Stella stellina || Recensione

Autrice: Ekuni Kaori
Traduzione: Paola Scrolavezza
Editore: Atmosphere Libri
Collana: Asiasphere
Edizione: 2013

Stella stellina è un romanzo pubblicato nel 1991 da Ekuni Kaori. Narra le vicende quotidiane dei coniugi Kishida, Mutsuki e Shoko. Il primo è un dottore mentre l’altra è una traduttrice dall’italiano e all’inizio del racconto sono da poco sposati.

La relazione tra i due non può però essere definita in semplici termini: in una società dove le apparenze sono fondamentalinessuno dei due coniugi è un partner ideale per gli standard;Mutsuki è omosessuale e ha un amante fisso, Kon, mentreShoko manifesta un disturbo borderline di personalità e una pericolosa tendenza alla depressione e all’alcolismo. È un matrimonio combinato, comunissimo in Giappone in quegli anni, dove chi controlla il destino dei due sposi sono i genitori, che però non sono al corrente dei rispettivi “difetti” dei figli.

Quello tra I due giovani si può quindi considerare un matrimonio di convenienza, ma si intravede nelle interazioni tra Mutsuki e Shoko un chiaro e genuino affetto l’uno nei confronti dell’altra. Ciononostante, le pressioni esterne gravano su entrambi specialmente con le richieste incessanti dei genitori riguardo a potenziali figli.

Il matrimonio non è costruito su fondamenta solide e sembra incrinarsi sotto il peso delle aspettative della società, dei genitori e dai dubbi personali dei due coniugi. I due, insieme all’amante Kon, riusciranno però a trovare una loro personale e creativa soluzione alla fine del romanzo.
Stella stellina può apparire a prima vista poco profondoperché per tutta la narrazione al centro della vicenda troviamo le interazioni e abitudini quotidiane dei due giovani. Sotto queste descrizioni apparentemente vaporose in realtà,vediamo gli sforzi di molti uomini e donne giapponesi del tempo (e odierni) che ogni giorno devono confrontarsi con il peso delle aspettative.

La lettura è scorrevole e leggera grazie allo stile semplice ma di impatto di Ekuni Kaori, il quale, dopo aver completato il romanzo, lascia al lettore una sensazione di speranza ma allo stesso tempo di malinconia per i protagonisti.

Nonostante la caratterizzazione dei personaggi non sia molto profonda al di fuori dei due principali, il romanzo non appare mai vuoto o poco interessante, facendo appassionare lo spettatore alle vicende e alla lotta quotidiana dei due coniugi.

Recensione di Emma Del Degan

Shoplifters || Recensione

Regia: Korēda Hirokazu
Durata: 121 minuti
Attori principali: Andō Sakura, Lily Franky, Jō Kairi
Anno: 2018

Shoplifters’ segue le vicende più quotidiane di una famiglia alquanto insolita, ma che nonostante lo stato di povertà in cui riversa, sembra vivere una vita tutto sommato tranquilla e felice, dove è proprio il forte legame familiare che questi condividono a costituirne la loro forza. 

Una nonna, un padre, una madre, una sorella, e un figlio, trascorrono le proprie esistenze all’interno delle quattro mura di una stretta casa della periferia di Tokyo, condividendo assieme spazi, cibo e ricordi. Per il proprio sostentamento però, la famiglia è talvolta costretta a ricorrere a qualche atto di taccheggio, che tuttavia nonostante l’illegalità della cosa, non sembra arrecare loro alcun problema morale, dopotutto “ciò che non è stato comprato non appartiene ancora a nessuno”.

È proprio durante uno di questi momenti che la famiglia ci viene presentata, con il padre e il figlio intenti a taccheggiare qualcosa da dentro a un supermercato, che grazie alla discrezione e all’ingegnosa comunicazione a gesti dei due, l’operazione finisce in successo. Sulla via del ritorno però, i due trovano appena fuori da una casa una bambina abbandonata, visibilmente infreddolita e affamata, e vedendo la scena decidono così di portarla a casa e adottarla. 

Nonostante la famiglia riesca appena a sostentarsi decidono comunque di offrirle rifugio, non mancando nel fornirle quell’amore e quel calore che non ha mai avuto. Anche in questo caso, adottare illegalmente una bambina non sembra essere per loro un problema, dopotutto “non è rapimento se non chiedi per un risarcimento”. 

L’opera ha un ritmo volutamente lento, intenta a mostrarci fin da vicino come questa famiglia trascorra la propria esistenza di tutti i giorni, poiché è proprio nella quotidianità e nelle piccole cose che questa riesce a trovare quella gioia e quella felicità che ne creano un così forte legame condiviso, ma mano a mano che si prosegue nella storia però, sempre più stranezze sembrano circondare la famiglia: perché il figlio non riesce a chiamare il padre ‘papà’? Perché i bambini non vanno a scuola? 

Questi e tanti altri misteri verranno svelati nel toccante finale, dove la vita apparentemente tranquilla della famiglia si rivela nelle sue fragilità. 

Shoplifters’ è una meravigliosa storia che ridefinisce il concetto di amore e legame familiare, e che narra le vicende di una famiglia apparentemente anti-convenzionale, ma che più di tutte è riuscita a imparare ad amarsi. 

Recensione di Giuliano Defronzo

Yonezu Kenshi (米津玄師) – Stray Sheep

Abbiamo già introdotto Yonezu Kenshi come pilastro del J-pop e, più estensivamente, dello scenario coinvolgente la musica giapponese, nella recensione del suo singolo, Lemon, rilasciato nel 2018 (articolo completo nel link a piè di pagina), che lo vede già occupare una posizione importante nella produzione pop del tempo. A testimonianza di ciò, il video musicale brano di più rilievo dell’album – al quale conferisce il nome stesso – Lemon, si trova a oggi vicino agli 800 milioni di visualizzazioni, rendendolo così il video più visto nella storia della musica giapponese.

Il successo di Lemon, però, non è stato determinato da un boom virale che lo ha fatto balzare alle stelle della scena pop, bensì è stato il frutto di un processo graduale che lo ha visto scalare le classifiche ottenendo il primo posto con Bremen nel 2015, e registrare il milione di copie vendute con Bootleg nel 2017. Il successo di Bootleg fu tale che Yonezu limitò la sua attività al rilascio di singoli (tra cui, appunto, Lemon) e alla produzione di sigle per serie televisive e cartoni animati, insieme alla produzione di brani per altri artisti, come Suda Masaki (菅田将暉) nella composizione di Machigaisagashi (まちがいさがし). 

La sua esponenziale ascesa lo porta alla posizione di musicista giapponese più popolare nel panorama musicale moderno, e la conferma definitiva la troviamo nella pubblicazione del suo quinto (settimo se consideriamo la produzione con il nome d’arte Hachi)  e ultimo album, Stray Sheep, pubblicato nel 2020.

Come si può evincere dal titolo, l’intero album segue le linee principali che hanno caratterizzato la sua produzione – come passo andante, ricercatezze ritmiche e testi di elogio all’amore e al cambiamento – ma non è una progressione naturale, una parabola uniforme: è infatti un album in cui vi sono sia rimandi al passato, con l’inclusione di brani come Lemon, Flamingo, Uma to Shika (馬と鹿) e Umi no Yuurei (海の幽霊), ma anche un affacciarsi a un nuovo sé – il quale ha ancora tanto da comunicare con la sua arte – con distorsioni dissonanti e composizioni sperimentali a livello sia di arrangement che di contenuti.

Il brano che apre il sipario è Campanella, per il cui titolo adotta la traslitterazione カンパネルラ; non è un caso, visto che fa riferimento all’omonimo protagonista di Una notte sul treno della Via Lattea (銀河鉄道の夜), capolavoro della letteratura giapponese scritto da Miyazawa Kenji – autore affermatissimo nella letteratura del periodo Shōwa di grande influenza folcloristica locale. Troviamo un Yonezu migliorato non solo dal punto di vista composizionale, ma anche tecnico: il suo range vocale va su e giù in finestre brevissime come una molla, gestisce magistralmente falsetti e mostra eccezionale padronanza di tecniche come l’increspatura nella nota più alta della canzone. Il brano è incredibilmente stratificato ritmicamente, con una ricchezza di strumenti e di suoni sia tratti dalla natura – scenario importante del brano con i riferimenti al deserto del Thal in Pakistan, le conifere, il mare e gli uccelli – sia “artificiali”, con sintetizzatori, interferenze elettroniche ed elementi solenni come le campane. 

La canzone inoltre sposta il punto di vista da cui viene raccontata la storia di Miyazawa: il protagonista principale non è più il narratore, Giovanni, ma il colpevole, Zanelli, che ha causato la morte di Campanella gettandolo nel fiume, rivoluzionando l’esperienza dell’ascoltatore/lettore e aprendo una finestra che si staglia sul sé più intimo. Yonezu stesso infatti ci dice:

  • È una canzone incentrata su Campanella, ma il cantante non è Giovanni, semmai Zanelli. Zanelli è un prepotente e la causa diretta della morte di Campanella. Una parte di me prova molta empatia per Zanelli. Quando gli esseri umani commettono errori, direttamente o indirettamente, possono causare la morte di qualcuno. Penso che ogni tipo di scelta sia collegata alla morte altrui. Per riferirmi all’attualità, è possibile che io sia portatore di una malattia senza saperlo e che involontariamente infetti qualcuno, facendolo ammalare gravemente e morire. Ogni tipo di scelta può portare alla potenziale morte di qualcuno. Credo che Zanelli sia uno che ha assistito di persona a tutto questo. È stato direttamente coinvolto nella morte di Campanella e vive trascinandosi dietro questa ferita. Credo che questo si colleghi alla mia natura autopunitiva. 

Un altro pezzo che ha riscontrato enorme successo è Flamingo, uscito come singolo nel 2018 e riportato nell’album. È un pezzo bizzarro ed eccentrico, caratterizzato da una trama annebbiata e linguaggio oscuro, con l’inserzione di suoni riecheggianti onomatopee; la linea vocale ondula dall’alto verso il basso come una funzione trigonometrica, e nella composizione vi è una forte componente funk.

Troviamo anche la self-cover di un pezzo scritto per l’emittente televisiva NHK e successivamente diventato tema delle Olimpiadi di Tokyo 2020, Paprika, reinterpretata e ricomposta secondo la componente folk già riscontrata in Flamingo;  Kanden (感電), colonna sonora del dorama Netflix MIU404, in cui la pluralità di strumenti, il ritmo agile e un orecchiabile ritornello la rendono uno dei pezzi di stampo pop più interessanti; Yasashii hito (優しい人), la quale interrompe come un fulmine a ciel sereno – con il suo stampo intimistico nella forma di una ballata povera di strumenti ma ricca di spiritualità – l’andamento dell’album.

Sullo stampo della ballata intimistica, infine, troviamo Canary (カナリヤ), pezzo di chiusura che sottolinea l’importanza del cambiamento nella nostra lunga vita in quanto esseri umani ed evidenziando come, anche in amore, è giusto abbandonarci al fiume inarrestabile della naturale evoluzione degli eventi, prendendo consapevolezza di come anche i sentimenti possano cambiare; il cambiamento porta dolore, ma è giusto accettarlo come parte di noi.

Stray Sheep è quindi il ritratto di una profonda sensibilità e il frutto di un’evoluzione sia graduale, ma anche inaspettata dell’anima in quanto essere umano e musicista di Yonezu; l’ascolto lascia quindi un senso di completezza per tutte le aree emotive toccate, lasciando anche la curiosità di assistere al coronamento dell’evoluzione inaugurata dalle componenti dissonanti e sperimentali.

Recensione di Giovanni Varia

Matcha al Veleno || Recensione

Autore: Stefania Viti
Editore: Sonzogno
In copertina: illustrazione di Vincenzo Filosa
Edizione: 2023
Pagine: 252

Stefania Viti giornalista professionista con esperienza internazionale, laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Lingua e Letteratura Giapponese.
Vissuta a Tokyo per 10 anni, adesso vive e lavora a Milano e scrive di svariati temi tutti relativi al Giappone contemporaneo per testate nazionali e internazionali. Con “Matcha al veleno” mostra la cultura giapponese, in particolare la famosissima “cerimonia del tè” attraverso un incidente durante proprio una di esse, la koicha temae, cerimonia in cui i partecipanti bevono da un’unica tazza di tè. Ci troviamo nella scuola del tè Tsubaki, nel quartiere Brera con la partecipazione di figure di spicco della comunità nipponica milanese nonché della Milano Bene. Tra le figure di spicco, Ludovica Cattaneo, mecenate rinomata dei salotti cittadini e moglie di un importante finanziere, dopo aver bevuto si accascia per terra a causa di quello che sembrerebbe un malore improvviso.
La protagonista, la giornalista di moda e amante del Giappone, dove ha vissuto, Nora Valli, non si fa convincere dalla situazione e pensa ci sia qualcos’altro, che non si tratti di un malore incidentale, ma di un delitto. Così iniziano le sue investigazioni a riguardo per scoprire la possibile causa e il possibile colpevole, affiancata e spronata dal suo mentore Gigi, caporedattore della cronaca. Seguiamo, dunque, le vicende della protagonista con tanto di intrighi, amori e passioni, con l’incessante ombra della sua direttrice, Agata, che cerca di rincorrerla. Non mancheranno degli spaccati sulle vite tumultuose dei vari personaggi che aiuteranno pian piano a ricostruire il delitto, ovviamente filtrati dai pensieri, esperienze e intuizioni di Nora.
Co-protagonista della storia è la cultura giapponese, lo si evince già dal titolo, dalle prime righe e dai continui rimandi, con curiosità e approfondimenti sia per un lettore edotto in materia, sia per un lettore alle prime armi con il Giappone e la sua cultura, che anche senza volerlo rimarrà affascinato. Altro segno evidente della conoscenza nipponica della scrittrice che pervade l’intero libro è la nomenclatura dei capitoli, tutti con parole giapponesi, emblematiche, ma sempre azzeccate, ma anche i dialoghi in giapponese sparsi per l’opera scritti utilizzando i sistemi di scrittura giapponesi, ma anche in rōmaji, la trascrizione latina di quest’ultima. per poi essere subito riportarti in italiano, senza intimorire nessun lettore, a prescindere dalla propria conoscenza del giapponese. Da non sottovalutare, inoltre, i consigli o più propriamente le analisi di moda della protagonista, con un spazio peculiare per lo smalto, quasi un’ossessione di quest’ultima.
Intrigante culturalmente, pieno zeppo di nozioni sull’oriente, “Matcha al veleno” è una lettura gradevole, un giallo avvincente, non solo, ma anche altro, da scoprire e da leggere.

Recensione di Gaspare Asta

Feel The Wind || Recensione

Regia: Ōmori Sumio
Durata: 133 minuti
Anno di uscita: 2009
Attori principali: Koide Keisuke, Hayashi Kento

Feel the Wind (in originale Kaze ga tsuyoku fuiteiru) è un film del 2009 basato sull’omonimo libro dell’autrice Miura Shion del 2006. Il film gira attorno alla Hakone Ekiden, che generalmente si tiene tra il 2 e il 3 di gennaio, durante il quale i concorrenti devono correre da Tokyo fino a Hakone.

Il film tratta di Kurahara Kakeru (Hayashi Kento), un prodigio della corsa, che viene invitato da Kiyose Haiji (Koide Keisuke) a vivere nello stesso dormitorio chiamato Aotake dopo essere scappati correndo da un ristorante senza pagare. Durante una cena per festeggiare il nuovo arrivato, si scopre che in realtà l’Aotake è la sede del club di corsa, e che Kiyose li ha scelti per cercare di partecipare all’Hakone Ekiden, una staffetta di livello universitario, e Kurahara era il decimo inquilino che mancava per poter partecipare. Nonostante lo scetticismo dei compagni, e soprattutto di Kurahara che vede l’impresa come impossibile, i dieci ragazzi cominciano ad allenarsi per poter finalmente prender parte alla gara e realizzare il sogno di Kiyose.

La pellicola si focalizza principalmente sulla corsa, mostrandone la capacità liberatoria, ma anche l’immensa solitudine che ne deriva. Kiyose tenta di dimostrare a Kurahara che ciò che importa davvero nella corsa non è la velocità, ma la forza, e che invece di scappare dai propri problemi si può usare questo sport per correre verso un obiettivo. Inoltre, il film cerca esplora come Kurahara era da solo anche nella vita oltre che nella corsa, e come seguire Kiyose l’abbia aiutato a connettere anche con gli altri membri del gruppo, e a capire che ognuno di loro ha trovato un modo di gestire i problemi attraverso la corsa. Questa connessione tra i personaggi è brillantemente dimostrata attraverso l’uso della staffetta, in quanto il passaggio del testimone collega tutti loro, dall’inizio alla fine della gara.

Nonostante il largo cast di personaggi e il focus particolare su Kurahara e Kiyose, ognuno dei dieci protagonisti riceve un momento per brillare e avere l’attenzione su di sé, dando il film un senso di completezza e realizzazione dei personaggi.

Recensione di Camilla Ciresa