FINAL FANTASY XIV: DAD OF LIGHT

Il marketing tradizionale non funziona più. Bisogna trovare soluzioni alternative!”. Questo è quello che avranno forse pensato quelli della Square Enix quando hanno concepito la produzione della serie televisiva Final Fantasy XIV: Dad of Light. Alla lettura del titolo verrebbe da pensare di trovarsi di fronte ad una similtrashata rivolta soltanto agli appassionati della serie videoludica, realizzata esclusivamente per promuovere l’ultimo videogioco della storica serie di Hironobu Sakaguchi. Dopo averla vista, posso dire che non è così, e che se questo è marketing, è fatto in maniera molto intelligente.

Final Fantasy XIV: Dad of Light ha rappresentato per il sottoscritto la prima visione di una serie televisiva giapponese, ed è stata una visione quanto mai convincente. Sia chiaro, non si sta parlando di un capolavoro. Chi cerca una storia coinvolgente, piena di colpi di scena, con personaggi ben caratterizzati, dalla regia e recitazione di alto livello e dai dialoghi incisivi, farebbe bene a cercare altrove. Final Fantasy XIV: Dad of Light non ha nulla di tutto questo. Ha però, dalla sua, tanto altro: leggerezza narrativa, spunti originali ed interessanti, piccole chicche rivolte agli appassionati di Final Fantasy e non solo. La storyline descrive le vicende di Akio, un post-adolescente giapponese che ha il desiderio di instaurare un rapporto più profondo con il proprio padre, la cui vita è ormai quasi interamente assorbita dal lavoro. Mosso dalla nostalgia per i momenti della sua infanzia in cui i due giocavano felicemente assieme, Akio decide di regalare al genitore Final Fantasy XIV, un gioco di ruolo online in cui si interagisce virtualmente con altre persone e si condividono avventure piene di mostri da combattere e mondi da esplorare. Il piano del ragazzo consiste nello stringere con suo padre amicizia online, nel mondo di Final Fantasy, senza però rivelargli la sua vera identità, nella speranza che il rapporto virtuale possa prendere una piega diversa da quello che i due hanno nella realtà.

Con la sua trama semplice ed insolita, Final Fantasy XIV: Dad of Light riesce nella missione di trasportare lo spettatore in una visione piacevole, strutturata attorno ad una manciata di personaggi che interagiscono tra loro similmente a quelli di un anime “slice of life”. Nonostante l’atmosfera leggera che accomuna gli otto episodi (da 20 minuti l’uno), tra le righe vengono poste anche tematiche serie come i problemi che possono sorgere nel rapporto tra padre e figlio e l’intreccio tra vita virtuale e vita reale. Cosa comporta il giocare ad un MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Game) e quale influsso potrebbe avere nella vita di tutti i giorni? Riguardo questo punto il telefilm si comporta in maniera piuttosto furba, evidenziando soltanto i lati positivi di tale esperienza videoludica ed omettendo sapientemente quelli negativi (d’altronde, se così non fosse, che operazione di marketing sarebbe?). Giocando a Final Fantasy XIV si stringono quindi amicizie, si trova l’anima gemella, si ricuce un rapporto padre – figlio ormai stantio, si migliora il rendimento aziendale e si capisce cosa significhi lavorare in un team, sfruttando appieno le potenzialità individuali. Seppur descrivendo soltanto una faccia della medaglia dell’esperienza GdR online, questa messa in scena dei potenziali benefici videoludici funge da semplice contorno alla storyline e non risulta mai appesantire la narrazione o intaccare la scorrevolezza della visione. Come già detto sopra, è marketing fatto in maniera intelligente. Ciò che funziona maggiormente è la combinazione di leggerezza narrativa e spunti originali. L’unione di questi due elementi restituisce una visione gradevole, impreziosita da piccoli tocchi di classe che si materializzano talvolta sotto forma di humour, dialoghi e scene divertenti, altre volte in trovate narrative fuori dagli schemi.
Final Fantasy XIV: Dad of Light è lineare ma anche imprevedibile. Quando sembra di essere giunti al termine, ecco che spuntano avatar dai ricordi virtuali, oceani e tramonti online, situazioni che sembrano appartenere ad un futuro distopico sulla falsariga di Black Mirror, ma che invece appartengono alla realtà. Se siete appassionati di Final Fantasy e dei GdR online, guardatelo. Se non lo siete, dategli almeno una possibilità: chissà che non iniziate a giocarci anche voi!

(Carlo di Gaeta)

Kantarō: la nuova serie TV di Netflix alla scoperta della pasticceria giapponese

Ametani Kantarō (Matsuya Onoe) è all’apparenza un semplice impiegato che lavora nel reparto vendite di un’agenzia editoriale a Tōkyō. Poco si sa di lui  se non che ha abbandonato il suo vecchio lavoro di ingegnere informatico per darsi alla vita da normale colletto bianco: quali siano i suoi interessi, chi i suoi amici, o addirittura i suoi genitori, sono una totale incognita per l’azienda.

Copertina del primo numero del manga da cui è tratta la serie TV

Tratto dall’omonimo manga di Tensei Hagiwara e Abidi Inoue, Kantarō si propone quindi come una macchina da guerra del lavoro, un uomo che, lungo gli episodi, non sembra perdere mai il controllo e rispetta (fin troppo) le etichette. La verità però, è che sotto a quell’espressione impassibile si cela ben più che un comune impiegato con problemi a relazionarsi: tra una commissione e l’altra, infatti, grazie alle sue abilità ingegneristiche che gli permettono di organizzare al meglio i tempi per concedersi dei ritagli, marina il lavoro e diventa… Sweets Knight, un appassionato blogger dolciario.

Tra citazioni di autori classici -come Goethe o Nietzsche- e scenette da spot psichedelico/nonsense giapponese, impareremo ad amare l’altra faccia della medaglia di Kantarō, quella di un uomo e la sua passione per i dolci che, con spiegazioni dettagliate e immagini in slow-mo da far venire l’acquolina in bocca (trailer a fine articolo!), ci guiderà attraverso negozi realmente esistenti nel panorama di Tōkyō: anmitsu, mamekan e ohagi sono solo alcune delle specialità che incontreremo nella serie, tra le mille peripezie del protagonista per non farsi sorprendere dai colleghi.

Personalmente ho amato molto questo show, quella sua leggerezza con la quale riesce a far divertire tra sketch improponibili nel 甘味の園 (kanmi no sono, l’eden dei dolci dove Kantarō trascende la realtà quando gusta le leccornie) ma al tempo stesso insegnare qualcosa: per esempio, lo sapevate che nel quartiere di Akasaka c’è una pizzeria chiamata Esse Due rinomata per la sua pizza napoletana? O che ad Asakusa c’è un negozio di hotcake che ricorda visivamente i cafe dell’epoca Shōwa? Queste ovviamente sono solo piccole curiosità, ma sarà meglio lasciare al giovane Kantarō e alle sue scappatelle la parte culinaria. Potete trovare la prima stagione su Netflix al nome di: “Kantaro, il rappresentante goloso”, 12 episodi da 25 minuti circa l’uno: ottimi per staccare la spina, farsi due risate e, nonostante tutto, apprendere.


Trailer della serie TV

Spero possa piacervi e, se doveste chiedervi se mai uscirà una seconda stagione, beh… Kantarō risponderebbe: “甘味のみぞ知る!” (kanmi* nomi zoshiru, solo il cielo lo sacher).

*il detto originale recita 神, kami, dio, non 甘味, kanmi, dolciume. È un gioco di assonanza tra le due parole. Un po’ come il titolo originale dell’opera: さぼリーマン飴谷甘太朗 (saboriiman ametani kantarō) che unisce サラリーマン (sarariiman, impiegato) con サボる (saboru, marinare, venir meno ai propri doveri).

(Recensione di Marco Amato)

 

SEGODON (西郷どん)

 

Il 7 gennaio è andato in onda il primo episodio del cinquantasettesimo dorama degli NHK Taiga, una serie di fiction incentrate su eventi e personaggi storici giapponesi: si tratta di “Segodon” (西郷どん). Tratto dal romanzo di Hayashi Mariko e sceneggiato da Nakazono Miho  (già ideatrice del dorama “Hanako to Anne”), al centro della fiction vi è la figura di Saigo Takamori il quale, avendo perso i genitori anzitempo e dovendo trovare una fonte di sostentamento, diventa assistente di un funzionario imperiale per la riscossione della tassa annuale sui terreni del feudo. È in questo periodo che, imbattendosi per caso in un contadino che sta per vendere la figlia a causa dei debiti, inizia a riflettere su come cambiare la politica agricola dell’epoca. Takamori nasce da una famiglia di samurai di bassa estrazione sociale nel dominio di Satsuma (l’odierna prefettura di Kagoshima) nel 1828 e gioca un ruolo chiave nel rovesciamento dello shogunato Tokugawa e nella transizione verso la Restaurazione Meiji.

Costretto per due volte all’esilio e con tre matrimoni alle spalle, Saigo Takamori ha un vissuto estremamente avventuroso e la sua figura è molto dibattuta in terra nipponica: considerato eroe da alcuni, ribelle da altri, dopo aver contribuito ad inaugurare il periodo Meiji ed essere stato consulente dell’imperatore e figura chiave nell’organizzazione e nel reclutamento delle truppe militari imperiali, si dimette dal suo incarico a seguito di decisioni politiche nazionali da lui non condivise. Nell’ultimo periodo della sua vita entra in forte contrasto con il governo e guida la sanguinosa “Ribellione di Satsuma” (le cui vicissitudini sono anche narrate ne “L’ Ultimo Samurai”) contro le truppe imperiali. Nell’ ultimo scontro, la battaglia di Shiroyama, perde la vita assieme alla quasi totalità delle sue truppe. La “Ribellione di Satsuma” segna anche la fine definitiva dei samurai come classe militare.

“Segodon” si propone di narrare l’ascesa e il declino di Saigo Takamori in 47 episodi con un casting che vanta attori del calibro di Watanabe Ken (noto al pubblico occidentale per colossal quali “L’ultimo Samurai”, “Batman Begins” ed “Inception”), Suzuki Ryohei (premio “Elan d’or Award for Newcomer of the Year” e “Best Supporting Actor” all’ ottavo International Drama Festival di Tokyo nel 2015), Kuroki Haru (premio “Silver Bear” come migliore attrice al Berlin International Film Festival nel 2014) e Nikaido Fumi (premio “Marcello Mastroianni” come migliore attrice al Festival di Venezia nel 2011). Il dorama andrà in onda ogni domenica alle ore 20 sul sito della NHK. Le puntate precedenti sono visibili su: https://www.nhk.or.jp/segodon/story/01/

(Michela Squadraroli e Carlo Di Gaeta)

GHOSTWRITER

 

Ciao a tutti e ben ritrovati nella nostra rubrica dedicata alle serie tv giapponesi! Stavolta andremo a parlare di un dorama del catalogo di viki.com e distribuito da Fuji TV, dal titolo Ghostwriter. La storia ruota attorno a due donne: Tōno Risa, la regina indiscussa della letteratura e Kawahara Yuki, una giovane scrittrice che, pur avendo grande talento, non ha avuto ancora modo di esordire.

Dopo numerosi concorsi falliti, Yuki decide di portare di persona uno dei suoi lavori proprio alla casa editrice della nota romanziera, ed è proprio lì che le verrà chiesto di diventare la sua assistente. Risa infatti, è in un periodo di blocco; non riesce a trovare l’ispirazione e i suoi fan continuano a criticare i suoi ultimi lavori, perciò nel momento in cui le capita sotto gli occhi una bozza della giovane ne approfitta pubblicando l’articolo con il nome di Tōno Risa. Il pubblico è in visibilio, quello che sembrava essere l’inesorabile declino di un’autrice ormai è solo un lontano ricordo, ma cosa ne sarà di Yuki? Sarà destinata a rimanere un’ombra e si accontenterà di vedersi soffiare tutto il merito?

Ghostwriter è una fiction che fa riflettere. I personaggi che ci vengono presentati devono affrontare loro stessi e le loro responsabilità: dalla sete di fama di Risa all’indipendenza di Yuki, ognuno di loro compirà delle scelte, più o meno rilevanti ai fini della trama, che li porteranno ad evolversi nel corso della serie. Un secondo punto a favore è sicuramente la scenografia calzante, ne è un esempio lo studio dove Risa e la sua segretaria Taura lavorano, arredato in modo freddo ed elegante è come se volesse riflettere la personalità che l’autrice si è costruita nel corso degli anni; mentre dall’altra parte abbiamo un appartamento umile e accogliente, casa di una Yuki remissiva. Tutto questo viene accompagnato da una colonna sonora quasi tagliente che aiuta a creare la giusta atmosfera durante le puntate che piano piano si fanno sempre più avvincenti. Sperando di avervi incuriosito almeno un po’ nel guardarla, vi saluto e vi do appuntamento al prossimo dorama!

Buona visione a tutti!

(Andrea Mularoni)

HIBANA: SPARKS

Benritrovati a tutti nella nostra sezione dedicata alla recensione dei dorama. Questa volta in serbo per voi, cari lettori, ho una tra le prime serie TV di origine nipponica ad essere approdata su Netflix. A differenza delle precedenti, questa volta devo ammettere che la serie non è di così facile comprensione, a causa di alcuni “sentire” tipicamente giapponesi su cui fa perno.

Hibana: Sparks” è un adattamento dell’omonimo bestseller di Matayoshi Naoki, e racconta la storia di un giovano comico in erba, Tokunaga, che cerca di realizzare il suo sogno di diventare un comico manzai di successo ( Il manzai è una forma di comicità giapponese nella quale un duo, condividendo un microfono, esegue sketch basati sulla rapidità delle battute e su giochi di parole ). In mezzo alle tante difficoltà, delusioni e soddisfazioni del protagonista scopriamo il vastissimo mondo che si nasconde alle spalle delle scena comica di successo in Giappone, e le relative dinamiche. A fare però da filo conduttore della vicenda è il particolare rapporto che si instaura tra Tokunaga e Kamiya, un comico presente sulla scena già da tempo. Tra i due infatti si instaura subito un rapporto Senpai-Kohai che risulta essere di difficile comprensione per noi occidentali a causa delle sue dinamiche peculiari, soprattutto per chi è anche a digiuno di anime e manga. Tutto ha inizio quando Tokunaga chiede di diventare allievo di Kamiya, che accetterà a patto che il giovane scriva una sua biografia. Inizia così un legame molto particolare tra i due, che si ritrovano spesso a condividere pesanti sbornie ed esperienze fuori dalle righe. Ed è proprio sullo sfondo di una Tokyo notturna, popolata dai personaggi piu strani che Kamiya condivide la sua saggezza di comico manzai  navigato, impartendo lezioni di vita e comicità al giovane e adorante Tokunaga. Questo rapporto si sviluppa secondo queste dinamiche durante un arco di tempo lungo 10 anni, 1 per ogni puntata, che culmina celatamente in un rapporto omoerotico tra i due protagonisti.

Come potrete vedere in questo dorama vengono affrontati molti temi attuali che rendono la serie piu profonda ed impegnata rispetto alle precedenti; da questo punto di vista anche la regia, a mio parere, fa un passo in avanti distaccandosi da una fotografia piatta e immobile. Inoltre, se avete seguito questa rubrica e avete già potuto vedere Tokyo stories: Midnight Diner noterete due simpatici cameo di personaggi già incontrati. Mi sento di consigliarvi questa serie nonostante le difficoltà sopracitate, perchè vi permetterà di entrare meglio nell’ ottica di quella che è la società giapponese, lontana dalle idealizzazioni occidentali, con i suoi pregi e i suoi difetti. Buona Visione a tutti!

(Recensione di Giacomo Becchi)