ATELIER (2015): UNA SERIE GIAPPONESE ALLA SCOPERTA DELLA MODA HAUTE COUTURE

Titolo originale: Underwear アンダーウェア

Anno: 2015

Prodotta da: Fuji Television per Netflix

Con: Kiritani Mirei, Mao Daichi

Prodotta da Fuji Television per Netflix, questa serie del 2015 si incentra principalmente sulla giovane Tokita Mayuko e segue la sua crescita personale e lavorativa dopo l’assunzione presso Emotion, esclusivo atelier di lingerie nel quartiere di Ginza a Tōkyō. Nei 13 episodi che compongono la serie la protagonista entra a far parte dello staff guidato dalla nota stilista Nanjō Mayumi, stringendo con tutti gli impiegati una profonda amicizia. In particolare grazie al rapporto con il suo capo, Mayuko (soprannominata Mayu, e interpretata dall’attrice Kiritani Mirei) comincia un viaggio alla scoperta della moda haute couture e muove i primi passi in un mondo (patinato) esclusivo e affascinante, ma anche competitivo e pieno di ostacoli. La sua trasformazione è  esteriore, visibile nel suo stile, che lungo gli episodi si evolve facendola brillare di una luce nuova, ma anche, e soprattutto, interiore, fino a renderla una giovane donna indipendente e sicura di sé.

Lo sfondo della maggior parte degli episodi è il quartiere di Ginza. Nota per essere una delle zone commerciali più in vista della capitale, Ginza si trasforma in una sorta di coprotagonista dei personaggi principali: la grande attenzione per la moda si traduce in inquadrature sulle numerose boutique, grandi magazzini, ristoranti e café di lusso che si susseguono lungo le strade. Al centro della storia non solo le vicissitudini dei singoli personaggi, ma soprattutto l’abbigliamento e la moda e tutti i processi creativi e decisionali che sottendono questa grandissima industria. I riferimenti al mondo della moda non sono esclusivamente a una moda di derivazione più europea, ma anche all’affascinante mondo delle tradizioni nipponiche: ad esempio, lungo il corso di alcuni episodi è il kimono, abito tradizionale giapponese per antonomasia, il principale protagonista, con le sue fogge, i suoi colori e la sua eleganza.

Gli episodi scorrono piacevolmente a fronte di una durata che supera i quaranta minuti, e, nonostante alcuni punti nei quali la narrazione rallenta, la serie riesce comunque a coinvolgere lo spettatore. A momenti di maggiore impatto emotivo si alternano momenti di leggerezza e risate, snellendo così il ritmo narrativo.

Nel complesso, si tratta di una serie davvero ben realizzata, leggera ma non banale, con un approfondimento psicologico dei personaggi principali piuttosto interessante e un’impeccabile cura dei dettagli per quanto riguarda la tematica dell’industria della moda. Tutti gli episodi sono disponibili su Netflix con audio originale e sottotitoli italiani.

—di Giulia Berlingieri


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ERASED – la città dove io solo non esisto

 

Buongiorno a tutti, con l’articolo di oggi ritorneremo a trattare i dorama giapponesi! Questa volta sotto i miei occhi è passata una serie che è nata come manga, che ha ha fatto parlare di sé con un live action in uno spettacolo televisivo prima e come serie tv poi. Figlia della collaborazione tra il colosso Netflix e la Kansai Tv, Erased narra le vicende di Satoru, un timido ed introverso ragazzo giapponese che all’apparenza vive una vita simile a quella di altri giovani della sua età. Fin da bambino sogna di diventare un mangaka e per mantenersi consegna pizze in tutta la città. Ciò che fa la differenza nella sua vita è una capacità involontaria di tornare indietro nel tempo. Difatti, ogni volta che qualcosa di brutto sta per accadere Satoru si vede catapultato indietro il tempo necessario affinchè possa risolvere la situazione. Dapprima, ciò accade soltanto per eventi di entità ridotta, fino a quando una sera, di ritorno dal lavoro, non si trova faccia a faccia con l’assassinio della madre. Per evitare che ciò accada viene catapultato 15 anni nel passato per cercare di prevenire alla base alcuni eventi che avrebbero portato a quel macabro omicidio. La commistione tra il genere mystery e il giallo rendono questa serie interessante agli occhi di chi apprezza questi generi. Ovviamente la provenienza Nipponica è visibilmente marcata in alcune caratteristiche tipiche del Dorama; caratteristiche che gli conferiscono però un taglio diverso dalle solite serie Giallo. Inoltre, la breve durata delle puntate la rende ancora più invitantee di facile approccio. Sperando di avervi dato un buon suggerimento, auguri a tutti una buona visione!

(Recensione di Giacomo Becchi )

Good Morning Call

Bentornati alla nostra rubrica dedicata ai dorama! La serie che ho in serbo per voi quest’oggi, “Good Morning Call“, disponibile su Netflix, è la trasposizione di un manga shojo ad opera di Yue Takasuka che fu pubblicato in 11 volumi dal 1997 al 2002. La prima stagione, composta da 17 episodi, ci catapulta nella dimensione dei teenager, delle grandi amicizie, dei primi amori e delle incomprensioni tra adolescenti ed adulti. (P.S. Su Netflix è disponibile anche la seconda stagione, ma per ora niente spoiler!).

Yoshikawa Nao è la protagonista diciassettenne che decide, per poter cavarsela da sola, di affittare un appartamento fino alla fine del liceo. Ragazza esuberante e generosa ma allo stesso tempo molto sbadata e ingenua, Nao è la tipica studentessa che trascorre la maggior parte del tempo con i suoi compagni di classe e migliori amici Marina e Mi-chan, senza nessuna esperienza amorosa alle spalle. L’unico che da tempo sembra mostrare interesse per lei è il suo amico di lunga data e senpai Daichi, uno dei tre studenti più ammirati di tutta la scuola. Questa situazione di apparente normalità viene stravolta all’arrivo di Nao nel nuovo appartamento, dove fa la conoscenza di un altro componente della top three, Uehara Hisashi. Per via della sua bellezza, intelligenza e bravura nello sport, Hisashi riceve quotidianamente sguardi sognanti dalle studentesse, che egli tuttavia ricambia con freddezza. Nessuno avrebbe potuto predire che proprio lui e Nao sarebbero caduti nella trappola del “doppio contratto” per il quale, dopo un iniziale sgomento, i due si ritrovano costretti a condividere lo stesso tetto su suggerimento dell’anziana affittuaria, dividendosi tutte le spese, almeno fino a quando non si libererà per Nao un alloggio al dormitorio femminile. Come è naturale, Hisashi impone subito una serie di regole, ribadendo a più riprese che nessuno dovrà mai venire a conoscenza della spiacevole situazione.
Il mondo adolescenziale che fin qui abbiamo delineato viaggia in parallelo con il mondo degli adulti, di cui Yuri rappresenta il primo esempio: donna bellissima ma con problemi di alcolismo, ella non è altro che la cognata di Hisashi, moglie di suo fratello maggiore Takuya. Nonostante la differenza di età, Hisashi è stato vittima di un tormentato innamoramento durato otto anni nei confronti della donna e ancora fatica a dimenticarla. La visita improvvisa della cognata, che tuttavia instaura un buon rapporto con Nao (nonostante quest’ultima non sopporti il suo essere ancora troppo “ragazzina” nei confronti della matura Yuri), non fa altro che innescare nel ragazzo sentimenti contrastanti. Come se non bastasse, il rapporto di fiducia tra Nao e i suoi genitori, venuti a farle visita al nuovo appartamento, si incrina non appena la convivenza balza inesorabilmente allo scoperto. Nonostante la madre dimostri una certa comprensività, il padre percepisce la situazione (almeno di primo impatto) come un vero e proprio tabù, soprattutto quando i due ragazzi coinvolti sono minorenni e di sesso opposto.

Cosa ha in serbo il futuro per questi personaggi? Sta a voi scoprirlo! In generale, però, “Good Morning Call” sta riscuotendo un enorme successo: i suoi temi light invogliano lo spettatore a divorare la serie in poco tempo e l’idea da parte dei creatori di inserire conversazioni SMS, telefonate incoming e stati d’animo in sovraimpressione (stile anime) rende il tutto colorato e divertente. Tuttavia, la rappresentazione dei rapporti interpersonali è purtroppo stereotipata e ciò è evidente soprattutto nella relazione tra Hisashi e Nao: molti hanno infatti criticato il comportamento di presunta superiorità e arroganza del ragazzo nei confronti della studentessa, marcando un forte distacco di gender anche nel momento in cui la convivenza si trasforma in qualcosa di più profondo. Oppure basti pensare al rifiuto del padre di Nao a cui abbiamo già accennato: questo comportamento potrebbe apparire come pura preoccupazione di un genitore nei confronti della figlia alle sue prime esperienze fuori della casa paterna, ma a priori vi è un problema radicato nel cuore della società giapponese. Avendo riflettuto su queste tematiche, posso concludere dicendo questo: chiunque decida di creare un dorama non dovrebbe concentrare i suoi sforzi pensando solamente al successo che questo potrebbe riscuotere a livello intraculturale, ma è fondamentale allargare gli orizzonti, vedere il Giappone attraverso gli occhi di uno straniero e creare trame e situazioni che possano uniformarsi con le altre culture. Un processo di immedesimazione interculturale di tale entità non sarà una passeggiata, ma è ormai giunto il momento di sradicare l’immagine stereotipata che questa meravigliosa nazione ci offre da tanto tempo. Detto ciò, vi consiglio caldamente di dare un’occhiata a “Good Morning Call” non solo in veste di amanti dei dorama, ma con occhio attento e critico ai problemi sociali che esso può offrire. Alla prossima!

(Recensione di Sara Martignoni)

FINAL FANTASY XIV: DAD OF LIGHT

Il marketing tradizionale non funziona più. Bisogna trovare soluzioni alternative!”. Questo è quello che avranno forse pensato quelli della Square Enix quando hanno concepito la produzione della serie televisiva Final Fantasy XIV: Dad of Light. Alla lettura del titolo verrebbe da pensare di trovarsi di fronte ad una similtrashata rivolta soltanto agli appassionati della serie videoludica, realizzata esclusivamente per promuovere l’ultimo videogioco della storica serie di Hironobu Sakaguchi. Dopo averla vista, posso dire che non è così, e che se questo è marketing, è fatto in maniera molto intelligente.

Final Fantasy XIV: Dad of Light ha rappresentato per il sottoscritto la prima visione di una serie televisiva giapponese, ed è stata una visione quanto mai convincente. Sia chiaro, non si sta parlando di un capolavoro. Chi cerca una storia coinvolgente, piena di colpi di scena, con personaggi ben caratterizzati, dalla regia e recitazione di alto livello e dai dialoghi incisivi, farebbe bene a cercare altrove. Final Fantasy XIV: Dad of Light non ha nulla di tutto questo. Ha però, dalla sua, tanto altro: leggerezza narrativa, spunti originali ed interessanti, piccole chicche rivolte agli appassionati di Final Fantasy e non solo. La storyline descrive le vicende di Akio, un post-adolescente giapponese che ha il desiderio di instaurare un rapporto più profondo con il proprio padre, la cui vita è ormai quasi interamente assorbita dal lavoro. Mosso dalla nostalgia per i momenti della sua infanzia in cui i due giocavano felicemente assieme, Akio decide di regalare al genitore Final Fantasy XIV, un gioco di ruolo online in cui si interagisce virtualmente con altre persone e si condividono avventure piene di mostri da combattere e mondi da esplorare. Il piano del ragazzo consiste nello stringere con suo padre amicizia online, nel mondo di Final Fantasy, senza però rivelargli la sua vera identità, nella speranza che il rapporto virtuale possa prendere una piega diversa da quello che i due hanno nella realtà.

Con la sua trama semplice ed insolita, Final Fantasy XIV: Dad of Light riesce nella missione di trasportare lo spettatore in una visione piacevole, strutturata attorno ad una manciata di personaggi che interagiscono tra loro similmente a quelli di un anime “slice of life”. Nonostante l’atmosfera leggera che accomuna gli otto episodi (da 20 minuti l’uno), tra le righe vengono poste anche tematiche serie come i problemi che possono sorgere nel rapporto tra padre e figlio e l’intreccio tra vita virtuale e vita reale. Cosa comporta il giocare ad un MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Game) e quale influsso potrebbe avere nella vita di tutti i giorni? Riguardo questo punto il telefilm si comporta in maniera piuttosto furba, evidenziando soltanto i lati positivi di tale esperienza videoludica ed omettendo sapientemente quelli negativi (d’altronde, se così non fosse, che operazione di marketing sarebbe?). Giocando a Final Fantasy XIV si stringono quindi amicizie, si trova l’anima gemella, si ricuce un rapporto padre – figlio ormai stantio, si migliora il rendimento aziendale e si capisce cosa significhi lavorare in un team, sfruttando appieno le potenzialità individuali. Seppur descrivendo soltanto una faccia della medaglia dell’esperienza GdR online, questa messa in scena dei potenziali benefici videoludici funge da semplice contorno alla storyline e non risulta mai appesantire la narrazione o intaccare la scorrevolezza della visione. Come già detto sopra, è marketing fatto in maniera intelligente. Ciò che funziona maggiormente è la combinazione di leggerezza narrativa e spunti originali. L’unione di questi due elementi restituisce una visione gradevole, impreziosita da piccoli tocchi di classe che si materializzano talvolta sotto forma di humour, dialoghi e scene divertenti, altre volte in trovate narrative fuori dagli schemi.
Final Fantasy XIV: Dad of Light è lineare ma anche imprevedibile. Quando sembra di essere giunti al termine, ecco che spuntano avatar dai ricordi virtuali, oceani e tramonti online, situazioni che sembrano appartenere ad un futuro distopico sulla falsariga di Black Mirror, ma che invece appartengono alla realtà. Se siete appassionati di Final Fantasy e dei GdR online, guardatelo. Se non lo siete, dategli almeno una possibilità: chissà che non iniziate a giocarci anche voi!

(Carlo di Gaeta)

Kantarō: la nuova serie TV di Netflix alla scoperta della pasticceria giapponese

Ametani Kantarō (Matsuya Onoe) è all’apparenza un semplice impiegato che lavora nel reparto vendite di un’agenzia editoriale a Tōkyō. Poco si sa di lui  se non che ha abbandonato il suo vecchio lavoro di ingegnere informatico per darsi alla vita da normale colletto bianco: quali siano i suoi interessi, chi i suoi amici, o addirittura i suoi genitori, sono una totale incognita per l’azienda.

Copertina del primo numero del manga da cui è tratta la serie TV

Tratto dall’omonimo manga di Tensei Hagiwara e Abidi Inoue, Kantarō si propone quindi come una macchina da guerra del lavoro, un uomo che, lungo gli episodi, non sembra perdere mai il controllo e rispetta (fin troppo) le etichette. La verità però, è che sotto a quell’espressione impassibile si cela ben più che un comune impiegato con problemi a relazionarsi: tra una commissione e l’altra, infatti, grazie alle sue abilità ingegneristiche che gli permettono di organizzare al meglio i tempi per concedersi dei ritagli, marina il lavoro e diventa… Sweets Knight, un appassionato blogger dolciario.

Tra citazioni di autori classici -come Goethe o Nietzsche- e scenette da spot psichedelico/nonsense giapponese, impareremo ad amare l’altra faccia della medaglia di Kantarō, quella di un uomo e la sua passione per i dolci che, con spiegazioni dettagliate e immagini in slow-mo da far venire l’acquolina in bocca (trailer a fine articolo!), ci guiderà attraverso negozi realmente esistenti nel panorama di Tōkyō: anmitsu, mamekan e ohagi sono solo alcune delle specialità che incontreremo nella serie, tra le mille peripezie del protagonista per non farsi sorprendere dai colleghi.

Personalmente ho amato molto questo show, quella sua leggerezza con la quale riesce a far divertire tra sketch improponibili nel 甘味の園 (kanmi no sono, l’eden dei dolci dove Kantarō trascende la realtà quando gusta le leccornie) ma al tempo stesso insegnare qualcosa: per esempio, lo sapevate che nel quartiere di Akasaka c’è una pizzeria chiamata Esse Due rinomata per la sua pizza napoletana? O che ad Asakusa c’è un negozio di hotcake che ricorda visivamente i cafe dell’epoca Shōwa? Queste ovviamente sono solo piccole curiosità, ma sarà meglio lasciare al giovane Kantarō e alle sue scappatelle la parte culinaria. Potete trovare la prima stagione su Netflix al nome di: “Kantaro, il rappresentante goloso”, 12 episodi da 25 minuti circa l’uno: ottimi per staccare la spina, farsi due risate e, nonostante tutto, apprendere.


Trailer della serie TV

Spero possa piacervi e, se doveste chiedervi se mai uscirà una seconda stagione, beh… Kantarō risponderebbe: “甘味のみぞ知る!” (kanmi* nomi zoshiru, solo il cielo lo sacher).

*il detto originale recita 神, kami, dio, non 甘味, kanmi, dolciume. È un gioco di assonanza tra le due parole. Un po’ come il titolo originale dell’opera: さぼリーマン飴谷甘太朗 (saboriiman ametani kantarō) che unisce サラリーマン (sarariiman, impiegato) con サボる (saboru, marinare, venir meno ai propri doveri).

(Recensione di Marco Amato)