孤狼の血
The Blood of Wolves
(Giappone, 2018)
Regia: Shiraishi Kazuya
Cast: Yakusho Kōji, Matsuzaka Tōri, Pierre Taki
Genere: crime/poliziesco, yakuza
Durata: 126 minuti
The Blood of Wolves è un crime a tema yakuza (mafia giapponese) del 2018. Diretto da Shiraishi Kazuya, è basato sul romanzo omonimo di Yuzuki Yūko con il quale nel 2016 l’autrice si aggiudica il premio letterario per gli scrittori di gialli in Giappone.
Una giustizia corrotta?
Il film è ambientato nella regione di Hiroshima degli anni ’80, scenario spesso e volentieri ripreso da diversi film di yakuza durante la storia del cinema giapponese contemporaneo. Una ragione effettivamente c’è: gli eventi di questo film si svolgono prima ancora che il Giappone si attivasse concretamente contro il crimine organizzato e mettesse in atto le leggi per tenere sotto controllo le diverse famiglie della yakuza. Basti pensare alla famosa serie di film di Fukasaku Kinji, “Battles Without Honor and Humanity” (Jingi naki Tatakai), usciti per la Toei negli anni ’70.
Nel caso di The Blood of Wolves ci ritroviamo a seguire le vicende dal punto di vista della “giustizia”. I protagonisti sono Ōgami Shōgo (Yakusho Kōji), detective di lunga data che lavora nella stazione di polizia di Kure, e il suo nuovo assistente Hioka Shūichi (Matsuzaka Tōri), neolaureato della prestigiosa università di Hiroshima. Ai due viene affidato il caso della scomparsa di un impiegato di una compagnia finanziaria. Mano a mano che l’investigazione continua, il nuovo arrivato Hioka viene messo davanti ad una realtà piuttosto dura: l’intero sistema delle forze dell’ordine giapponesi è corrotto. Il giovane infatti deve tenere sotto controllo e investigare i possibili legami con la yakuza, in particolare la Ōdani-gumi. Nonostante i suoi metodi poco ortodossi non siano esattamente ciò a cui l’università lo avevano preparato, Hioka segue Ōgami con molta riluttanza, sempre alla ricerca della verità per poterlo incriminare e portare un’eventuale pace nel distretto di polizia. L’uomo in questione è solito andare agli “snack” delle mama-san sotto la famiglia Ōdani e non nasconde al ragazzo le bustarelle che gli vengono consegnate quando si reca a fare visita ad uno degli uffici dei criminali. Come si scoprirà durante il fim, però, non tutto è come sembra: il confine fra “giustizia” e “crimine” si fa sempre più sottile e al climax del film, vedremo il giovane Hioka dover cambiare prospettiva, drasticamente. Ci si chiederà infatti chi effettivamente è una persona “giusta” che protegge la popolazione e chi invece agisce per il proprio tornaconto.
Il film di Kazuya Shiraishi dipinge un ritratto molto accurato della relazione ambigua fra le famiglie della yakuza e i poliziotti del secondo dopoguerra in Giappone. Come è solito nella maggior parte dei film polizieschi ci troviamo di fronte a una coppia di detective fondamentalmente uno il contrario dell’altro: da una parte Ōgami, apparentemente corrotto, violento e dalla parte della famiglia Ōdani e dall’altra Hioka, giovane e sicuro della sua idea di giustizia e su come dovrebbe svolgere il suo lavoro un detective. Quello che però The Blood of Wolves riesce a fare è rendere Hioka un personaggio molto credibile e in cui è facile riconoscersi; nonostante il ragazzo tenga molto ai suoi ideali, la realtà che si aspettava dal suo lavoro è diversa e lui è un essere umano come tutti noi: le sue emozioni non rimangono celate e prendono eventualmente il sopravvento, creando una crescita del personaggio molto interessante. Il rapporto fra i due detective che si costruirà nel corso del film è quasi cliché ma non fallisce assolutamente nel trasmettere forti emozioni.
The Blood of Wolves è un film molto violento: alcune scene risultano quasi prepotenti all’occhio di uno spettatore poco abituato alle scene presenti e ricorrenti nei film che trattano di yakuza. Nonostante queste scene molto grafiche, è comunque una pellicola carica di emozioni forti e messaggi importanti che fanno riflettere. Un film che ti tiene con il fiato sospeso: non manca di scene di azione; c’è anche del drammatico, quanto basta, e alla fine riesce a strappare qualche lacrima.
— recensione di Noemi Tappainer
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