Ciao a tutti! Siamo ad Akushon!, la rubrica dei registi di Associazione Takamori. Questo è il secondo appuntamento su Ninagawa Yukio e la sua filmografia.
Pubblicato nel 1981, Mansho no natsu (The Summer of Evil Spirits) narra la storia di Iemon Tamiya, un servitore dell’ex famiglia Asano, che vive pacificamente con la moglie Iwa e il figlio. Un suo amico, Naosuke, cerca di uccidere un vassallo con cui ha una faida, ma per errore uccide il cognato di Iemon. Il rapporto tra Iemon e la moglie si deteriora gradualmente, e questi intraprende una relazione clandestina, condannata dal padre dell’amante. Iemon viene convinto a fare ammenda bevendo del veleno, che invece di ucciderlo lo lascia sfigurato. Degli spiriti vendicativi iniziano inoltre a tormentarlo, e spaventato Iemon finisce con l’uccidere la sua amante e il padre. Sorprendentemente, il cognato di Iemon è sopravvissuto, e nel cercare vendetta nei confronti di Naosuke questi si uccidono a vicenda. Tornato come spirito vendicativo, il cognato perseguita anche Iemon, concludendo la vicenda in tragedia.
In Ao no honō (The Blue light), pellicola del 2003 basata sull’omonimo romanzo di Kishi Yusuke, viene narrata la storia di Kushimori Shuichi, uno studente modello che frequenta una prestigiosa scuola superiore. Un giorno, all’improvviso, torna a tormentarlo il padre adottivo Sone, divorziato dalla madre 10 anni prima. Shuichi fa tutto ciò che legalmente gli è possibile per tenere il bieco individuo lontano dalla sua famiglia, ma questi riesce ad aggirare il sistema e arriva addirittura ad abusare dell’ex moglie e della sorella di Shuichi. Questi, passato il punto di non ritorno, ovvero nel momento in cui Sone arriva a fare avances sessuali alla sorella, decide che l’unico modo per liberarsi di quest’uomo è di ucciderlo. Un film in cui la tensione si fa gradualmente sempre più palpabile, fino al punto in cui lo spettatore si trova ad essere estremamente empatico nei confronti del protagonista.
Tratto dal romanzo di Kyougoku Natsuhiko, a sua volta una reinterpretazione del classico kabuki Toukaidou Yotsuya Kaidan, la pellicola Warau Iemon (Eternal Love), del 2004,narra le vicende di un ronin dal passato travagliato, costretto a partecipare al suicidio tramite seppuku del padre, che per pietà sposa Iwa, la figlia del prete errante Mataichi, una donna un tempo bellissima ma sfigurata da una malattia. Col tempo tra loro nasce un amore vero e profondo che supera le apparenze, ma le maldicenze diffuse da Kihei, un uomo che non era riuscito a conquistare Iwa prima della malattia, li costringono a separarsi. Iemon, per vendetta, si risposerà con una delle amanti di Kihei. Il finale sarà tragico. Quasi a voler rappresentare in chiave Shakespeariana, questo film drammatico coinvolge lo spettatore, mostrandogli un nuovo protagonista: laddove prima vi era un antagonista, ora vi è un eroe e questo rende ancora più intrigante la storia narrata.
Tratto dall’omonimo romanzo di Kanehara Hitomi, conosciuto in Italia come “Serpenti e piercing”, Hebi ni piasu esce nel 2008 nelle sale giapponesi. Ninagawa decise di modificare la città nella quale si svolge la trama da Shinjuku, dove si svolgeva originariamente, a Shibuya. Il film narra la storia di Lui, una ragazza di diciannove anni annoiata e demotivata dalla vita. Una sera incontra Ama, un ragazzo vestito in stile punk, pieno di tatuaggi e piercing. Quello che l’attrae del ragazzo è lo “split tongue”, una modifica del corpo che consiste nella biforcazione della lingua. Dopo aver intrapreso una relazione con Ama, questi le farà conoscere Shiba, un tatuatore, che la aiuterà nel suo scopo: ottenere lei stessa la lingua biforcuta. Dopo che lei gli chiede di farle un tatuaggio, inizierà un triangolo amoroso tra i tre protagonisti. Dopo un violento incontro notturno nelle strade di Tokyo, Ama scompare e Lui è costretta ad affrontare la dura situazione.
E anche per questo regista siamo giunti alla fine! Se volete approfondire le vite e le opere di altri registi giapponesi non vi resta che continuare a seguirci con Akushon!
“Gli uomini – i maschi intendo dire – vivono secondo regole che hanno stabilito da soli e unicamente per sé stessi. E tra queste regole ce n’è una in base alla quale noi donne non saremmo altro che una specie di oggetto da possedere. Una figlia appartiene al padre, una moglie al marito.” Due sorelle, figlie di una giapponese e di uno svizzero: Yuriko, bellissima fin da bambina, a tal punto da mettere in ombra le altre ragazze. L’altra, talmente succube della bellezza della sorella e talmente priva di attributi peculiari da non essere mai nominata all’interno del romanzo, costituisce l’io narrante della storia. La storia di una donna invisibile, che per colpa della sorella arriva a serbare un rancore così forte, da desiderarne la scomparsa o addirittura la morte. Se ne prospetta l’occasione quando il padre si trasferisce per lavoro in Svizzera, e lei rimane in Giappone, vivendo con il nonno, per cercare di entrare nel prestigioso liceo Q. Anche in questo caso dovrà dare tutta sé stessa per raggiungere il suo obiettivo, salvo poi vedere Yuriko passarle avanti senza difficoltà grazie alla sua bellezza. Quest’ultima è forse l’unica delle protagoniste che ha ben chiara l’ineluttabilità del proprio destino, conscia che la sua bellezza sia passeggera, non un privilegio, bensì un bene di scambio per ottenere una vita agiata. In questo contesto avviene l’incontro con Sato Kazue, con la quale Yuriko condividerà sia la professione di prostituta, seppur motivata in maniera diametralmente opposta, sia la morte per mano di un uomo. Intricati fili si annodano nelle trame di due esistenze culminate nella violenza. Dalla storia delle due donne uccise emerge uno spaccato della società giapponese, e il romanzo è a tutti gli effetti una critica alla società giapponese, alla divisione in classi sociali, all’impossibilità dell’emancipazione femminile. È un romanzo che parla della donna, di come non riesca ad affermare sé stessa in quanto tale se non attraverso delle maschere. Da qui infatti la prostituzione, vista non solo come risposta alle proprie necessità, ma anche come strumento di emancipazione e di espressione libera del proprio io. La realizzazione è un privilegio concesso solo agli uomini, ed infatti le donne di questo romanzo non riescono a trovare la via per raggiungerla. Le vere protagoniste di questo romanzo sono la sofferenza, l’invidia, la frustrazione, ed un senso di solitudine che accompagna la storia di tutte queste donne.
Regia: Sekine Kōsai Durata: 109 min Anno di uscita: 2018 Attori principali: Ishibashi Shizuka, Matsuhige Yutaka, Naka Riisa
La vita è difficile per Yasuko, soffre di depressione e ipersonnia e spende la maggior parte delle sue giornate sotto le coperte mentre la sorella maggiore la sprona a trovarsi un lavoro. Yasuko vive con il fidanzato, Tsunaki, che sembra riuscire sopportare la routine irregolare e ai cambiamenti di umore repentini della ragazza, ma che decide comunque di restare in una relazione con lei e supportarla economicamente. Lui è un impiegato per una rivista di gossip, non è felice durante le ore di lavoro e tornato a casa le sue cene consistono di tristi cibi preparati.
Nonostante il suo supporto, Yasuko ,frustrata dall’indifferenza del ragazzo e dalle costanti pressioni dalla sorella, incontra Ando, una ragazza che le procura un lavoro con l’obbiettivoperò di separare i due amanti per poter ritornare con Tsunaki. Yasuko viene assunta e questa esperienza la aiuterà a fare i passi giusti verso tempi migliori.
Love at least unisce elementi di dramma e romance, creando un’opera coinvolgente che mette davanti allo spettatore temi profondi: si potrebbe trovare la mancanza di motivazione e impegno da parte di Yasuko pesante ma vederla poi risbocciare dopo aver trovato un lavoro è rincuorante e porta lo spettatore a tifare per la ragazza.
I mucchi di vestiti e le sveglie che circondano il suo letto sembrano quasi proteggerla dalla realtà esterna, ed è proprio grazie a queste scelte cinematografiche che riusciamo a connettere con i personaggi. A questo concorrono anche le incredibili performance degli attori che riescono a portare in scena in maniera realistica ma rispettosa le emozioni dei personaggi.
La pellicola porta quindi non solo una rappresentazione di come la depressione può apparire in alcune persone, ma mostra anche l’influenza positiva che comprensione e supporto da persone esterne può avere sulle persone di cui ne hanno bisogno.
Bentrovati! Questa è Akushon! la rubrica di AssociazioneTakamori sui registi giapponesi. Oggi vi parliamo di Ninagawa Yukio!
Nato nel 1935 a Kawaguchi, nella prefettura di Saitama, Ninagawa Yukio si diploma alla Kaisei High School. Aspirando a diventare attore, tenta l’esame di ammissione al Dipartimento delle Belle Arti di Tokyo, ma fallisce. Si unisce poi alla compagnia teatrale Seihai, dove si forma come attore. Resosi conto delle sue competenze da regista, decide di istituire una propria compagnia teatrale allo scopo di poter mettere in pratica la propria capacità di regia. In quel periodo di fioritura, soprattutto tra i giovani, del “piccolo teatro”, debutta come regista nel 1969 con Shinjō afururu keihakusa. Successivamente forma due compagnie indipendenti, la Gendaijin-Gekijō nel 1971 e la Sakura-sha nel 1974.
Il 1974 diventa un anno cruciale per la carriera di Ninagawa, quando Nakane Tadao, il futuro produttore di teatro della Tōhō, lo invita a prendere parte alla regia di una serie di grandi produzioni, tra cui Romeo e Giulietta.
Le produzioni di Ninagawa spaziano dalle opere contemporanee di vari scrittori e drammaturghi giapponesi, tra cui Kara Jūrō, Inoue Hisashi, e Iwamatsu Ryō, dalla tragedia greca a Shakespeare, classici stranieri e opere moderne.
Nel 1981 dirige la sua prima pellicola, Masho no natsu – Yotsuya kaidan yori (“Summer of Demon”), un film horror, nel quale Ninagawa dimostra la sua capacità nell’uso della musica classica.
Dopo aver diretto Romeo e Giulietta, nel 1998 dichiara che avrebbe diretto tutte le produzioni di Shakespeare e, così, facendo, accresce la sua fama anche al di fuori del Giappone, raggiugendo Europa, Stati Uniti e Canada. Partendo nel 1996 con Sogno di Mezza Estate, seguito da Shintokumaru nel 1997 e, infine, Amleto nel 1998, gli viene chiesto di portare in scena a Londra queste rappresentazioni teatrali ogni anno per tre anni. Inoltre, tra il 1999 e il 2000 collabora con la Royal Shakespeare Company, con la quale presenta King Lear a Londra e a Stratford-upon-Avon.
Al di fuori del campo del teatro contemporaneo, ha anche prodotto l’opera The Flying Dutchman, diretta da Seiji Ozawa, il musical Kiki’s Delivery Service composto da Ryudo Uzaki, e una rappresentazione di teatro kabuki con la compagnia del Kikugoro Theatre, su richiesta di Kikunosuke Onoe. Inoltre, ha anche lavorato a produzioni teatrali, fiction televisive, concerti e sfilate di moda.
Ninagawa vince molti premi in Giappone. Inoltre, riceve una laurea ad honorem dall’ Università di Edimburgo nel 1992 e una dall’Università di Plymouth nel 2009.
Nel 2003 si dedica nuovamente ai film, dirigendo Ao no Honō(“The Blue Light”), un poliziesco sentimentale, basato sul romanzo di Kishi Yūsuke, presentato anche al Festival del Film di Cannes dello stesso anno.
L’anno successivo dirige Warau Iemon, un film horror drammatico, basato sul romanzo di Kyogoku Natsuhiko, il quale, però, non ottiene il successo sperato.
Con la sua compagnia teatrale Ninagawa Studio (Ninagawa Company), continua a fare produzioni sperimentali a cui prendono parte giovani attori. Nel 2006 fonda la Saitama Gold Theatre, una nuova compagnia teatrale per attori non professionisti di oltre 55 anni che si basa sulla Saitama Arts Theatre.
Nel 2008 dirige Hebi ni piasu, basato sul famoso romanzo di Kanehara Hitomi, “Serpenti e Piercing”, che vede partecipi attori come Kōra Kengo, Yoshitaka Yuriko e Fujiwara Tatsuya.
E con questo si conclude la prima parte del nostro approfondimento su Ninagawa Yukio. Se vi abbiamo incuriosito con la vita e la carriera di questo regista, ci vediamo tra due settimane con la seconda parte!
Pensieri Dal Set di Koreeda Hirokazu, pubblicato in Giappone nel 2016 col titolo Eiga o torinagara kangaeta koto è un’autobiografia che ripercorre la carriera del regista rievocando aneddoti ed episodi accaduti durante le riprese delle proprie opere. Il volume è edito da Cuepress e la traduzione è a cura di FrancescoVitucci.
Hirokazu Kore’eda esordisce nel 1995 sul grande schermo con il lungometraggio dal titolo Maborosi. Ispirato a una novella di Teru Miyamoto, viene presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia e vince l’Osella d’oro per la miglior regia. Il successo arriva però con il film successivo, Wandāfuru raifu del 1998. Da qui in poi il cineasta riuscirà a scalare l’olimpo della fama internazionale grazie ad opere del calibro di NobodyKnows (Daremo Shiranai) proiettato per la prima volta nel 2004, StillWalking (Aruitemo Aruitemo) pellicola del 2008 e, tra le più recenti, Un Affare di Famiglia del 2018.
Le pellicole di Koreeda Hirokazu fanno parte del filone intimista e hanno come tema principale i legami interpersonali. Affetti, legami familiari, sentimenti spesso sofferti sono le tematiche più care al cinema di Koreeda. Anche il tema della memoria e l’elaborazione del lutto sono argomenti che spesso il regista affronta.
L’opera biografica racconta puntualmente il percorso del cineasta partendo dagli albori sino ad arrivare alle produzioni più recenti, costellando l’intera lettura di curiosità e aneddoti talvolta non ancora raccontanti. E’ il caso di Nobody Knows nel quale il regista racconta fatti di cronaca realmente accaduti che ispirarono la stesura e la produzione della pellicola.
Koreeda ricostruisce il proprio viaggio nel mondo del cinema, un percorso partito dai primi documentari e approdato a importanti successi internazionali (Father and Son, premio della giuria al Festival di Cannes del 2013). Ricordi ed episodi inediti avvenuti durante la lavorazione dei suoi film – pagine rivelatrici non solo della sua prospettiva artistica, ma anche della visione della società nipponica, spesso tema centrale delle sue pellicole.
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