Italia o Charlie Chaplin in Inghilterra – destinata a entrare indelebilmente nell’immaginario giapponese, accompagnando gli spettatori dal 1969 al 1995 nelle sue avventure proiettate in ben 48 episodi.

La caratterizzazione caricaturale e leggera di Tora trova subito spazio nella primissima scena, dove si presenta rivolgendosi allo spettatore con un voiceover eccentrico, in cui racconta di essere nato e cresciuto nel quartiere di Shibamata, nello shitamachi di Tokyo. Dopo un litigio con il padre, lasciò improvvisamente famiglia e città e girò tutto il Giappone diventando, come anticipato prima, un venditore ambulante. Dopo vent’anni di assenza, durante i quali tutti gli abitanti del quartiere pensavano che fosse morto, guidato dalla nostalgia torna nel suo luogo di nascita, dove viene accolto dagli zii e dalla sorella minore, Sakura. Quest’ultima, dopo la morte dei genitori, lavorava in un’azienda di elettronica; il suo datore di lavoro aveva organizzato per lei un matrimonio con un collega. In occasione dell’omiai, l’incontro formale dei promessi sposi insieme alle famiglie e a un intermediario, Tora prende il posto dello zio, ancora alle prese con i postumi della sbornia del giorno precedente, e manda all’aria ogni speranza di successo dell’incontro, conseguenza del suo fare bambinesco e scurrile, a cui si accompagnano battute squallide e uno stato di ubriachezza che sortiscono un effetto comico arricchito anche dal linguaggio del corpo e dal tono di voce. Tornati a casa dopo l’infausta brutta figura, Tora litiga con gli zii e decide di partire di nuovo, dirigendosi a Nara, dove incontra Fuyuko, figlia del sacerdote del tempio. Il suo aspetto esteriore elegante e le maniere aggraziate – tipiche dell’ojōsan – affascinano e fanno innamorare Tora, il quale torna a Shibamata accompagnando la giovane ragazza e il padre in occasione della visita al negozio di dango, gestito dai suoi zii. Da questo momento la vita di Tora sarà contraddistinta da momenti significativi, con le prospettive matrimoniali della sorella e il corteggiamento di Fuyuko, che lo metteranno davanti a delle decisioni delicate in cui vengono fuori la sua empatia e gentilezza, finora celate dai suoi modi zotici.

Il mondo di Tora fluttua tra un Giappone in via di modernizzazione e richiami nostalgici al passato; in un contesto storico dove il paese si trovava impoverito di stimoli e ideali, Yamada Yōji riporta sullo schermo i valori cardine della tradizione e della cultura giapponese, come la famiglia e gli affetti, che mirano a far riscoprire allo spettatore quella semplicità andata perduta nel secondo dopoguerra. La volontà di attingere alla tradizione non è però un mero e disperato tentativo, fine a se stesso, di recuperare uno spirito ormai perduto; il contrasto con l’approccio alla modernità è inevitabile, e in questo ambito il ruolo di Sakura tratteggia un delicato e graduale mutamento del ruolo della donna, membro attivo della società con un lavoro e una propria indipendenza. La giovane, infatti, si oppone ai matrimoni combinati, pur mantenendo una dedizione e una cura encomiabili verso la famiglia, accogliendo e accettando Tora nei suoi pregi e difetti e proteggendolo da un contesto dove il suo desiderio di integrarsi nella società non può avverarsi.

Cinema popolare e autorialità si armonizzano, così come modernità e tradizione; Yamada attinge alla classicità nella squisita successione di sequenze comiche, e cura molto lo stile nelle inquadrature e nella fedelissima ed elegante ricostruzione dello shitamachi,; d’altra parte, la dinamicità della narrazione e la sentimentalità dei personaggi aderiscono all’inquietudine del periodo, conferendo all’opera un rilevante realismo.

In conclusione, le diverse ispirazioni di Yamada nell’ambito cinematografico, storico, sociale e culturale confluiscono in un classico che trascende tempo e luogo, che risuona nel cuore di tutti coloro che accompagnano Tora nel suo lungo viaggio.